Confusione sotto le stelle (e strisce)
22 Settembre 2009
Talk show a Parigi. Si parla del futuro del capitalismo. Alain Minc, banchiere e futurologo, ebreo scenarista e tuttologo, dice: «Il debito, a questo livello, non si potrà assorbire che in due modi: o con la guerra o con l’inflazione». Giriamo l’osservazione a quelli che dicono che la crisi è finita.
Guerra? Israele e il suo satellite USA si preparano; stanno per cominciare grandi manovre aero-navali congiunte, comunica il quotidiano arabo Asharq al Awsat, che è basato sul seguente scenario: risposta ad un attacco missilistico contro Israele da parte dell’Iran, e contemporaneamente da parte di Siria, Libano e Gaza. Tutti i cattivi potentissimi (Gaza, soprattutto) coalizzati contro il povero indifeso Stato giudaico. Una sobria e realistica valutazione dei rischi che corre Israele per la sua stessa esistenza.
(1)
Anche se la manovra congiunta viene presentata come parte del piano del neo-presidente Obama, che ha deciso di cancellare il sistema antimissile pensato dall’amministrazione Bush, con missili in Polonia e radar in Cekia (contro l’Iran naturalmente, non contro la Russia), e sostituirlo con missili intercettori montati su navi vicine all’Iran, non è detto che Obama l’abbia davvero approvata, e persino che ne sia al corrente. E’ possibile, e questo fa davvero paura, che il sistema militare-industriale e i neocon continuino i «loro» programmi precedenti, qualunque cosa il nuovo Presidente dica.
Commandos americani stanno combattendo in Somalia, per liquidare i «terroristi» ossia il governo voluto dai somali, delle cosiddette corti islamiche; gli etiopici incaricati della liquidazione non ci sono riusciti, nonostante anni di massacri e miserie procurate (anche all’Etiopia). Pare che occorra un intervento diretto USA, molto segreto. E’ l’apertura di un altro fronte per forze armate che sono già impegnate in Iraq, Afghanistan, e nell’AfPak (ai confini del Pakistan, dove com’è noto si rifugia b bin Laden).
Il nuovo fronte è necessario: difatti IntelCenter (ossia Rita Katz e i suoi) ha appena scoperto un video che mostra «terroristi somali che si addestrano»: i TG italiani l’hanno fatto vedere, sottolineando il pericolo di quei quattro guerriglieri scalzi, evidentemente milizie delle corti islamiche.
«Bisogna combatterli là perchè non vengano a colpirci qua», è il messaggio: le corti islamiche somale attaccheranno l’Europa, se non le fermiamo. Arriveranno sui tappeti volanti. Come anche i Talebani, armati di bombe atomiche pachistane, se non riusciamo a vincerli.
Obama ha autorizzato il nuovo fronte? Forse no, visto che tenta disperatamente di chiudere quei due che ha ereditato da Bush, Afghanistan ed Iraq, e non sa come fare. Ma cosa volete, i programmi pre-definiti avanzano per conto loro.
Adesso il generale Mirza Aslam Beg, un ex capo di Stato Maggiore pakistano, ha rivelato che la prima ministra pakistana Benazir Bhutto è stata ammazzata da Blackwater, la nota agenzia di mercenari israelo-americani (che ha di recente cambiato nome: «Acque Nere» è diventata una più anodina «Xe»). Anzi, secondo il generale, Blackwater ha anche assassinato il premier libanese Rafik Hariri, e su incarico dell’ex dittatore pakistano Musharraf, ha attuato operazioni terroristiche in quattro città pakistane. Ovviamente terrorismo «islamico».
La Bhutto sarebbe stata uccisa perchè «non era stata ai patti» grazie ai quali era potuta tornare nel Paese dopo 9 anni di esilio; più probabilmente perchè – esattamente come il gran capo Massud in Afghanistan, ucciso da «Al-Qaeda» – il suo prestigio sarebbe stato un ostacolo alle ulteriori manovre di destabilizzazione, che mirano a togliere al Pakistan le sue testate atomiche, perchè altrimenti Israele non si sente tranquillo.
Obama era stato informato? Ne dubito. Quando la unica superpotenza rimasta si vale di 160 mila mercenari per diffondere la civiltà, succede che quelli si mettano a lavorare anche per altri: il business è business, anche se la civiltà occidentale ne soffre un pochino, e il futuro diventa ogni giorno più simile all’Europa del ‘500, percorsa da torme di lanzichenecchi.
Il principale gruppo editoriale pakistano, The News International, stava per pubblicare un’inchiesta sulle operazioni di Blackwater in Pakistan; ne è stato impedito. Indovinate da chi? Da Anne Patterson, ambasciatrice USA ad Islamabad
(2). Con quali minacce non sappiamo. Ma si vede bene che la macchina funziona benissimo per conto suo.
Per fare un altro esempio, torniamo alla Somalia. Qualche giornale ha scritto di recente che i famigerati pirati somali, che rendono insicure le rotte al largo di Aden (sulle quali Israele ha un interesse), ricevono informazioni sui navigli da attaccare da Londra: sanno tutto, carico, rotta, porto di destinazione. Chi li informa?
I sospetti cadono su una «ditta di sicurezza britannica», la Hart, fondata nel ’99 da Richard Bethell, un ex SAS che ha consolidato il suo business in Iraq dal 2003, gestendo «un gran numero di mercenari sudafricani». Ma c’è stato un periodo in cui la Hart di Bethell ha assunto un incarico a pagamento in Somalia: ha addestrato la sua patetica guardia costiera, che allora disponeva di tre vecchi battelli, preparando un mezzo migliaio di somali della costa a «combattere i pirati». C’è qualche sospetto che i militi-guardacoste addestrati da Bethell siano i pirati di oggi.
C’è un indizio preciso: la Hart Security ha assunto a pagamento la protezione delle navi del Worl Food Programme, l’agenzia dell’ONU che soccorre gli affamati nel mondo. Ebbene: le navi del World Food Programme destinate alla Somalia non subiscono mai gli attacchi dei pirati. E’ proprio una garanzia, la Hart: come la mafia, si paga il pizzo e si viene protetti
(3).
La faccenda, s’intende, è più complicata di così. Anche la Blackwater ha una sua nave nell’area, ovviamente per «combattere la pirateria» (o gestirla) non si sa per conto di chi. E ci sono commandos israeliani impegnati a difendere le navi israeliane, da crociera e no, che passano al largo delle coste somale.
E ancora, nel 2005, proprio quando gli USA organizzarono vari signori della guerra perchè marciassero su Mogadiscio a distruggere le corti islamiche («terroristi», o meglio governo somalo), una ditta della Virginia, prima sconosciuta, la TopCat Marine, si aggiudicò un contratto da 50 milioni di dollari dal governo USA «per sconfiggere i pirati».
La Top Caty Marine non ha mai condotto a termine il contratto, dato che la Somalia è ricaduta nel caos ben istigato da «altrove». Ma ha mantenuto cordiali rapporti coi pirati. Tanto che nel novembre 2008, quando i pirati catturarono la petroliera saudita «Sirius Star», i pirati non vollero trattare con gli armatori, ma soltanto con tale Michele Lynn Ballarin, una americana, guarda caso, della Virginia, che ufficialmente fa l’allevatrice di cavalli in USA.
Risultò poi, da scarne informazioni, che la Ballarin aveva dato una mano al «governo» filo-americano somalo (anti-corti islamiche) a reclutare 500 uomini che avrebbero dovuto fare i guardacoste dal porto di Berbera, contro i famosi pirati. La donna d’affari, si disse, aveva «costruito in cinque anni una notevole rete di capi di clan e sotto-clan»; risultato non male per una allevatrice di cavalli in Virginia. Si disse che in quei cinque anni la Ballarin lavorava con l’intelligence USA. Ma no?!
Come Hart, anche Top Cat appare una di quelle ditte mercenarie che conducono operazioni in cui la CIA, o chissà quali altri servizi, non possono apparire con la propria faccia. Ricavandosi un qualche profitto per sè.
Sei in Iraq a fianco delle truppe USA, e intanto ammazzi la Bhutto, o Hariri; addestri gli anti-pirati somali e intanto, ti guadagni la fiducia dei pirati e dei loro clan. Si chiama efficienza capitalista, l’occupazione delle nicchie di mercato. O lavoretti part-time per committenti occasionali.
Occasionali? Israele ha uno speciale interesse per i Paesi del Corno d’Africa, dall’Etiopia alla Somalia, che controllano sulle rotte che portano ad Eilat: il porto che, secondo i progetti tenacemente perseguiti, dovrà diventare il capolinea del prolungamento dell’oleodotto Baku-Ceyhan, e fare di Israele un Paese di transito petrolifero, con ricche royalty garantite. Il petrolio e il gas per l’Asia potranno passare non più attraverso il Golfo Persico (reso così insicuro, sapete, dal terribile Iran e dalla destabilizzazione dell’area fatta da non si sa chi), bensì da Eilat, al largo di Aden e nell’oceano Indiano. Oltretutto, dal Corno d’Africa si possono controllare Egitto, Arabia Saudita e Yemen.
Più il progetto israeliano diventa concreto, più insicuro diventa il Golfo Persico. Da qui la necessità di «pirati» da gestire, magari anche da Londra; o sul terreno grazie a mercenari «sudafricani». Non a caso, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, in agosto, ha fatto una serie di visite di Stato in vari Paesi africani dove, ha dichiarato, «Israele non ha una presenza sufficiente». Accompagnato, scrive Haaretz, da «decine di uomini d’affari, per lo più mediatori d’armi, oltre che di consiglieri per la sicurezza e rappresentanti delle industrie militari»
(4).
Si torna ai bei vecchi tempi, scrive il giornale, in cui si sono visti «israeliani coinvolti in guerre civili in Angola, Liberia, Sierra Leone e Costa d‘Avorio, e a sostenere regimi dittatoriali come la Guinea e le due repubbliche del Congo», nonchè a partecipare «a colpi di Stato in Uganda e Zanzibar»; i tempi di Golda Meir, quando Israele stanziava miliardi in aiuti allo sviiluppo, «e il denaro usato per piazzare una impressionante rete di agenti del Mossad negli Stati africani».
Già adesso del resto, con vendite d’armi alla Nigeria contro i ribelli del delta, «Israele si è messa nelle condizioni per interferire nelle dispute interne della Nigeria, che possono portare alla guerra civile».
Fino a ieri si poteva pensare che tali manovre ed altre (come il misterioso dirottamento della nave russa Arctic Sea) fossero in qualche modo concordate con Washington, o almeno che la Casa Bianca ne fosse informata
(5). Ma oggi non è così.
«La nuova Amministrazione ha deciso di entrare in aperto conflitto con Israele per migliorare l’immagine degli USA presso gli arabi, a nostre spese», ha dichiarato Eitan Gilboa, docente americanista alla Bar-Illan University.
«Obama umilia Israele. Per questo sta raccogliendo un mare di critiche, e molti membri del Congresso lo attaccano, e gli hanno scritto una lettera (sotto dettatura ell’AIPAC, ndr) in cui dicono che la sua politica verso Israele è inaccettabile. Per fortuna, Obama aveva molto credito all’inizio, ma ora è caduto dalla condizione di messia a quella di comune mortale».
Tutto quest’odio si spiega con la richiesta di Obama di bloccare nuovi insediamenti in Cisgiordania, a cui Netanyahu beninteso non ha nemmeno fatto finta di obbedire.
E’ chiaro che gli israeliani hanno deciso di perseguire i loro progetti, senza la copertura della Casa Bianca, fidando nella lobby interna per estorcerne il consenso, o peggio, nella prossima caduta di Obama, «comune mortale», insomma che può anche morire prima del termine.
L’indizio più evidente di questo scollamento è venuto da una dichiarazione di Zbigniew Brzezinski, vecchio guru del Council on Foreign Relations e già consigliere della Sicurezza Nazionale del presidente Carter: se Israele tentasse di attaccare per conto proprio i siti nucleari iraniani, ha detto Zbig, il presidente Obama dovrebbe mettere in chiaro che l’US Air Force intercetterà i loro aerei.
«Non siamo precisamente bambinetti impotenti», ha continuato Brzezinski; «loro devono sorvolare il nostro spazio aereo in Iraq. E noi resteremo a guardare? Dobbiamo seriamente negare loro questo diritto. Il che significa: se sorvolano, i nostri decollano e li affrontano. A loro la scelta di fare marcia indietro o no. Nessuno lo vuole, ma può diventare una “Liberty” a rovescio»
(6).
Interessante l’allusione alla «Liberty», la nave d’osservazione che gli USA mandarono al largo d’Israele durante la guerra dei Sei Giorni nel 1967, e che fu attaccata da aerei israeliani (senza insegne), che massacrarono l’equipaggio. Alle sommesse proteste americane, Israele disse che c’era stato uno sbaglio. E la cosa finì lì. Ancor oggi i parenti delle vittime chiedono invano una qualche soddifazione da Israele. E’ uno dei fatti più taciuti dai media americani.
La frase di Brzezinski segnala un cambio di atteggiamento? Un momento.
Dai tempi della campagna elettorale, si dice comunemente che Brzezinski sarebbe diventato una specie di superconsigliere di Obama nella politica estera. Ma Dennis Ross, già ambasciatore, ebreo filo-isareliano, ed oggi inviato speciale di Obama, ha smentito: «Brzezinski ha appoggiato Obama di sua iniziativa. Un anno fa si sono incontrati, hanno parlato un paio di volte. E il senatore Obama ha chiarito che sulle questioni medio-orientali, Brzezinski non è l’uomo a cui guarda. Non hanno gli stessi punti di vista». Infatti oggi Brzezinski non ricopre alcun ruolo nell’amministrazione Obama. E’ solo un privato che parla.
Del resto, in questi giorni Obama è molto occupato a scrivere i discorsi che terrà al G-20 di Pittsburg. Deve contrastare le proposte europee di regolamentazione della finanza speculativa, Sarkozy proporrà addirittura la Tobin tax sulle transazioni finanziarie
(7), che stroncherebbe il business principale di Wall Street e Londra. Come farlo?
Proporrà al mondo una delle sue grandi visioni: chiederà ai leader internazionali di «cambiare forma all’economia globale» tutti insieme, secondo la Reuters, che ha letto il brogliaccio strategico preparato per Obama dal suo consigliere speciale per il G-20, Michael Froman.
«Lo schema proporrà ai leader del G-20 di perseguire, individualmente e collettivamente, un insieme di direttive per una crescita più bilanciata. Senza nominare specifici Paesi, la proposta indica che gli USA dovranno risparmiare di più per tagliare il loro deficit, la Cina deve affidarsi meno alle esportazioni, e l’Europa deve fare cambiamenti strutturali, specie nel diritto del lavoro, onde rendersi più attraente per gli investimenti esteri».
La solita zuppa globalista, con un tocco di patetico: se come presidente USA nessuno ti obbedisce, prova a farti obbedire dal mondo intero. Se non riesci a governare il tuo Paese, governa Cina ed Europa. Obama va a dire ai grandi del G-20 che devono salvare l’economia americana cambiando le loro.
E’ la stessa cosa che spiegano oggi gli Stati Uniti ai loro alleati europei stufi di 8 anni di Afghanistan: non potete andarvene, dovete contribuire di più. Nemmeno un accenno di autocritica sul fatto che, dopo sette anni di occupazione a strategia americana, la situazione è compromessa, e lo è per colpa degli Stati Uniti. Siamo sempre noi che dobbiamo cambiare, mai loro. E i servi italiani
(8) ce lo ripetono: dobbiamo restare «con gli alleati», non è il momento di andarcene. Se mai, dobbiamo «aprire una riflessione» sul perchè siamo in Afghanistan, ma «tutti insieme».
Così, almeno, a forza di riflessione, anche noi abbiamo capito perchè siamo in Afghanistan. Per catturare bin Laden, no. Per liberare le donne dal chador, nemmeno. Per donare agli afghani la democrazia? Meglio non parlarne, dopo che abbiamo accettato come «capo legittimamente eletto» Karzai, che si è eletto a forza di brogli e di accordi con capi talebani locali. Siamo lì per salvare l’Afghanistan dai Talebani? Nemmeno.
Siamo in Afghanistan per salvare la NATO, che l’America ha messo in pericolo di frattura lanciandola appunto in Afghanistan, e dopo sette anni e mezzo di crudeltà ed errori tutti americani, è sull’orlo della diserzione.
Insomma, detto con altre parole: in Afghanistan dobbiamo vincere, perchè se no perdiamo. Von Clausewitz applaudirebbe a tanta chiarezza strategica, finalmente.
1) «Report: IDF, U.S. military to simulate Iran missile strike on Israel», Haaretz, 21 settembre 2009.
2) «Blackwater involved in Bhutto and Hariri hits: former Pakistani army chief» International News & World Reports, 20 settembre 2009.
3) «Who trained Somali pirates?», Judicial Inc, 11 maggio 2009.
4) Yossi Melman, «Israeli arms dealers join Lieberman's entourage to Africa», Haarezt, 6 agosto 2009.
5) Giulietto Chiesa, sul suo sito, offre un affascinante retroscena sulla vicenda Arctic Seas: un’operazione israeliana condotta contro Mosca ma anche contro Washington, perchè la nave portava testate atomiche recuperate dal sottomarino Kursk, e che stavano andando in USA per essere neutralizzate. Affascinante racconto, ma che si basa come quasi unica fonte sulle ricostruzioni di «Sorcha Faal», uno pseudonimo dietro cui si nasconde un blogger americano, David Booth, specializzato in retroscena sulla Russia, e ritenuto un fantasioso, se non un disinformatore. Attenzione, ciò non significa che la versione di Chiesa sia falsa. Lui è convinto della credibilità di Sorcha Faal? C’è da prenderlo sul serio: dopotutto ha ancora molte buone entrature negli ambienti ex-sovietici. E se ci credono loro, sanno quel che dicono.
6) «Zbig Brzezinski: Obama Administration Should Tell Israel U.S. Will Attack Israeli Jets if They Try to Attack Iran», ABC News, 20 settembre 2009.
7) La tobin Tax sulle transazioni finanziarie è stata recentemente proposta anche da Lord Adaiir Turner, presidente dell’organo di controllo della finanza britannica. Sarkozy, si dice, la proporrà al G-20. E per cercare di farla accettare dagli americani, proporrà che l’introito fiscale della tobin tax, originariamente da destinare allo sviluppo del terzo mondo, vada a finanziare le grandi banche in crisi.
8) Per esempio Lucia Annunziata, su La Stampa, si chiede ansiosa: «Ma Obama ci ama o non ci ama?». E si risponde: in Afghanistan « il raddoppio dei soldati USA deciso negli ultimi mesi da Obama (nel 2008 erano 32 mila, oggi 62 mila) e il desiderio di ritiro che circola in Europa sono elementi di distanza obiettivi, e creano un ovvio disagio». Insomma Obama ci ama, noi europei, ma lo abbiamo deluso. Se vogliamo che Obama ci ami ancora, mandiamo più truppe.
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