Slealtà italiana, dignità turca
16 Ottobre 2009
«Spazzatura!», ha strillato subito La Russa. E Berlusconi ha annunciato querela contro il Times. Il quotidiano di Londra ha lanciato una bomba intelligente contro il nostro governo. Ha rivelato che i servizi italiani in Afghanistan pagavano i capi talebani perchè non attaccassero «i nostri ragazzi» che presidiavano la base di Surobi, 65 chilometri ad Est di Kabul. Nel luglio 2008 gli italiani hanno abbandonato la zona e i pagamenti sono stati interrotti; i francesi, subentrati a Surobi, ignoravano gli accordi che facevano sembrare la zona così tranquilla.
Risultato: un agguato in cui sono morti e atrocemente fatti a pezzi 10 soldati francesi. Il Times accusa: i pagamenti sottobanco degli italiani «hanno contribuito» a quelle morti, perchè gli italiani nascosero ai francesi quei pagamenti, inducendoli ad una errata valutazione del rischio.
Spazzatura? Rispondere con querele? Attenzione, il Times dice che ci sono intercettazioni dell’intelligence USA come prova; anzi, che l’ambasciatore USA (Spogli) aveva protestato per queste tattiche a mazzette presso il nostro governo. Esattamente come nel caso Calipari, gli americani ci controllano istante per istante. Soprattutto, ohimè, ci accusa il nostro passato militare, l’eterno Otto Settembre.
Dopo il voltafaccia di Badoglio, i tedeschi scoprirono in Italia grandi riserve di materiali e carburanti, che gli italiani avevano chiesto loro per lo sforzo in Nordafrica, ed avevano nascosto. Il feldmaresciallo Kesselring, che era stato spostato in Italia per organizzare i rifornimenti alle forze di Rommel in Africa, ricorda nelle sue memorie «la riluttanza italiana a rischiare le navi da trasporto, forse nella speranza di preservarle per la sospirata pace». E aggiunge, ben conscio della miserabile furbizia dei nostri comandi: «L’insufficienza dello sforzo in uomini e materiali non era dovuto ad una effettiva penuria, ma ad un freno incomprensibile. Fosse per assenza di un conoscenza centralizzata delle riserve disponibili, fosse l’idea di facilitare la transizione alla pace limitando il dispendio di guerra, il risultato di queste mezze misure fu uno: la perdita dell’Africa e della Sicilia». Soltanto «poco prima della diserzione italiana l’ultimo capo di Stato Maggiore, il generale Ambrosio, cambiò tattica e prese a chiedere uomini e materiali in così insensata quantità e qualità, da far indovinare le losche intenzioni che si realizzarono in seguito».
Traggo le citazioni da un saggio americano: «The Italian military enigma» del maggiore dei Marines Eric Hansen, risalente al 1988, dove - non essendoci bisogno, tra militari, di strombazzare la solita propaganda sui tedeschi cattivi - si riconosce che Hitler fu leale a Mussolini, soccorrendolo militarmente più volte; si lodano l’eccezionale bravura di Kesselring e di Rommel, e la loro lealtà verso l’alleato italiano, e come questo l’abbia tradita. La scoperta dei sabotaggi e degli accaparramenti dopo l’8 settembre del ‘43, lascia capire Hansen, giustifica l’esasperazione tedesca contro gli ex-alleati; quel carburante e quei pezzi di ricambio se l’erano tolti, per così dire, di bocca. Il maggiore Hansen si propone nel suo saggio di «determinare se l’Italia, nostra alleata, ha imparato dai passati errori e corretto le deficienze percepite o reali».
Ad ogni buon conto, in Afghanistan ci intercettano le comunicazioni istante per istante; e in Iraq hanno fatto lo stesso: ascoltavano ogni parola che Calipari pronunciava ai suoi telefonini, e forse l’hanno ammazzato per farci imparare dai «passati errori». Siamo noi che non impariamo mai niente.
Naturalmente il Times partecipa al «complotto straniero» contro Berlusconi, anzi ce ne è la prova: il giornale londinese ha passato la sua esclusiva al Corriere della Sera, che l’ha infatti pubblicata in contemporanea
(1). Però, se con ciò si sperava di dare il colpo definitivo al Cavaliere, tale da costringerlo a dimettersi, la speranza sarà delusa. Sento già nostri esperti militari dire alla radio che anche gli inglesi hanno pagato la loro quiete in zona d’operazione, insomma che così fan tutti. Qualcuno di questi esperti ha persino rimproverato gli americani per quelle loro intercettazioni: «Non si comporta così un alleato».
Vero, anzi di più. Sono gli americani che hanno trascinato la NATO in Afghanistan in una guerra di cui non sanno dire il senso, provocando la crisi forse finale dell’alleanza; l’episodio di Surobi in fondo rivela la mancanza di solidarietà e coordinazione tra alleati, la diffidenza reciproca, tragica di fronte al nemico.
Tutto vero. C’è solo un piccolo neo: sono gli stessi argomenti con cui da ottant’anni l’Italia ufficiale, «nata dalla resistenza», giustifica il tradimento badogliano dell’alleato tedesco: era l’alleato sbagliato, e abbiamo fatto bene a passare al nemico perchè, col senno di poi, abbiamo visto che cosa facevano i tedeschi nei lager. Era la guerra moralmente sbagliata, e tradendo siamo tornati dalla parte giusta, con le «democrazie».
Alle guerre sbagliate, una nazione seria rifiuta, con dignità, di partecipare. Invece non abbiamo elevato una sola obiezione nell’Alleanza Atlantica, abbiamo fatto i primi della classe presso Washington, mandando uomini quando ce l’hanno ordinato; per poi metterci d’accordo sottobanco col «nemico», pagandolo perchè non ammazzasse i «nostri ragazzi», cosa che avrebbe procurato difficoltà nella politica nostrana. Naturalmente, la scusa è pronta: non si poteva dire di no a Bush, la NATO ci protegge, ne abbiamo bisogno; siamo deboli, non possiamo lasciare l’alleanza...
La Turchia è membro della NATO, fra i più forti e fedeli. Eppure, ha rifiutato il passaggio delle forze USA d’invasione in Iraq, con tanto di voto parlamentare: ha detto no a Bush per una guerra che disapprovava, e non ha subito alcuna ritorsione americana. Il suo primo ministro Erdogan ha preso posizioni durissime contro i massacri israeliani a Gaza, mentre tutti noi europei tacevamo, e da allora attua seriamente e con coerenza una politica di opposizione ad Israele.
Pochi giorni fa, ha dichiarato «non grata» la presenza di caccia israeliani ad un’esercitazione NATO, «Anatolian Eagle», che avrebbe dovuto tenersi in Turchia: quegli aerei hanno bombardato i civili a Gaza, ha detto. Sono seguite le ovvie pressioni americane. Ankara ha tenuto duro. Il Pentagono ha preferito cancellare l’esercitazione (a cui dovevamo partecipare anche noi italiani, sempre obbedienti).
Meno di una settimana dopo questo incidente, il 13 ottobre, Ankara ha aperto clamorosamente i rapporti con la Siria, lo «Stato canaglia» che, su ordine isrealiano, tutti gli europei trattano da paria: in pompa magna, ostentatamente, ben dieci ministri turchi, capeggiati dal ministro degli Esteri, sono andati ad Aleppo a celebrare un neonato «Consiglio di Cooperazione strategica d’Alto Livello» con i loro colleghi siriani. Hanno annunciato persino prossime esercitazioni congiunte turco-siriane. La Siria, costantemente minacciata da Israele, non è più isolata, ha un alleato.
E’ chiaro che, dopo Gaza, Erdogan conduce una deliberata politica contro l’estremismo israeliano. Una posizione, come nota il sito Dedefensa, che ha dalla sua felicemente «una posizione morale evidente, che nessun capo di governo europeo ha osato prendere»: già, noi sempre pronti a far lezioni sui «diritti umani» a Putin, verso Israele siamo stati zitti. La posizione europea, degna della civiltà, e persino delle famose «radici cristiane», la sta tenendo il turco islamista Erdogan. Fa capire chiaramente che dopo le atrocità commesse a Gaza, non considera più Israele un Paese normale, con cui si possono tenere normali rapporti; e che se c’è uno Stato-canaglia nel Mediterraneo, non è la Siria.
Dedefensa elenca una serie di altre azioni prese dal governo islamista («moderato») di Erdogan in pochi mesi: dalla normalizzazione dei rapporti con l’Armenia, all’apertura con l’Iran, verso cui Erdogan ha manifestato la cordiale disposizione ad offrire i «buoni uffici» turchi nella questione nucleare che oppone Teheran all’Occidente («si parla delle bombe atomiche iraniane, e perchè non di quelle israeliane?», ha avuto il coraggio di dire). Nel conflitto russo-georgiano, Erdogan ha preso una posizione indipendente, in aperto contrasto con quella europea (che s’era affrettata a dar la colpa a Putin). Nello spinoso affare del conflitto tra i due oleodotti rivali che devono passare sul suo territorio, il Nabucco voluto dagli USA in funzione anti-russa e il Southstream, Erdogan ha firmato con Putin l’accordo perchè il Southstream porti il gas russo verso la Bulgaria e l’Italia, passando sotto le coste turche. Una posizione che gli inglesi hanno bollato come «doppio giuoco»: ma poi non hanno fatto niente.
Il Times non ha tirato fuori scandalose rivelazioni sulla doppiezza di Erdogan, nè i poteri forti anglo-americani fanno combutta con i giornali e le opposizioni turche per far cadere il suo governo. Contro Erdogan, non risultano «complotti esteri» occulti come quelli sospettabili contro Berlusconi. Washington sa di aver bisogno di Ankara nella NATO, più di quanto la Turchia ha bisogno di Washington.
E’ questo il punto. La Turchia resta un membro della NATO, eppure riesce a fare una politica estera indipendente, nuova e per certi aspetti sorprendente, senza subalternità nè servilismi. Diversamente da tutti gli europei, ha preso atto che con la fine della guerra fredda è finita un’epoca e ne comincia una nuova; che l’unipolarismo americano ha i giorni contati; he l’Alleanza non è il sostituto della politica estera nazionale, (noi invece gliel’abbiamo ceduta in toto) e ciò specie da quando c’è di fatto dentro Israele, posseduta dai suoi demoni messianici e irrazionali; e si sta sciogliendo dal nodo scorsoio che la NATO è diventata per tutti noi europei, per nostra adesione agli «idola» americanisti e israelisti. Lo fa per giunta, senza sotterfugi, ma apertamente e lealmente, in base ad una concezione non antagonizzante del nuovo mondo senza più blocchi; quel mondo che Washington e Tel Aviv hanno cercato di mantenere fantasmaticamente, creandosi - e creando a noi - nemici spettrali («Putin», «Ahmadinejad», «Hamas», «Hezbollah», per non parlare di «Osama bin Laden» e del «terrorismo islamico»): spettri che servono appunto a perpetuare l’egemonia americana su di noi, che ci serriamo attorno come pecore tremebonde, salvo poi fare i furbi pagando i talebani perché non ammazzino «i nostri ragazzi».
Il sito Dedefensa (franco-belga) propone non senza ironia la politica turca come «modello» per l’Europa
(2): ci mostra «la possibilità di un’evoluzione dall’imprigionamento in un sistema - e un sistema che non controlla più se stesso - verso una posizione che tiene conto delle realtà nuove senza fondamentali rotture. Sul ritorno alla diplomazia classica, che si fonda su una certa sovranità ritrovata, e che scarta i conflitti artificiali in cui il mondo americanista s’è impantanato».
Perchè no?
Proprio in questi giorni e in queste ore, ogni personaggio politico che conti qualcosa in Europa sta ricevendo telefonate e pressioni occulte a mitraglia che gli intimano una cosa sola: affossare il Rapporto Goldstone, commissionato dall’ONU, e impedire che sia discusso pubblicamente a Ginevra. E’ quel rapporto che documenta i crimini contro l’umanità di cui Israele si è macchiato a Gaza.
L’Agenzia di stampa ebraica lo ha detto esplicitamente: «Il ministro della Difesa Ehud Barak ha contattato parecchi alti membri d’Europa prima che il rapporto Goldstone venga discusso dalla riunione dell’UN Human Rights Council. Tra quelli che hanno ricevuto la telefonata ci sono il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, il britannico David Miliband, il ministro spagnolo Miguel Moratinos. Israele sta cercando di limitare il danno della discussione... Durante le telefonate, Barak ha detto che il Rapporto è "distorto, fraudolento, tendenzioso e incoraggia il terrorismo"... Gli Stati democratici occidentali devono capire che se approvano il Rapporto danneggeranno gravemente la loro stessa capacità di affrontare il terrorismo in generale», ha detto Barak.
Ecco l’occasione per mostrare una dignità turca. Respingere le pressioni, riaffermare che spargere fosforo bianco su bambini non è un metodo civile per «affrontare il terrorismo», si può: e siate certi, non succede niente. La forza della lobby esiste solo per la debolezza dei lobotomizzati.
1) Lorenzo Cremonesi, «Accuse agli 007 italiani: mazzette ai talebani per evitare attacchi», Il Corriere della Sera, 15 ottobre. In contemporanea col Times: John Coghlan, «French troops were killed after Italy hushed up ‘bribes’ to Taleban», 15 ottobre 2009. E’ raro che un giornale inglese ceda una sua esclusiva a un giornale italiano. Chissà se sono state pagate mazzette...
2) «Pourquoi pas un modèle turc?», Dedefensa, 14 ottobre 2009.
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