L’America si presta i soldi...
03 Ottobre 2009
Con tutti i miliardi spesi nei salvataggi delle banche, il Tesoro americano ha accumulato deficit di bilancio per 9 trilioni di dollari (9 mila miliardi). Soldi che gli Stati Uniti devono farsi prestare. Come, si sa: emettendo Buoni del Tesoro ad interesse ogni trimestre, e sperando che qualcuno li compri, per i prossimi dieci anni.
Fino a poco fa, Cina e Giappone compravano a man bassa: insomma prestavano il denaro al loro massimo debitore, perchè continuasse a comprare le loro merci; poi compravano le famiglie, e i cosiddeti «primary dealers», le grandi banche USA ed estere.
Ma questo avveniva quando il dollaro era ritenuto la moneta sicura, la riserva internazionale per eccellenza. Ed oggi come va?
Gli investitori esteri hanno abbassato radicalmente i loro investimenti» nei BOT americani: dai 159 miliardi di dollari acquistati nel primo trimestre sono scesi a 101 miliardi nel secondo. Un calo del desiderio di dollari del 40%.
E non basta: gli stranieri comprano solo i BOT americani a breve scadenza (trimestrale), evitando quelli a scadenza più lontana, annuale, quinquennale e decennale. Quelli, proprio, non li vogliono.
Non si fidano di quanto varrà il dollaro fra un anno, figurarsi fra dieci.
Ma allora chi compra i BOT americani invenduti?
La Federal Reserve. Nel secondo trimestre, la Banca Centrale americana ha comprato il 50% dei titoli emessi dal Tesoro USA: ben 164 miliardi su un’emissione di 339. Una cifra ancor più stupefacente, perchè supera gli acquisti sommati di BOT compiuti nello stesso periodo dagli stranieri e dalle famiglie (rispettivamente 101 e 29 miliardi di dollari).
Insomma: non c’è domanda per i titoli del debito USA, specie a lunga scadenza (sinistro scricchiolìo del sistema), e così l’America «presta» a se stessa i soldi di cui ha bisogno. La FED crea il denaro dal nulla e con questo finanzia il Tesoro. E’ un trucco vecchio come il cucco, che configura uno spaccio di moneta falsa, che crea inflazione futura; e in questa misura, pone le condizioni per un’iper-inflazione esplosiva.
Ma anche questo trucco non è sostenibile a lungo. Secondo ZeroHedge, un blog di solito ben informato, lo stanziamento per questo «quantitative easing» affidato alla FED ammonta a 300 miliardi di dollari, e «come tutti ormai sanno, alla FED sono rimasti solo 10 miliardi». Ciò significa che fra qualche giorno, il governo dovrà o accelerare la stampa di moneta aumentando il budget del quantitative easing, o rendere appetibili i suoi BOT aumentandone i tassi d’interesse, con ulteriore aggravio del debito pubblico americano.
Altro segnale più che allarmante: secondo voci ben informate, la Federal Reserve sta pensando di assestare i BOT ai fondi del mercato monetario, «perchè non ritiene che i ‘primary dealers’ abbiano bilanci capaci di fornire più di 100 miliardi di dollari» per comprare il debito pubblico.
Spaventoso; i primary dealers sono i seguenti enti finanziari:
BNP Paribas Securities Corp., Banc of America Securities LLC, Barclays Capital Inc., Cantor Fitzgerald & Co., Citigroup Global Markets Inc., Credit Suisse Securities (USA) LLC, Daiwa Securities America Inc., Deutsche Bank Securities Inc., Goldman, Sachs & Co., HSBC Securities (USA) Inc., Jefferies & Company, Inc., J. P. Morgan Securities Inc., Mizuho Securities USA, Morgan Stanley & Co. Incorporated, Nomura Securities International, Inc., RBC Capital Markets Corporation, RBS Securities Inc., UBS Securities LLC.
Ed ora, la FED teme che tutte insieme, queste banche colossali e secondo la FED «ben capitalizzate» (dalla FED stessa), non abbiano 100 miliardi di capitale da investire in un investimento relativamente senza rischio come l’acquisto di BOT americani a breve. Banche che, in questi tempi, hanno ridotto i prestiti commerciali, e speculano in materie prime e mercati azionari coi soldi a tasso zero della FED.
Vuol dire che queste banche sono ancora nei guai grossi, dopo tutte le iniezioni titaniche di denaro pubblico, che andrà a carico del contribuente? Probabilmente sì.
La FED vuole andare nei fondi del mercato monetario perchè lì i soldi ci sono: tali fondi gestiscono 2,3 trilioni di dollari, sicchè la FED può sperare di sbolognare ad essi 300-400 miliardi di BOT. Ma che cosa sono questi fondi monetari?
Sono i Fondi Pensione che gestiscono le pensioni private (401k) ed IRA, Individual Retirement Account. Insomma, Bernanke si appresta a saccheggiare i risparmi per la vecchiaia degli americani; un popolo dove i disoccupati (14,5 milioni ufficialmente) sono sei volte di più dei posti di lavoro offerti. E dove il 12% chiedono «food stamps», ossia i buoni alimentari di povertà.
Evidente la conclusione: l’enormità del debito e della moneta ex-nihilo emessa dallo Stato americano è tale da rovinare le famiglie, minacciare la solvibilità delle istituzioni finanziarie e delle imprese, da far prevdere la vaporizzazione del dollaro come moneta, e infine, da scuotere la stabilità dell’intera economia globale.
Come?
Lo ha spiegato Andrew Sheng, membro della Commissione cinese di regolamentazione bancaria, intervenendo al convegno «The International Financial Crisis» indetto dalla Federal Reserve Bank di Chicago. Molti ed aspri i rimproveri che mister Sheng ha rivolto alle autorità monetarie USA (può farlo, dato che lui è il creditore): per esempio, che il cambiare il problema di insolvenza bancaria in un problema di insolvenza sovrana non migliorerà le cose, anzi replicherà «il decennio perduto giapponese» su scala globale.
Ha aggiunto: nessuna nazione è in grado di alzare i propri tassi d’interesse perchè i fiumi di denaro creato dal nulla in USA sono pronti a piombare in massa nella nazione che lo facesse, creando bolle esplosive.
«State creando il più grande carry trade della storia», ha detto Sheng. «Carry Trade» è la più idiota delle speculazioni rese possibile dalla globalizzazione: consiste nel farsi prestare denaro a tasso zero in un Paese, e impiegarlo in un altro paese, dove i BOT locali rendono di più. Per i dieci anni precedenti il 2007, tipicamente gli speculatori prendevano denaro a prestito in yen, perchè la Banca Centrale nipponica manteneva i tassi a zero sperando di innescare la ripresa economica, e li «investivano» in qualunque altro posto. Anche in Ungheria, offrendo mutui a tasso comunque superiore a zero.
Quando parla di «nazione non in grado di alzare i propri tassi», ovviamente è della Cina che parla mister Sheng. La Cina che cresce ancor oggi dell’8% annuo, e fa dire ai nostri soliti economisti che è diventata la locomotiva del mondo, quella che grazie ai suoi consumi ci tirerà fuori dalla depressione. Ma nessuno osa chiedere: come avviene questo strano miracolo - l’8% di crescita annua - quando l’export cinese è crollato del 20%, e in certi settori anche più? Perchè la risposta sarebbe: la Cina è piena di bolle speculative, anzi è essa stessa una bolla gigantesca.
Il volume di capitali esteri che si stanno fiondando ad «investirsi» in Cina, ossia ad offrire alla Cina credito, sono pari ormai a un terzo del PIL cinese. Siccome la Cina «è sana», e i capitalisti speculativi sono pieni di denaro a tasso sottozero fornito dalla FED, vanno lì ad offrire credito. E le banche cinesi, che sono già stracolme di fidi e prestiti problematici, sono in qualche modo costrette a prestare ancor di più, per via di quel denaro che ricevono da fuori. Ampliano il credito alle aziende cinesi che, avendo perso il loro massimo cliente (l’americano), già soffrono di gravi problemi di sovraccapacità produttiva; offrono credito per giocare in Borsa (e la Borsa cinese è cresciuta dell’85% in un anno); offrono crediti a chi compra immobili e materie prime, provocando rincari astronomici in quei settori.
E non solo: forse ricorderete che qualche mese fa, a Shanghai, un palazzo nuovo di 13 piani, ancora in costruzione, s’è afflosciato; è uno degli effetti del denaro facile messo a disposizione di costruttori che, in tempi normali, non riceverebbero mezzo yuan a credito.
Insomma: la Cina è un’economia assurdamente surriscaldata, nel mezzo della depressione che colpisce il mondo e i suoi principali clienti. Avrebbe bisogno di alzare i tassi d’interesse per raffreddare la sua economia; ma non può farlo, perchè attrarrebbe ancora più capitali dagli USA, capitali roventi, creati dal nulla. L’intera struttura manifatturiera cinese è minacciata di crollo quando la bolla scoppierà... e come sempre, il disatro sarà dovuto alla finanza speculativa globalizzata, alla famosa «libera circolazione di capitali».
Il mostro «comunista» ha voluto legarsi a doppio filo al mostro capitalista: il felice G-2 di cui straparlano i nostri economisti e politici («Ormai la Cina conta più dell’Europa, ad Obama basta mettersi d’accordo con Pechino»), sono due titani che precipitano insieme nell’abisso. Ci sarebbe da rallegrarsi, se non fosse che trascineranno con sè le altre economie.
Non si può dire che il gigante cinese non cerchi di divincolarsi dall’abbraccio mortale del suo mega cliente-debitore. Pechino è incatenata al suo tesoro, 2 trilioni di dollari in titoli americani. Non può venderli senza nuocere al corso del dollaro, provocando il rialzo del renminbi (la sua moneta) e dunque perdendo «competitività», e assestando un colpo ulteriore alle sue esportazioni già tragicamente diminuite. Così, Pechino assiste sgomenta alla perdita di valore del dollaro, e dunque del suo tesoro di 2 trilioni.
Ma qualcosa fa. Sta comprando, anzi accaparrandosi, tutti beni fisici che può: beni agricoli, metalli, miniere. Paga coi dollari che si squagliano come neve al sole, e di cui possiede montagne: incredibilmente, ci sono Paesi che vendono i loro tesori minerari ricevendo in cambio dollari. Non durerà a lungo, ma intanto la Cina mette da parte materie prime, che potranno essere necessarie alle sue industrie se e quando arriverà la ripresa.
Per esempio, compra il rame. Il rame è una merce ambita in tempi di crisi, perchè come l’oro è una riserva di valore, è relativamente scarso, ed inoltre ha usi industriali in cui è insostituibile. Pare che oggi oltre un milione di tonnellate di rame dormano nei depositi cinesi, come scommessa in caso di rialzo del prezzo mondiale. Un buon investimento. O forse no?
In tempi normali, il rame è un indicatore inestimabile della situazione: quando rincara, vuol dire che siamo in un boom economico. Ma in questi mesi, l’indicatore è rotto: il rame rincara, ma l’economia è in depressione profonda. Tutto il rincaro è dovuto all’accaparramento cinese.
Continuerà a rincarare, ma fino a quando? Tutto dipende se ci sarà una ripresa a breve o medio termine. Il che pare improbabile a dir poco.
Anzi. Via via che si spendono tutti i denari dei «salvataggi», che aspirano i sussidi di disoccupazione, che scadono gli «stimoli» a sostegno di certe industrie e non altre, la crisi sociale si rivelerà in tutta la sua durezza. Prendete i premi di rottamazione per l’acquisto di auto nuove: hanno fatto aumentare le vendite in Italia e in Germania (qui del 28%), ma solo a prezzo di un collasso prossimo venturo. Appena i premi scadranno, nessuno comprerà più. L’industria tedesca si aspetta un crollo delle vendite di un milione di pezzi l’anno prossimo; Marchionne è già andato a bussare a soldi pubblici, minacciando «una catastrofe» di licenziamenti. Gli Stati hanno ceduto al ricatto della lobby auto, e ne pagheranno le conseguenze. Loro, noi; e anche la lobby, speriamo.
In USA, a novembre, spirerà la facilitazione fiscale per l’acquisto di case nuove (8 mila dollari di credito sui tributi): la vendita di case, che è già calata del 70%, crollerà ancora. In Spagna, stanno per spirare i sussidi di disoccupazione: presto i disoccupati spagnoli dovranno campare con 100 euro a settimana. In Italia, le richieste di sussidi aumentano del 50% in un anno: e dureranno sei mesi soltanto.
I consumi privati si restringeranno ancora: anche in Italia dove la produzione industriale è calata del 18%, in Germania meno 17%, in Giappone meno 23%. Il credito bancario ai consumi e alle imprese è ristretto come non mai, perchè mai banche private dovrebbero prestare ad industrie la cui produzione cala, in un mercato in cui calano i consumi?
Dunque non ci sarà ripresa. Ci sarà magari qualche pseudo-ripresa via via che vengono escogitati nuovi stimoli artificiali: si avrà non una ripresa a «V», e nemmeno ad «L», ma magari un insieme di cadute: «WWW». Una ripresa internet, virtuale.
E cosa farà la Cina, col suo milione di tonnellate di rame pagato a caro prezzo, che non può utilizzare perchè le esportazioni non riprendono, e le industrie non ne hanno bisogno? Potrebbe anche cominciare a venderlo. Ottenendo l’effetto di una caduta del prezzo, quindi un altro scoppio di bolla.
L’economia, più è globale, più è destabilizzante.
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