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Londra in guerra contro Berlino
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Come sempre, Londra dice che a sparare per primi sono stati i tedeschi. Peer Steinbruck, il ministro delle Finanze (adesso sconfitto alle elezioni) in una intervista a Spiegel ha accusato il Regno Unito di «fare di tutto per sabotare le proposte di più severe regolamentazioni finanziarie» che gli europei presentano al G-20 (1).

«Stanno tramando oscuri poteri in Gran Bretagna», ha detto il ministro, «c’è una lobby a Londra che vuol difendere il suo vantaggio competitivo con le unghie e coi denti. Del resto, i britannici traggono il 15% del loro prodotto interno lordo dalla finanza speculativa, la Germania il 6%».

Londra, ha aggiunto Steinbrueck, che con la sua City altamente deregolata è la grande responsabile (insieme agli americani) della tragedia economica in corso, è contro tutto il resto d’Europa; non vuole  «condividere il peso» della crisi che ha provocato «in forma di una tassa sugli scambi» finanziari (sembra che intenda la Tobin Tax, che la Merkel propone insieme a Sarkozy).

Ma, ha concluso Steinbruck minaccioso, «Noi cambiaremo eccome le regole dei mercati finanziari. La politica è come una locomotiva, si avvia lenta, ma poi giunge alla massima velocità».

Speriamo che sia vero, senza troppo crederci.

La Merkel adesso ha formato un governo con i liberali, ovviamente filobritannici. Si tratta di vedere fino a che punto potranno contrastare «la pancia» profonda della Germania. Fatto è che a nome della City, Evans-Pritchard del Telegraph, replica: questa è una dichiarazione di guerra. La Germania sta concentrando le sue forze per far chiudere un intero pezzo di economia britannica.

Immediatamente, la Banca Centrale britannica ha convocato tutti i maggiori economisti di Londra in un seminario segreto. Ufficiosamente, per trovare il modo di contrastare l’evidente inefficacia del colossale pompaggio di denaro creato dal nulla (quantitative easing) nel rimettere in moto il credito ad imprese e famiglie. I 175 miliardi di sterline iniettati (leggi: regalati), le banche inglesi se li tengono nelle loro cassaforti come riserve. Anche perchè su quelle riserve lucrano interessi, pagati loro dalla Banca d’Inghilterra: un lucro meno rischioso che prestare all’economia reale (le banche hanno usato i soldi ricevuti per speculare in Borsa, rivela ora il Financial Times).

Si era parlato di tagliare quegli interessi, sì da obbligare le banche a fare il loro mestiere; la cosa però viene esclusa dai bene informati. E dunque perchè la riunione segreta di esperti mai vista nella storia?

Sicuramente, per delineare la strategia di contrasto alle regolamentazioni che vorrebbero tedeschi, francesi, e - nel loro piccolo - gli italiani.

Londra è davvero sul piede di guerra. C’è il rischio, come titola sempre il Telegraph, che «Bruxelles si attribuisca poteri sconfinati, tanto da prendere il controllo della City» (2).

La BCE vuole costituire tre «authorities» (una per le banche, una per assicurazioni e pensioni, una per i mercati azionari) con «poteri coercitivi» che si eserciteranno sulla Financial Services Authority britannica (la loro Consob, che ha lasciato briglia sciolta agli speculatori); per di più, si sta cercando di far passare la misura attraverso una modifica del trattato di Maastrich a maggioranza qualificata, ossia «privando gli Stati del loro diritto di veto», di cui Londra ha regolarmente fatto il più largo uso per i suoi interessi.

La descrizione inglese degli eventi è perlomeno esagerata. La BCE capeggerà un «Tavolo dei rischi sistemici» che - ha detto - opererà attraverso «pressioni morali», chiedendo agli Stati di «spiegare» le loro politiche finanziarie più discutibili. Ben al disotto dei paventati «poteri coercitivi».

Ma Londra è già allarmatissima per la proposta di Obama di allargare la comproprietà del Fondo Monetario Internazionale ad altri attori: il Regno Unito, che è il numero 2 in quel condominio che è il Fondo (posizione che risale alla seconda guerra mondiale: USA e Gran Bretagna unite hanno la maggioranza automatica su tutti gli altri membri coalizzati), teme di vedere ridotto il suo ruolo mondiale.

Ma soprattutto, ha allarmato Londra uno studio dell’Istituto Tedesco per gli Affari Internazionali e di Sicurezza (Stiftung Wirtschaft Politik, un think tank che studia scenari per il governo federale) che profetizza, nè più nè meno che «una rapida perdita di peso politico sulla scena mondiale per la Gran Bretagna» (3).

«Nessun altro Paese dell’OCSE è stato colpito più duramente dalla crisi finanziaria internazionale» come la patria di Adam Smith e custode del dogma liberista, nota il SWP. Proprio perchè l’economia britannica il settore finanziario-speculativo ha un peso sproporzionato rispetto al resto, là la restrizione del credito e le insolvenze bancarie hanno prodotto il maggior danno. Il deficit commerciale con l’Unione Europea è triplicato in dieci anni, e sestuplicato verso la Germania. Vero è che l’Inghilterra ha invece un attivo commerciale notevole con gli USA, ma gli USA stanno riducendo le loro importazioni. E lo Stato, per salvare le banche secondo i dettami del capitalismo terminale, ha accumulato in pochi mesi un deficit pubblico astronomico.

La City forniva una buona fetta, anzi eccessiva, degli introiti fiscali; sicchè nel 2010 le entrate tributarie caleranno di una quantità pari al 14% del prodotto lordo britannico. E non ci sono prospettive di un miglioramento della finanza globale in tempi ragionevoli. Ciò, ragiona il SWP,  «porterà inevitabilmente alla riduzione delle capacità militari» inglesi, che sono uno degli strumenti residuali della politica mondiale britannica. Le guerre di Iraq e Afghanistan hanno consumato le forze armate inglesi, ne hanno mostrato i limiti, e le falle nell’equipaggiamento e rifornimento in guerre lontane, neocoloniali, antica specialità britannica.

Presto Londra non avrà i mezzi finanziari per  mantenere la triade degli armamenti strategici  di proiezione planetaria della forza (sottomarini a propulsione atomica, portaerei, Joint  Strike Fighter), e dovrà rinunciare ad almeno uno dei tre.

«Non avendo più la capacità di combattere spalla a spalla con gli Stati Uniti», perderà importanza come alleato privilegiato agli occhi di Washington, che «nelle future crisi internazionali si rivolgerà a nuovi partner».

Così, volente o nolente, per non perdere interamente la sua influenza, Londra - allontanata da Washington - dovrà avvicinarsi all’Unione Europea. Finendo per entrare nel sistema di difesa europeo auspicato dalla Germania.

Giova sperare. Se la speranza non lo è, l’analisi è realistica. Anzi si applica ancor meglio agli Stati Uniti, in rapido restringimento come superpotenza globale. Un recente studio di Loren Thompson,  del Lexington Institute, ha scoperto che la guerra - il solo metodo efficace con cui gli USA sono usciti dal tipo di crisi che stiamo vivendo - non è più conveniente come una volta. Ormai, con un esercito professionale, un soldato americano (che è pagato peggio dei suoi colleghi europei) costa 100 mila dollari l’anno, e il costo è in aumento (le spese mediche per i militari sono rincarate del 150% nel decennio).

«L’armata tutta di volontari è assurdamente costosa», dice Thompson, e ciò proprio mentre la potenza economica americana è caduta nel decennio dal 32% al 25% del prodotto lordo mondiale. E’ sempre colossale, perchè spiega Thompson, significa che «il 5% della popolazione mondiale genera il 25% della ricchezza mondiale»; il guaio è che quel cinque% «cerca di sostenere il 50% della spesa militare globale», il che non può durare. Le spese belliche vanno ridotte in linea con un bilancio pubblico in calo (4).

E se la City è in crisi, Wall Street, l’altra piazza speculativa globale, non sta meglio. Lo dice un sintomo sinistro: le principali multinazionali europee stanno abbandonando la Borsa di New York, dove prima era necessario stare per attrarre capitali. L’ultimo ad andarsene è Allianz, il colosso assicurativo tedesco. Ma già si sono fatte cancellare del listino di New York Danone, GDF Suez, Vivendi, Lafarge, Publicis, Adecco, e le tedesche BASF ed EON, ed altre seguiranno. Dal 2007, quasi il 40% dei grandi gruppi europei che s’erano fatti quotare a New York se ne sono andati.

Il motivo addotto per questo ritiro di massa è singolare: Wall Street richiede un eccesso di trasparenza e di adempimenti, che la rendono costosa. Dopo lo scandalo Enron del 2001, la legge Sarbanese-Oxley ha imposto norme contabili molto severe e complicate. Inoltre, lo spazio monetario europeo  ha creato un mercato azionario dove raccogliere capitali non è più difficile che a Wall Street.

Sì, il sistema anglo-britannico del capitalismo speculative pare alle corde, in via di rimpicciolimento sul piano mondiale. Ma attenzione: come ha detto Steinbrueck, difendono il loro sistema fallito «con le unghie e coi denti», e attraverso «poteri oscuri».

Mario Draghi, il loro amico

Resisteranno ad ogni seria regolamentazione. Cederanno sui «bonus» astronomici ai banchieri (ormai una concessione senza significato), ma si opporranno alla tassa Tobin, che aggraverebbe gli operatori che compiono milioni di scambi quotidiani, e ancor più alla separazione per legge dell’attività bancaria di prestito commerciale con quella speculativa. E possono contare su ben identificati amici in europa.

Ci limitiamo a citare qui lo EIR Strategic Alert numero 39:

«Quando gli è stato chiesto un parere sulla reintroduzione di uno standard Glass-Steagall per separare le banche commerciali da quelle d’affari, il capo del Financial Stability Board Mario Draghi ha risposto che un tale standard ‘farebbe crollare il sistema’. Ha così rivelato quale sia il vero timore dell’oligarchia finanziaria: che il ‘loro’ sistema affondi.

Lyndon LaRouche e banchieri come Paul Volcker hanno caldeggiato il ritorno al sistema Glass-Steagall per vietare alle banche ordinarie di fare ‘trading’ con i derivati e le cartolarizzazioni, così proteggendo i risparmiatori e non gli squali.

Paul Volcker ha reiterato la sua proposta ad una conferenza a Beverly Hills il 18 settembre, chiedendo che siano posti dei limiti alle attività di banche considerate ‘troppo grandi per fallire’.

Volcker ha sostenuto che le banche debbano essere vincolate agli interessi dei propri clienti, invece di fare le scommesse con il loro denaro, tramite unità interne che spesso agiscono come hedge fund. Egli ha proposto che sia vietato alle banche di promuovere e capitalizzare hedge funds e ditte di private equity. Ha anche detto che una sorveglianza particolarmente stretta, con alti margini di capitale e riserva obbligatoria, debba essere applicata per limitare la cartolarizzazione e il trading in derivati (...).

L’11 settembre Volcker è stato intervistato da Il Sole 24 Ore, e ha detto che si dovrebbero ‘trattare le banche in modo diverso dalle altre istituzioni finanziarie. E che si debbano limitare le loro attività. Per essere più specifici: le banche non dovrebbero essere proprietarie di hedge fund o di fondi di equity e le loro attività di trading dovrebbero essere circoscritte. Un’istituzione che produce il grosso del suo reddito con il trading non dovrebbe avere una licenza bancaria. Se vuole fare trading va bene, ma non come banca. Perché le banche hanno protezioni particolari che non si devono estendere a tutti».

Capito? Se quella che comincia è una guerra, Draghi sta dall’altra parte. Dalla parte del «Britannia», come sempre. Non è certo per caso che proprio all’apertura del G-20 a Pittsburgh, il Wall Street Journal (di Murdoch) ha indicato Draghi come la grande speranza della speculazione, giungendo a profetizzare - con gran compiacimento dei media italioti - che diverrà governatore della Banca Centrale Europea al posto di Trichet. Una profezia che le «forze oscure» si incaricheranno di far avverare.

La crisi come «opportunità»

E’ anche chiaro che alcuni dei circoli che hanno voluto la finanziarizzazione mondiale dell’economia, al sicuro nelle loro magioni e senza il rischio di perdere i loro emolumenti, stiano cercando di trasformare la crisi in opportunità.

Nel 2010 i disoccupati nei Paesi OCSE (sviluppati) aumenteranno di 25 milioni? Un personaggio come Jonathan Porritt se ne rallegra. Chi è Porritt?

E’ il guru supremo degli ambientalisti britannici, direttore di Friends of Earth (Amici della Terra), suggeritore delle teorie del principe Carlo, e fondatore di «Optimum Population Trust», la più importante fondazione «culturale» che diffonde le idee malthusiane, riccamente finanziata dai banchieri britannici (5).

london_war.jpgEbbene: Porritt, presente in tutti i talk show e in tutte le sedi che contano, sta ripetendo che questa crisi offre una soluzione facile per affrontare il riscaldamento globale da gas serra: dimezzare la popolazione mondiale. Per la Gran Bretagna, Porritt caldeggia una riduzione dagli attuali 61 milioni a 30. Non (per ora) con l’eutanasia diretta, ma promuovendo ancor più contraccezione e aborto (oltrechè il divieto di immigrazione); s’intende che la grande depressione farà il resto. I pensionati britannici e americani, i cui fondi pensione erano basati su portafogli azionari, hanno già visto ridurre i loro assegni di vecchiaia del 40%.

Così, nei prossimi mesi, aspettatevi ben finanziate campagne per la riduzione delle nascite, con richieste «spontanee» e di massa per la legalizzazione degli ultimi abortivi. Quando avverrà - e sicuramente sarete contagiati dalla «ragionevolezza» di tali «soluzioni», martellate dai media in modo così convincente - ricordate almeno che il malthusianesimo è una sola cosa col capitalismo finanziario britannico, non è che una faccia della medaglia: Adam Smith e Malthus nascono e crescono insieme.

Il «libero mercato armato», protetto dalle portaerei, ha la denatalità come corollario: solo in un mondo meno popolato, credono loro, il capitalismo della versione terminale può ancora  esistere. Dopotutto, già oggi, il 10% della popolazione mondiale (i super-ricchi, quelli dei bonus) valgono il 45% dei consumi globali: la metà dell’economia mondiale lavora solo per loro, non hanno bisogno di tre miliardi di camerieri.

Forse, dopotutto, i tedeschi s’ingannano - un’altra volta - a dare per spacciato l’impero britannico.   Sì, l’ideologia della globalizzazione, che ci hanno spacciato come inevitabile ed irreversibile, s’è dimostrata una tragica farsa. Sì, siamo sull’orlo di uno dei grandi rivolgimenti della civiltà. Ma, come disse Aldous Huxley, l’impero britannico è un «impero della mente», un impero sulle menti.

Le vostre comprese. Ed è difficile liberarsi da un impero che abbiamo nella testa, sotto forma di pensiero unico.




1) Ambrose Evans-Pritchard, «Germany declares economic war», Telegraph, 23 settembre 2009.
2) Ambrose Evans-Pritchard, «Sweeping new powers could see Brussels seize control of City», Telegraph, 23 settembre 2009.
3) Stephan Steinecke, «Grossbritannien am Scheideweg. Ein Ausblick auf die ‘Strategic Defence Review’ und die zukuenftige britische Sicherheits-und Verteidigungpolitik», SWP Arbeitspapier FG03-AP09 August 2009.
4) «Les forces armées US: la route vers la banqueroute», Dedefensa, 23 settembre 2009.
5) «Réduire la population pour lutter contre le réchauffement climatique», Voltairenet, 23 settembre 2009.



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