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L’incapace circonvenuto
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Non solo: il Salame consiglia a Marrazzo di rivolgersi all’egenzia fotografica che sta cercando di vendere il video ai giornali. E infatti «il governatore del Lazio ha contattato l’agenzia fotografica Photo Masi per cercare di recuperare quel filmato (...). Lo stesso Marrazzo — proprio come era avvenuto a luglio quando fu sorpreso nel¬l’appartamento romano di via Gradoli - pare abbia deciso di non presentare alcuna denuncia, cercando invece di chiudere personalmente la partita (...). Telefona alla titolare della società e prende un appuntamento per il mercoledì successivo. L’accordo prevede che sia un suo intermediario ad andare a Milano. E’ il ‘metodo Corona’, con la vittima che tenta di far sparire dal mercato materiale com¬promettente».

In tal modo, Berlusconi si dà da sè, e in un colpo solo, ben tre zappate sugli «oggetti indiscreti» che dovrebbero pendergli (ma è dubbio) sotto l’erezione permanente:

1) Ammette che lui controlla direttamente i suoi giornali e media varii, a cui, dal suo ufficio di premier, continua a dare ordini di pubblicare o non-pubblicare: insomma offre ai suoi avversari la più plateale conferma del suo conflitto d’interesse. Quello che lui nega asserendo che «li ha passati a suo fratello». Un blind trust de noantri. D’accordo, è un segreto di Pulcinella, ma qui si esagera in pulcinellismo.

2) Rivela di conoscere benissimo il «metodo Corona», a cui lui e la sua famiglia si sono dichiarati sempre estranei: se un fotografo ti ha scattato foto compromettenti, compragliele per ritirarle dal commercio. Sì fa così, suggerisce a M’Arrazzo, io lo faccio da sempre...

3) Soprattutto, dimostra che la solidarità tra maiali della repubblica (pervertiti, pedofili, velinari, necrofili, feticisti polimorfi, fate voi) è più forte di ogni divisione partitica, tanto che supera le supposte trincee degli opposti schieramenti. Un maiale lava l’altro.

Complimenti Cavaliere, bel gesto. Una bella prova di lucidità e lungimiranza.

Naturalmente, per noi cittadini il più preoccupante è il punto 3). La ferrea solidarietà tra porconi viziosi prelude a una nuova fase della pornocrazia trasversale che ci governa: la fase repressiva. Si intuisce che ben presto, a larghissima maggioranza, le Camere deformeranno ancora un altro po’ le istituzioni, varando una legge intesa a coprire quel che fanno i politici nei loro bordelli bisex o transex.  Saranno fulminati da pene estreme i «ricattatori», sarà dichiarato solennemente il diritto alla privacy del maiale pubblico. Non sapremo più niente.

Dopotutto, la legge contro la cosiddetta «omofobia» si rivela, oggi, proprio un passo verso questo tipo di repressione filo-porno: la furia della «sinistra» contro la Binetti, povera cattolica, che ha silurato la legge, è molto indicativa. Dopotutto, i nostri hanno già fatto di peggio per «coprirsi». Non tutti sanno che si sono dati una legge che punisce la «corruzione» (ossia il privato che offre mazzette a un pubblico ufficiale) ma rende impunibile il reato di «concussione» (quando è il politico o il pubblico ufficiale a chiedere la mazzetta).

Ora il «metodo Corona» sarà protetto per legge.

Non c’è dubbio che la magistratura applicherà volentieri la nuova legge. Già lo fa capire il clima di comprensione collusiva con cui i magistrati hanno trattato il M’Arrazzo.

Dal Corriere: «Il giorno dopo Marrazzo è convocato in Procura. ‘Credevo che i magistrati dovessero parlarmi di qualche indagine legata agli appalti’, racconterà poi ai collaboratori. E i pubblici ministeri gli comunicano di aver scoperto il ricatto dei carabinieri, lo interrogano come parte lesa. Lui racconta l’irruzione, spiega di aver consegnato gli assegni, ammette anche che nella casa del transessuale c’era cocaina. Ma nulla dice di quanto lui ha tentato di fare per cercare di bloccare la pubblicazione del video. Di fronte ai magistrati si mostra anzi stupito che ci sia. A questo punto c’è una sorta di ‘patto tra gentiluomini’ come lo definiscono negli ambienti giudiziari. Si decide che, quando la notizia sarà pubblica con l’arresto dei 4 carabinieri, lui dovrà dire che si tratta di una ‘vicenda privata’ e nessun altro fornirà dettagli».

Adesso si chiama  «patto fra gentiluomini». Immaginate solo cosa avrebbe fatto la procura se il video avesse riguardato Berlusconi, o Brunetta, per dire. Per i giornali, le procure italiane sono innaffiatoi industriali di notizie ghiotte coperte da segreto istruttorio. Ma in questo caso, no: il segreto istruttorio sarebbe stato ferreamente, totalmente osservato. Patto fra gentiluomini, lo chiamano

E’ stato M’Arrazzo a venire meno al patto fra gentiluomini.

Continuo a leggere il Corriere: «... Invece, di fronte al clamore, Marrazzo reagisce in maniera diversa. Parla di una ‘bufala’, addirittura ipotizza che quel filmato sia ‘un falso’ lasciando così intendere che all’interno dell’Arma sia stato ordito un complotto ai suoi danni. Una linea di difesa incomprensibile, visto che lui stesso ha appena ammesso tutto davanti ai magistrati, che alla fine lo costringe alla resa. E adesso i magistrati stanno veri¬ficando se quanto è stato scoperto finora — uso dell’auto di servizio, droga nell’appartamento del trans — possa far cambiare la sua posizione giudiziaria».

La magistratura era ben disposta a farlo passare per vittima, ora dovrà vedere se il politico democratico è imputabile. Son cose che dispiacciono.

Non c’è dubbio che le Camere, come un sol uomo, passeranno qualche legge che li copra mentre sono in mutande con un viado: è un’esigenza fortemente sentita da maggioranza e da opposizione. Anzi: la repressione di questo genere di notizie passerà a furor di popolo. Persino qualche nostro lettore, qui, obietta che quelli di Marrazzo sono fatti privati, che come cittadino gli interessa solo come governa la Regione, non che cosa fa con Natalì. E fa l’esempio: se un medico va a puttane la sera, che mi frega? A me importa se è un buon medico...

Visto che si parla di medicina, devo notare con rincrescimento che il lettore non coglie l’aspetto medico-psichiatrico della faccenda, e che è proprio quello che ci riguarda come cittadini. Quando uno nella posizione di Marrazzo torna ripetutamente, continuamente, a cercare i suoi transex, fino al punto da mettere in gioco la sua carriera, la sua posizione pubblica, la sua famiglia, vuol dire che il vizio lo domina in modo incoercibile. Siamo di fronte ad un disturbo della personalità, e grave.

A causa della pseudo-psichiatria italiota dominante (Basaglia), pochi sanno che oggi, per gli psichiatri moderni, la gravità della malattia mentale si misura non solo come sofferenza personale del malato e della sua famiglia, ma per il rischio di «scadimento sociale» che provoca. Un manager di successo, un comandante di petroliere, se cade in depressione, rischia di scadere dalla sua posizione e di finire come un barbone sotto i ponti: non è più in grado di mantenersi adeguatamente nello status sociale che gli spetta. Chi mette a rischio la sua posizione sociale per il desiderio incoercibile di andare a trans, o di scegliersi ogni sera tre escort (dal latino «scortum»), è un malato.

E’ in fondo come il caso Boffo: una cosa è essere omosessuale, un’altra è finire in tribunale per minacce telefoniche alla moglie dell’uomo di cui ci si è incapricciati, e alla fine doversi dimettere da direttore di giornale cattolico. O il caso Pasolini: incoercibilmente, cercava nei bassifondi i suoi  ragazzi di vita, fino a farsi ammazzare.

Si tratta di una malattia o di un vizio?

Mi viene in mente una frase di Thomas Mann, nella sua trilogia biblica (leggetela): quando tratta di Onan, l’uomo che rifiuta d’aver figli e sparge per questo il seme a terra, dice: «Onan era cattivo perchè malato, e malato perchè cattivo».

Come cittadini, non sapremo mai decidere se i nostri politici qui citati sono malati perchè viziosi, o viziosi perchè malati. Ci sfuggiranno sempre gli oscuri misteri della natura umana, colpita dal peccato originale. Ci importa  però che il loro vizio o malattia lo portino al governo, e che deformi il loro modo di governarci.

Persino Conchita de Gregorio, la direttrice de L’Unità, ha ammesso che la perversione sessuale di Marrazzo era palese e notoria, che lui andava coi trans da anni in modo socialmente pericoloso per sè, i familiari e il suo partito. Che tutti dicevano nell’ambiente: «Lo incastreranno a mezzo di un viado». Evidentemente, gli amici suoi sentivano che la loro amichevole omertà non bastava a coprirlo. Il ricatto o il «complotto» era dietro l’angolo. Ma l’omosessuale non può trattenersi. La malattia (o vizio) ha un decorso aggravante, con l’età si finisce per non sapere più fingere, per rivelarsi ogni giorno di più. E per modificare l’ambiente attorno a sè, in modo da renderlo «adatto» al vizio o malattia incoercibile.

E’ questo che ci allarma: la evidente deformazione in corso dell’ambiente politico-istituzionale, che i nostri maiali pubblici stanno operando attivamente. L’intera pressione mediatico-propagandistica, e persino «educativa» nelle scuole, per farci considerare «normali» e non giudicabili comportamenti patologici. Se fanno leggi per rendere immune dalla deplorazione popolare l’omosessualità virulenta, figurarsi quel che fanno per coprire le altre cosacce: evasione, falsi in bilancio, concussioni e peggio.

Si forma un costume, anzi già impera. Il costume dell’harem del sultano ottomano, dove ottomila favorite, tutte schiave, tramavano per ottenere il cuore del grande e potente super-fornicatore, e suggerirgli «politiche» quasi sempre rovinose per il bene comune, spesso concordate con gli eunuchi di corte.

Ebbene: già ci siamo. Proprio in questi giorni, la parte della favorita o dell’eunuco del Diwan la sta recitando la «terza carica dello stato». Si sa che Berlusconi diffidava di Fini per queste sue uscite in contrasto con la sua linea. Fini dunque era la favorita trascurata. Ma ora che Berlusconi ce l’ha con Tremonti perchè gli impedisce di spendere e spandere a suo piacimento malato (ricordate che ha speso 400 milioni di soldi nostri per Alitalia), l’odalisca Fini sussurra dolci parole all’orecchio del sultano Salam.

Riprendiamo il Corriere, che riporta le frasi della nuova favorita del momento, contro Tremonti, il favorito di cui Salam s’è stancato:

«Silvio, il problema è tuo, gli ha detto Fini, secondo il quale un cedimento del premier rappresenterebbe il suo “commissariamento” e “la fine del berlusconismo», con “conseguenze disastrose nel Pdl, alleanze comprese”. Infatti il Cavaliere ha detto “no” al Professore, che si lamenta per essere “isolato” nel governo, “senza incarichi” nel partito, e vorrebbe perciò un riconoscimento. “Tremonti non cambierà mai”. Per formarsi questa opinione l’inquilino di Montecitorio (Fini, ndr) non ha avuto bisogno di sapere ciò che gli ha riferito Berlusconi del vertice di ieri: “Giulio è sempre lo stesso, è sempre la stessa storia. Come nel 2004”. Allora Fini era vicepremier e accusò il collega di governo di “truccare i bilanci dello Stato” la sera in cui ottenne le sue dimissioni. Stavolta non è così semplice, e la rottura sarebbe traumatica, sebbene ieri il Cavaliere fosse infuriato dopo l’incontro, perché avanti così “un tecnico alla Banca d’Italia si trova sempre”. Pare che Tremonti se ne sia reso conto e abbia capito il rischio».

Sublime. Nel senso che è una scena da Sublime Porta di Costantinopoli, da sussurri tra eunuchi e donne di piacere del Topkapi, l’harem. Si sente l’aria dei sussurri intimi, là fra i morbidi cuscini notturni del Salam.

Il Corriere è in grado di riportare i sussurri del Kippà sui notturni cuscini, detti anche colloqui riservati. Può attribuire con sicurezza a Fini questa frase: «Berlusconi sa che deve passare sul mio corpo per andare alle elezioni anticipate, ma sa anche che di me può fidarsi, che non darò mai il mio assenso a un governo senza il mandato popolare».

Da settimane Fini ripete questo concetto nei suoi colloqui riservati. Da settimane il presidente della Camera osserva quella porta che conduce alle urne e che vuole resti chiusa. Ieri però, al termine della conversazio¬ne con il premier (Sultan Salam, ndr) ha avuto come l’impressione che nell’uscio si fosse aperto uno spira¬glio, sebbene appaia impensabile una crisi provocata dal braccio di ferro tra il premier e Tremonti, che chiede per sé la vice¬presidenza del Consiglio e la delega dell’economia.

Sussurri da Serraglio: «Di me puoi fidarti», sussurra la Favorita fino a ieri in disgrazia, che vuole far pugnalare il Favorito Tremonti, per prenderne il posto nel cuore di Salam. Mette a Salam il dubbio che Tremonti voglia fargli le scarpe. Del resto, la successione al Diwan è aperta, anzi nella Corte sesuale di Costantinopoli il problema della successione era aperto in permanenza, e non di rado qualcuna delle ottomila favorite lo accelerava, in accordo con gli eunuchi, con il veleno o il pugnale. Morto un sultano, se ne fa un altro.

Nelle (sublimi) porte dell’harem italiano, l’odalisca vede aprirsi uno spiraglio: Berlusconi l’incapace è circonvenuto con successo, «un Draghi si trova sempre» da mettere al posto di Tremonti.

Ah, l’Oriente Misterioso! Ah, l’atmosfera irraggiungibile delle Mille e una notte con le escort! Qui tutti sono diventati donne, favorite-sfavorite, eunuchi-guardaspalle. Il ciambellano Tremonti ha fatto un passo falso, ha chiesto la vicepresidenza: figurarsi il Salam, che teme di essere avvelenato nel letto e perennemente sospetta che qualcuno gli voglia prendere il Divano tempestato di smeraldi. E forse, invece, non è un passo falso: Tremonti sa meglio di ogni altro che l’Italia, economicamente, è spacciata, e può convenirgli lasciare il campo, non essere visto a gestire l’inevitabile disastro.

E voi mi dite, cari lettori, che i vizi sessuali dei politici sono «affari privati»?

Nell’impero ottomano erano affari pubblici. Anzi gli affari pubblici per eccellenza. A noi come cittadini interessa che l’harem stia scegliendo Draghi: il dipendente delle banche che stanno distruggendo le imprese e le famiglie, il delegato di Goldman Sachs al saccheggio ultimo.

Ecco perchè ci occupiamo dell’harem: è la vita pubblica (1).

Maurizio Blondet

(articolo pubblicato il 27 ottobre 2009)




1)
Interesserà sapere come funzionava l’impero ottomano, tanto per prepararci. Là non esisteva il concetto di libero cittadino. Soprattutto a corte: favorite, eunuchi, giannizzeri, persino i ministri erano, dal punto di vista giuridico, schiavi. Questo aveva qualche effetto sgradevole sul «governo del Paese», ammesso che si possa parlare di qualcosa del genere: le finanze erano essenzialmente rifornite dalle conquiste e dai saccheggi e quando, dopo la battaglia di Lepanto, queste conobbero una storica battuta d’arresto, rovinarono. Il condottiero turco di Lepanto, lo schiavo Ali Pascià, fu fatto a pezzi dai rematori della sua galea, schiavi cristiani; alla sua morte, si scoprì che nella nave ammiraglia Alì aveva portato tutte le sue enormi ricchezze personali in piastre d’oro, ben conscio che se perdeva la battaglia, non sarebbe tornato a Costantinopoli a farsi impalare dal sovrano, come gli spettava in quanto schiavo, ma avrebbe dovuto fuggire: l’immenso bottino cadde nelle mani dei cristiani. Lo stesso imperatore era di origine servile, essendo un figlio di schiava; appena salito al trono si affrettava a far strangolare tutti i numerosi fratellastri, figli del precedente sultano e della altre donne, per eliminare i pretendenti alla successione, che potevano ben accelerarla col veleno.
Era sempre schiavo e viveva nel terrore da schiavo. Schiavo del sesso, a modo suo.



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