Lezioni di yiddish
26 Settembre 2009
L’inchiesta dell’FBI sul traffico d’organi, che ha portato all’arresto del rabbino Levy Izhak Rosenbaum di Brooklyn, e di altri pii rabbini di riciclaggio, è scomparsa dai media - cosa non sorprendente. Ma è istruttivo sapere come la facenda è trattata dai media ebraici.
Ad incastrare rabbi Rosenbaum, presentandosi a lui come un ebreo desideroso di procurare un rene da trapiantare su uno zio (e avendo un registratore nascosto sul corpo, come nei migliori film di spionaggio) è effettivamente un ebreo di nome Solomon Dwek. Figlio di un importante rabbino, Solomon era stato a sua volta incastrato dall’FBI tre anni fa, perchè beccato a spacciare 50 milioni di dollari (diconsi cinquanta) in assegni falsi. Come nei film di serie B, gli agenti federali lo pongono davanti alla scelta: o ti ciucci anni di galera, oppure collabori con noi come informatore, e chiudiamo un occhio sul tuo reato.
Solomon Dwek dunque accetta. Su indicazione dei federali, contatta Rosenbaum, e gli chiede come può ottenere un rene. Si noti: l’FBI non ha mai dato il vero nome di Dwek, nel rapporto d’accusa lo chiama con una sigla inventata, «UC».
Per esempio: «UC chiede all’incriminato Rosenbaum come possa ottenere un rene per lo zio di UC, e l’incriminato Rosenbaum spiega che l’incriminato Rosenbaum può inviare un campione dello zio di UC in Israele, onde trovare un donatore adatto. L’incriminato Rosenbaum aggiunge: “Se hai fretta, allora io porto qui il donatore... L’ospedale è l’autorità che decide se è adatto o no”... ».
Aggiunge che è necessario inventare qualche genere di parentela tra il donatore e il ricevente: «Mettiamo insieme qualcosa - la parentela. L’ospedale chiede qual’è la relazione fra il donatore e il ricevente. Così fabbrichiamo una relazione: amici, vicini, partner d’affari, qualunque relazione».
E’ noto che invece Rosenbaum importava i donatori per lo più dall’Est, da Romania o Moldavia, scegliendo dei poveracci che attirava a New York con false promesse di lavoro. Ma non è qui il punto che c’interessa. Il punto è che, pochi giorni dopo gli arresti, un giornale della comunità ortodossa ebraica americana «Vos Is Nejas» (in yiddish, «Che cosa c’è di nuovo», generalmente noto come VIN), dà notizia che il padre dell’informatore, rabbi Isaak Dwek, ha dichiarato pubblicamente, in sinagoga, di voler «sitting shivah» per suo figlio Solomon.
Prima lezione di yiddish: che cosa significa «sedere shivah»? Significa trattare il proprio figlio come se fosse morto, con un formale rituale ebraico. Ma s’intenda bene: rabbi Dwek non dichiara suo figlio morto davanti a tutta la comunità per la truffa finanziaria di 50 milioni di dollari, bensì per la gravissima colpa di aver «dato informazioni ai goym» contro altri ebrei. E’ un delitto per cui il Talmud commina la morte.
Più tardi, la rivista VIN pubblica una rettifica. Rabbi Isaak Dvew non ha «seduto shiva», bensì:
«Ha tenuto un sermone molto emozionante in cui ha denunciato nei termini più forti il fenomeno di un ebreo che informa su altri ebrei; ha detto che lui stesso è una vittima in questo dramma con Klal Ysroel, ed ha chiesto le preghiere di tutta la comunità ebraica per la sua terribile sofferenza».
Non una parola di «sofferenza» sul crimine orrendo - il commercio di organi - che suo figlio, volente o nolente, ha contribuito ad interrompere.
Ma ancora più agggiaccianti per sordità morale i commenti che i lettori hanno postato sotto l’articolo.
«Deve sedere shiva, suo figlio è moser e ha perso il suo cheluk ad Olam Haba». («Moser» significa «spione». «Olam Haba» è l’aldilà, letteralmente «il mondo a venire»).
«Si deve sedere shivah per un simile figlio. Suo figlio merita la morte, dunque è come fosse morto», scrive uno.
E un altro: «Perchè un padre non deve sedere shivah? Suo figlio non lo ha forse con la sua azione provocato a troncare ogni legame con lui? Come può il padre guardarlo di nuovo?».
«Qualunque cosa dica la halacha, quel che ha fatto è vergognoso».
Un altro lettore prova a giustificare il padre inadempiente: «Credetemi, rabbi Dwek sa bene com’è scandaloso perseguire rabbi Kassin (uno degli arrestati) e rabbi Yosef per giunta. Non capite come è doloroso denunciare un figlio in pubblico?».
Un anonimo chiede: «Cos’è peggio, mesira (essere uno spione) o arkuas?» (Non sono riuscito a trovare il senso di quest’ultimo termine).
Ma il fatto è che un altro lettore risponde: «Moser è peggio, specie nel modo in cui l’ha fatto, con l’inganno e l’esca. Pezzo di m...». Le apostrofi di «drek» (escremento) tornano spesso nei post dei lettori; con insistenza, il nome del colpevole Solomon Dwek diventa Solomon Drek.
Un altro ancora infierisce sul figlio: «Invece di farsi il suo periodo (in carcere) come un mentsch per il suo atto folle... no, mister Dwek ha deciso di essere un moser: un delitto per il quale Chofetz Chaim decreta che non c’è kapara - diversamente dal chillul hashem, che con la morte viene espiato, un moser continuerà a bruciare anche quando il fuoco del gehenom si esaurirà!».
«Kapara» significa perdono. «Chillul hashem» è ogni atto che profana il nome sacro di YHVH.
Qui, la lezione di ebraico ci introduce ad una teologia sorprendente. Traduciamo:
«Essere un moser (spione) è un delitto per cui non c’è perdono; al contrario della profanazione del nome di Dio, delitto per il quale la morte è espiazione sufficiente, informare dei fatti di un altro ebreo i goym comporta l’inferno (gehenom) per l’eternità, anzi di più».
In pratica, chi bestemmia o in altro modo profana il nome di Dio, se condannato a morte per questo peccato, va in paradiso (o Olam Haba); ma chi dà informazioni ai goym su un altro ebreo non è perdonabile nemmeno con la morte. E lo ha chiarito una delle massime autorità del rabbinismo, «Chofetz Chaim», nome popolare dato a Ysrael Meir Kagan (1838-1933), un talmudista di origine bielorussa veneratissimo fra gli ebrei hassidici americani. Fra le sue opere teologiche, notevole il trattatello «Tzipita L’Yeshuah», dalla domanda che - secondo il Trattato Shabbat del Talmud - il tribunale celeste porrà ad ogni ebreo dopo la morte: «Hai desiderato la redenzione?». Sì, desidera la redenzione, sanciva il rabbino Kagan, aspettando attivamente Moshiach (il Messia) ogni giorno e facendo tutto quello che si può per accelerare la redenzione: essenzialmente studiando la Torah e facendo mitzvot (buone azioni).
Non è chiaro se lo spaccio d’organi umani possa considerarsi una «mitzvah», ma certo è un’azione indifferente, a giudicare dai lettori di VIN. Il rabbino Kagan, alias Chofetz Chaim, aspettava la redenzione con tanto ardore che portava sempre con sè i vestiti speciali con cui cambiarsi, appena cominciava la redenzione, che ovviamente riguarderà «solo» gli ebrei, e «tutti» gli ebrei, essendo essi di natura divina. Un modello di pietà. Dai cui insegnamenti, i lettori di VIN - che sono cittadini americani - traggono la giustificazione religiosa del «dovere» di omertà contro lo Stato. Un dovere assoluto: dare informazioni sui delitti di ebrei a non-ebrei viene definito il «peccato per cui non c’è perdono»; è l’espressione usata da Gesù per bollare il peccato contro lo Spirito Santo. La Mafia, al confronto, è una associazione di dilettanti.
Conclude un altro lettore, e raccoglie l’approvazione generale: «L’FBI, quello ha fatto il vero chillul hashem». Tutti d’accordo: arrestare il rabbino Rosenbaum, venditore di organi di poveri moldavi, è la vera dissacrazione del nome divino.
Leggere per credere, al sito del pio giornale ebraico:
http://www.vosizneias.com/35738
Ed ecco la conseguenza di tutto questo: ricordate il Rapporto Goldstone, l’inchiesta ordinata dall’ONU, che si è conclusa con l’accusa ad Israele di crimini di guerra commessi a Gaza, e con la raccomandazione di sottoporre il caso alla Corte Penale Internazionale dell’Aja?
Come riporta l’agenzia ebraica Jewish Telegraphic Agency, «un alto funzionario della Casa Bianca» - in cui non è difficile riconoscere il capo dello staff Rahm Emanuel - «ha rassicurato i capi delle comunità ebraiche americane, in una telefonata riservata (off the record phone call) che è intenzione degli USA di portare “rapidamente” il rapporto alla sua “conclusione naturale”, ossia di non consentire ad esso di andare oltre. L’amministrazione Obama è pronta ad opporre il veto americano nel Consiglio di Sicurezza per liquidare ogni “difficoltà” che possa sorgere dal rapporto». Ossia annullare ogni tentativo di portare Israele sul banco degli accusati.
In particolare, rende noto la JTA, l’Autorità Palestinese ha avanzato una petizione che chiede di far valutare le accuse ad Israele dal Tribunale internazionale; ma «l’amministrazione ha detto chiaro all’Autorità Palestinese che non ha gradito la petizione».
Drek.
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