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Recessione o secessione?
Gianfranco Morra
03 Giugno 2012
Gianfranco Morra è uno dei migliori intellettuali cattolici (e perciò dei meno ascoltati). Sociologo e saggista, ha scritto questo articolo profetico anni fa su L’Indipendente Maurizio Blondet Vorrei dire anch’io la mia parola. Partirei, anzitutto, dalla realtà esistente, che mi sembra giustifichi l’accostamento congiuntivo: recessione e secessione. Perché? Perché la recessione, l’inflazione, il disavanzo, la svalutazione sono cose a tal punto reali, che solo per malafede si possono negare o minimizzare. La recessione nel nostro Paese, del resto, non è solo economica, ma anche morale e istituzionale. E quando in un Paese vi sono sottosviluppo economico, mancanza di un minimo denominatore comune morale e latitanza delle istituzioni, la via della disgregazione è già in gran parte percorsa. Recessione, dunque, e gravissima. Secessione? Anche. Non un compito da realizzare, solo giuridicamente non c’è, ma nella realtà esiste da sempre. Due Italie, solo apparentemente unite, in realtà profondamente diverse per costumi, attività economiche, coscienza etico-politica, stili di vita. Il trionfo della soluzione unitaria nel Risorgimento, paradossalmente incarnata dal rivoluzionario Mazzini e dallo statalista Cavour, riuscì a soffocare la prevalente proposta laica e cattolica della federazione, ma non riuscì a fare l’unificazione.
Massimo d’Azeglio osservò che l’Italia era stata fatta, ma non gli italiani; fu una pietosa menzogna. In realtà, neppure l’Italia fu fatta: fu occupata, non unita; statizzata, non solidarizzata; burocratizzata, non liberalizzata. La secessione del Sud data dalla proclamazione del Regno, negli anni successivi, lungi dall’essersi attenuata, s’è accentuata. Alle istanze autonomistiche lo Stato italiano ha risposto con l’assistenzialismo e il clientelismo, frenando così anche le tendenze verso lo sviluppo. È accaduto il contrario di quanto chiedeva il meridionale Sturzo: il problema del Mezzogiorno è, in realtà, il problema dei meridionali; solo essi possono risolverlo, con quel modello di sviluppo che la geografia e la tradizione della regione richiedono. Le cose sono andate diversamente. Soprattutto negli ultimi decenni, assistenzialismo e partitocrazia hanno distrutto le forze autonome dello sviluppo del Mezzogiorno, per farne un magazzino di voti da comprare. La difesa dello Stato assistenziale, fallito da tutti i punti di vista, altro non è che la difesa della prevaricazione, dell’intrallazzo, della tangente. Purtroppo, mentre il Nord lo sa e si ribella, il Sud pazienta e accetta. Più secessione di così... La secessione dal Sud non l’ha inventata la Lega Nord; l’ha solo trovata e ha invitato a pensarci sopra. Dalla realtà (recessione e secessione) dobbiamo ora spostarci alla proposta (recessione o secessione) di Vittorio Feltri: «Le ipotesi sono due: – o l’Italia si spacca, e il Nord ha qualche speranza di riagganciare il carro europeo, mentre il Sud con la forza della disperazione trova la strada per liberarsi dalla classe dirigente e politica che si è dato e alla quale non si ribella per paura di dover digiunare; – o l’Italia resta una e indivisibile col risultato brillante di morire unita e di unità». Debbo osservare che le ipotesi enunciate in questa conclusione non sono due, ma tre. La prima è quella di mantenere le cose come sono: è quanto vorrebbe fare la partitocrazia per difendere con le unghie e con i denti i suoi privilegi. La seconda è quella della secessione. Che è ipotesi realistica e niente affatto improbabile. È accaduto anche altrove, in Slovenia e Croazia; sta accadendo in Cecoslovacchia (oggi è già accaduto da tempo).La terza ipotesi è l’emancipazione del Sud dai colonialisti partitocratici. Ipotesi ardua, ma non del tutto improbabile. Per favorirla bisogna seguire quella stessa via che consentirebbe al Nord di risorgere e di entrare nell’Europa. È la via del federalismo. I modelli europei esistenti ci indicano in qual modo: accorpare le regioni (come già prevede l’articolo 132 della Costituzione) e creare delle entità federative di notevoli dimensioni, cui affidare tutte le principali funzioni statuali ad eccezione dell’esercito, della giustizia, della politica estera, e poche altre. Se, poi, questo tentativo dovesse fallire, allora la via della secessione (della liberazione) diverrebbe inevitabile. Gianfranco Morra
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