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La Regione criminogena
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Comincia a Milano «Mani  Pulite 2»? Speriamo. Intanto il titolo del Corriere: «Fondi neri per 22 milioni di euro. Arrestati imprenditore e assessore. In cella l’industriale Grossi e la Gariboldi, esponente del Pdl di Pavia».

Stavolta non si tratta della solita persecuzione giudiziaria antiberlusconiana, lasciatevelo dire da un milanese. Vediamo i due arrestati principali:

GIUSEPPE GROSSI
– E’ il capo più importante gruppo italiano che si occupa di bonifica «ecologica» delle aree industriali dismesse, la Green Holding SpA. Uno che i soldi li fa con la Regione. Ultimamente, guadagna con la bonifica di un’area della Montedison e di acciaiere Redaelli, che La Regione Lombardia sta trasformando in un complesso residenziale «di pregio» (ne ha proprio bisogno, Milano) per 270 mila metri quatri, con 600 residenze di lusso.

Grossi è «ciellino doc»: se non si è ciellini, o meglio della Compagnia delle Opere, con la regione non si fanno affari. Questo buon cristiano non perde una messa domenicale a Inzago dove abita, in una villa con eliporto e una collezione di auto storiche, fra cui 20 Ferrari: paga un dipendente solo per accenderle ogni mattina. Ma ha anche una collezione di orologi di gran pregio che valgono 6 milioni e 400 mila euro, di cui la magistratura sta cercando la destinazione. Possiede anche palazzo Visconti, un castello seicentesco a Brignano d’Adda. Generoso, ha pagato alla sua ex segretaria tale Maria Ruggero (arrestata con lui) 4,5 milioni di euro; la segretaria risulta possidente di una casa in via Moscova (centro assoluto) del valore di un milione e mezzo di euro.

Secondo i magistrati, Giuseppe Grossi «nel solo 2008» s’è fatto riportare in Italia dalla Svizzera 2,5 milioni di euro «in contanti» tramite spalloni di una società elvetica che fa questo servizio (si chiama Silvoro), «avvolti in carta da giornale»; sarebbero parte dei fondi neri – 22 milioni di euro, 44 miliardi di vecchie lire – nascosti all’estero dal gruppo che fa capo a Grossi.

Una cosa è certa: tutti quei miliardi sono soldi della Regione. Soldi che la Regione Lombardia ha pagato a Grossi per i suoi  servizi di bonifica, e gonfiati da sovraffatturazioni e forse false fatturazioni. Ventine di milioni di euro rubati ai contribuenti nel civile Nord.

ROSANNA GARIBOLDI – Assessora della Provincia di Pavia ma soprattutto moglie di Giancarlo Abelli, già onnipotente assessore alle Politiche Sociali della Regione, oggi parlamentare e vice-coordinatore del Pdl, di cui parleremo più diffusamente sotto. La signora ha un conto cifrato a Montecarlo, sul quale fra il 2001 e il 2008 ha ricevuto per 12 volte «ingenti somme» da conti riconducibili al sullodato Grossi, e dal quale inviò a Grossi somme per tre volte: nel dare e avere, la Gariboldi ha «trattenuto» per sè 1,2 milioni di euro. Su questo conto cifrato di Monaco, il marito Abelli «figura titolare di un mandato come procuratore», insomma poteva prelevare anche lui.

Mentre godeva di quel conto monegasco, la Gariboldi dichiarava al fisco, fino al 2006, meno di 50 mila euro di reddito annuo, e dopo un po’ di più, ma sempre sotto i 90 mila. Sicchè, secondo i procuratori inquirenti, il conto a Monaco era in realtà «un conto di transito utilizzato pressochè in esclusiva per operazioni funzionali a ripulire i proventi delle attività illecite di Grossi» – per questo la signora è accusata di ricettazione e riciclaggio – anche se, beninteso, per questo la signora poteva scremarsi una parte, quei 1,2 milioni di euro. Altra forma di compensazione dev’essere la Porsche 911 coupè che il parlamentare Abelli guida regolarmente, e che risulta proprietà del Grossi, che gliel’affitta volentieri; e i voli settimanali nel jet privato del Grossi.

GIANCARLO ABELLI – Il consorte, non è stato arrestato. Ma ha un passato tale, che mi basta fare un copia/incolla da vari articoli. Ras della Sanita ed assessore della Sanità nella Regione (la Sanità vale i due terzi almeno delle spese), potente signore politico di Pavia, ciellino ancorchè in odore di massoneria, fra i dirigenti della Compagnia delle Opere.

Da un ritaglio: «Ancor prima di Mani pulite, quando era democristiano, Abelli fu arrestato e processato. Assolto, tornò alla politica. E fu chiamato dal presidente della Regione, Roberto Formigoni, come consigliere per la sanità. Abelli era contemporaneamente amico e consulente anche del professor Giuseppe Poggi Longostrevi, organizzatore di una colossale truffa (almeno 60 miliardi sottratti alla Regione Lombardia), che ha coinvolto centinaia di medici i quali stilavano ricette false o per prestazioni gonfiate o inutili.

Questa storia è nota come «scandalo delle ricette d’oro».

«Poggi Longostrevi non si limitava a far mandare i pazienti presso le sue strutture sanitarie, ma aveva convinto i medici di base a inviarglieli con ricette che prescrivevano esami inutili, o non rimborsabili, o più complicati e costosi del necessario, o comunque non eseguiti. Così un fiume di soldi, uscito dalle casse delle Regione, affluiva nelle sue tasche. Nessuno si lamentava: i pazienti erano contenti di fare esami a raffica; i medici erano felici di ricevere 70 mila lire a ricetta, più qualche regalino (dalla cravatta al servizio di porcellana di Capodimonte); le aziende di Longostrevi erano entusiaste di lavorare a pieno ritmo, sottraendo al sistema sanitario nazionale 700 milioni al mese, per molti anni. l'unica a pagare, alla fine, era la Regione».

Qualcuno se ne accorse, infine: «Giuseppe Santagati, manager della Ussl 39 di Milano, che fece scoppiare il caso. Controllando i conti, si era accorto che qualcosa non quadrava. Fece un'inchiesta interna, si accertò delle irregolarità, infine le denunciò alla Procura della Repubblica. Risultato: fu licenziato. Premiato con una poltrona da assessore, invece, fu un buon amico di Poggi Longostrevi, Giancarlo Abelli».

Longostrevi finirà per suicidarsi. Abelli suo amico «è rinviato a giudizio il 24 maggio 2000, proprio il giorno in cui insieme a tutti gli altri assessori della nuova giunta formigoniana presta il suo “giuramento alla Lombardia e al suo popolo” (una concessione alla Lega passata a sostenere l'ex nemico Formigoni). Viene processato per aver fatto false fatture per oltre 70 milioni di lire ricevuti tra il 1996 e il 1997 da Poggi Longostrevi, che, prima di togliersi la vita, li aveva spiegati così: “Dovevo tenermi buono un personaggio politico che nel settore contava molto”. E poi aveva aggiunto: “Alcuni sono stati costretti alle dimissioni solo per un sospetto, altri sono stati premiati con la nomina ad assessore” ».

«Abelli viene prosciolto dall’accusa  dall'accusa di frode fiscale, perché la nuova legge fiscale stabilisce che le fatture false siano punite solo nel caso vi sia «il dolo specifico di far evadere le tasse»: e Abelli alle tasse non pensava neppure, quando intascava i soldi di Poggi Longostrevi. Le motivazioni della sentenza affermano però che Abelli ha intascato 72.800.000 lire per una consulenza non effettiva. Ha insomma preso quei soldi per chiudere gli occhi sulla corruzione: La consulenza mascherava un versamento in denaro al politico per guadagnarne i favori», stabilisce la sentenza. Che cita Longostrevi: «Per me pagare Abelli era come stipulare un'assicurazione. Dopo la sentenza, Abelli resta tranquillamente al suo posto».

Il suo posto è quello prima di consulente poi di assessore della Sanità lombarda, la gallina dalle uova d’oro.

«Formigoni ha tenuto al suo fianco Abelli anche dopo il suo coinvolgimento nello scandalo delle ricette d'oro di Poggi Longostrevi. Anzi, nel maggio 2000 da consulente lo ha fatto diventare assessore».

Dice che Abelli era un esperto di Sanità, insostituibile: ora comprendiamo in che senso. Un esperto di scremature di fondi pubblici di quel grande affare che è la sanità pubblica.

Infatti. Torniamo allo scandalo delle ricette d’oro: «Nella motivazione della sentenza che condanna per corruzione 175 medici che avevano accettato il “sistema Longostrevi”, si afferma che la Regione ha favorito la truffa. I giudici hanno così dimezzato i risarcimenti alla Regione, per concorso di colpa per assenza dei controlli.

Abelli?

«In un altro Paese europeo lo avrebbero comunque cacciato: Abelli o era complice o, peggio, non si era accorto di ciò che accadeva sotto il suo naso, dunque era stupido e incapace. Ma in Italia no: Formigoni se lo è tenuto vicino».

O complice o incapace anche Formigoni, il ciellino governatore da sempre della Lombardia? Non sia mai.

«Nessuna responsabilità penale viene accertata per Formigoni, ma certamente la responsabilità politica di non aver saputo vigilare su un settore da sempre a rischio di corruzione. E responsabilità politica di aver voluto ai vertici della sanità regionale – prima come suo consulente, poi come assessore alle Politiche Sociali – Giancarlo Abelli, amico di Longostrevi e sua sponda politica in Regione».

Povero Formigoni, si dice che lui non c’entri effettivamente. Lui voleva fare il ministro degli Esteri: la Regione la governano il suo super-segretario Nicola Sanese (CL) e i capi della Compagnia delle Opere, Vittadini, Intiglietta, Abelli...

Altro ritaglio di giornale:

«Formigoni, va avanti per la sua strada. Gli ordini di scuderia dall'alto (Compagnia delle Opere) sono chiari: tenere le posizioni in Lombardia, ultimo feudo ciellino, e anzi rafforzarle in vista dell'Expò del 2015. Per farlo, in un clima di lotta interna tra formigoniani e berluscones, va bene anche giocare di sponda con il Pd. La politica, per la Compagnia delle Opere, è un mezzo. Il fine è mantenere la sua fitta rete di potere, una ragnatela diffusa nella società lombarda. Tessuta scegliendo i partner in piena libertà. Ecco allora l'intesa con Lega COOP, con cui possiede il pacchetto di maggioranza in Obiettivo Lavoro, terza società che si occupa di lavoro interinale. Con l'Expò in arrivo a Milano, un tesoro. Sul piano più strettamente politico, si guarda al presidente della provincia di Milano Filippo Penati, sempre più ansioso di tagliare gli ultimi ponti con la sinistra lombarda. Già nel 2004, un po' in sordina, la Compagnia delle Opere gli aveva dato sostegno, e voti. Il prossimo anno, in un faccia a faccia Penati-Podestà, non ci sarebbero dubbi sul posizionamento, neanche più nascosto, dei ciellini lombardi».

Ma qualcuno può non sapere che cos’è la Compagnia delle Opere. Ecco qui:. «è  la holding di Cl, un colosso economico che attira banche, enti pubblici, lega cooperative. Oggi la CdO è presieduta dal biondo Bernard Scholtz, ma il vero leader è il rubizzo Giorgio Vittadini, il numero uno della nomenklatura ciellina. Come si è visto all'ultimo Meeting di Rimini, quando “Vitta” ha accolto alla Fiera il governatore di Bankitalia Mario Draghi, esponente dei poteri laici. Sembravano due capi di Stato stranieri chiamati a firmare un armistizio. Potere politico: nel Pdl ci sono Roberto Formigoni, il vice-presidente della Camera Maurizio Lupi che ha in mano l'organizzazione del partito, il vice-coordinatore Giancarlo Abelli, l'europarlamentare Mario Mauro. Una corrente in ascesa. E poi soldi, tanti soldi. E tanta Expo».

Così, ad occhio e croce, pare di capire che Abelli, essendo ormai un vigilato speciale della Finanza e dei giudici per questo suo passato, abbia cominciato una nuova vita da parlamentare Pdl con relativa immunità, lasciando la moglie Rosanna Gariboldi (assessora provinciale senza nemmeno essere stata candidata: Pavia è per Abelli ciò che l’Irpinia è per Mastella) a presiedere agli affari con Grossi.

Non diciamo di più, perchè è possibile che alla fine vengano tutti assolti – ad Abelli è già successo – e chi scrive queste cose venga invece denunciato per calunnia. Ma se abbiamo raccontato questa storia, è per un motivo molto «lombardo».

Sì, sappiamo che in queste stesse ore, in Campania, Clemente Mastella  ha ricevuto un avviso di conclusione indagini per una faccenda di appalti e truffe; e sua moglie, la bella Sandra Lonardo in Mastella – che Mastella aveva lasciato a fare la presidente del consiglio regionale campano – ha per questa faccenda «il divieto di dimora nella Regione Campania» insieme a 15 altri indagati.

Ma la Lombardia è un caso esemplare e più importante. Perchè in Lombardia, prima, non esiste (o non esisteva) il clientelismo di necessità e di costume come nelle regioni meridionali. In Lombardia, la criminalità non ha preso possesso «manu militari» della Regione, come in Calabria o in Sicilia, dove almeno c’è la paura fisica di essere sparati per strada.

Oggi, la Lombardia conosce clientelismi, malversazioni coperte dal familismo, assessori indagati per ricettazioni e riciclaggio», collusioni trasversali destra-sinistra, capi-bastone intoccabili come Abelli, e cosche d’affari.

Il caso Lombardia dunque prova – senza ombra di dubbio – che ad essere criminogena è la Regione. La Regione come istituzione.

Chi ha mai sentito parlare, fuori della Lombardia, di Abelli? Anche dentro la Lombardia è ignoto ai più. E chi ha mai sentito parlare del ragionier Grossi con le sue 20 Ferrari e il jet privato e i milioni di euro in contanti?

E’ che quando scoppia uno scandalo nello Stato, nell’amministrazione centrale, certi nomi diventano noti all’opinione pubblica. Gli scandali regionali restano occulti per anni, non vengono messi a fuoco dai giornali: è lì che si ruba di più, che si ruba a man bassa, e che «esperti di sanità» come Abelli, pluri-indagati, vengono mantenuti al potere e alla greppia della distribuzione di fondi e delle scremature di mazzette.

E’ l’ordinamento regionale, il sistema delle «autonomie» locali quello che promuove il delitto e moltiplica la corruzione.

Quanti anni ci vorrano perchè infine un qualche autorevole giornale, un politico, magari un Tremonti che scopre oggi che «la flessibilità del lavoro non è un valore», dica che il regionalismo è criminogeno? Che il regionalismo ha portato al Nord i peggiori costumi del Sud?

Quando, quando qualcuno oserà dire ad alta voce che le Regioni vanno abolite?


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