La facilità e la rapidità delle comunicazioni, i fenomeni
turistici e (purtroppo) anche immigratori ed emigratori di massa, gli scambi
culturali e commerciali, rendono gli Stati nazionali sempre più dipendenti gli
uni dagli altri; ecco la necessità di organismi più vasti, che possano
affrontare e risolvere questo problema: il benessere comune temporale degli
abitanti di un continente (ad esempio l’Europa) o del mondo intero; evitando
a) l’eccesso: il
mondialismo o globalizzazione uniformatrice e livellatrice; e
b) il difetto:
particolarismi esagerati, regionalismi anacronistici e forieri non di benessere
temporale, ma di altre lotte intestine e civili, dacché «la frammentazione
fa la debolezza». Invece,
c) la retta
ragione e la dottrina cattolica vogliono l’unità della vera fede e della morale
naturale, ma al tempo stesso salvaguardano le diversità di vera e solida
cultura, di «razza» (2), di tradizioni locali, non appiattiscono tutti gli uomini ad un
modello made in USA che veste jeans , beve Coca Cola, mastica chewingum e parla
una sottospecie di inglese.
Tuttavia queste diversità debbono essere incorniciate da uno
Stato o un organismo più ampio, capace di farle coesistere in pace - senza
aggressioni dell’una contro l’altra e senza odi tribali «stile africano»
- molto ricco di particolarità, ma anche di rancori profondi tra una regione e
l’altra, un villaggio e un altro. Occorre non farsi schiacciare dal super-Stato
accentratore e totalitario di stampo paramassonico, ma neppure ri-sprofondare
nelle lotte civili o faide regionali o addirittura paesane stile «nord-leghista».
Questa teoria del diritto e della società internazionale non
è stata inventata dalle para-massoniche Società delle Nazioni (1918) od
Organizzazione delle Nazioni Unite (1945); ma era già stata trattata - secondo
il diritto naturale e cristiano - nell’Ottocento dal Papa Leone XIII nell’Enciclica
«Praeclara
congratulationis» (1894) e dal padre gesuita Luigi Taparelli
D’azeglio («Saggio teoretico di Diritto Naturale»)
(3) e ancor prima (nel XV-XVI
secolo) da un domenicano spagnolo, nato nel 1486 a Vitoria, che è considerato
il padre del Diritto Internazionale: Francisco Da Vitoria, uno dei maggiori
commentatori di San Tommaso d’Aquino (+ 1274) per quel che riguarda la morale e
il diritto. Fu professore all’Università di Salamanca ove morì nel 1546. (4).
Se le questioni internazionali non vengono risolte dal
diritto, mediante intese pacifiche, esse sono lasciate alla forza delle armi.
Per esempio oggi Israele e Palestina sono teatro di guerra, poiché non esiste
una vera organizzazione internazionale, secondo lo spirito oggettivo del diritto
naturale. L’ONU (5) è un puro «ente
di ragione»,
che nulla può di valido contro la strapotenza e la prepotenza degli USA e di Israele,
che divengono sempre più l’unico potere mondiale livellatore e unificatore di
tutte le nazioni sparse sul mondo intero. Non intendo certamente fare
l’apologia dell’ONU in sè considerata, ma colgo solo il fatto che quando essa
dissente e devia dalla strada mondialista, per la quale era stata concepita,
prima nel 1918 e poi nel 1945, e come un «apprendista stregone»
fugge dalle mani del suo padrone, è immediatamente ridotta al silenzio o
accusata di antisemitismo. Solo una vera forza morale oggettivamente super
partes può assicurare ai popoli pace e benessere. Secondo Vitoria «la Società internazionale deve portare all’uomo quei beni, che nemmeno la Nazione è sufficiente a procurare. La stessa diversità
di distribuzione delle risorse naturali (...) suggerisce la collaborazione tra le varie Nazioni per attuare, con reciproca utilità, un vicendevole scambio di beni» (6).
Anche un padre gesuita, Francisco Suarez (+1617), circa un
secolo dopo il Vitoria trattò la questione del Diritto Internazionale («De
legibus»,
lib. II, Conimbricae, 1612): le diverse nazioni del mondo «sono formate da individui, che
possiedono la stessa natura umana,
costituiscono un’unità morale, perché gli individui che la compongono sono
tutti membri di una grande medesima famiglia (...) sono tutti creature del medesimo Dio (...) e perciò obbligati ad amarsi e aiutarsi vicendevolmente; ma oltre a ciò le diverse nazioni
costituiscono anche una certa unità politica per cui si passa dal campo della
carità a quello della giustizia (...)
infatti, benché ogni nazione (...) sia autosufficiente (...) e perciò, assolutamente parlando,
possa esistere e vivere senza bisogno delle altre, pure (...) son portate (...) ad unirsi le une le altre per aiutarsi e
giovarsi» (7).
L’isolamento
totale tra i vari Stati è contro l’ordine naturale e la volontà del Creatore.
Infatti l’uomo è per natura un animale sociale o socievole, tende a formare una
società civile e non esiste un organismo, di ordine temporale, superiore allo
Stato. E’ possibile che più Stati formino delle confederazioni, ma esse
poggiano su decisioni libere e non sono fondate sulla natura. Inoltre gli Stati
confederali conservano la loro indipendenza e non formano un super-Stato
unitario; mentre se gli Stati vogliono fondersi e assoggettarsi tra loro,
allora abbiamo un nuovo Stato ingrandito. Tuttavia - specialmente nei tempi
attuali - un rapporto tra gli Stati è necessario; non si può lasciar tutto
all’arbitrio del più forte; esistono diritti e doveri che gli Stati son tenuti
a riconoscere reciprocamente, ossia esiste il Diritto Internazionale, che
studia i rapporti tra le varie nazioni e si definisce come l’insieme di
diritti-doveri degli Stati nei loro rapporti reciproci.
Anche i pagani avevano un’idea di Diritto Internazionale,
pur se imperfetta; erano soliti infatti mantenere la parola data (cosa ignorata
dagli Stati moderni o machiavellico-liberali, in cui vige solo la ragion di
Stato), ma essi praticavano l’ira e l’invidia e consideravano lo straniero
(anche di un’altra città) come nemico. La guerra era la conseguenza naturale
che regolava normalmente - e non eccezionalmente come dovrebbe essere - i
rapporti tra popoli; al vincitore spettava il «diritto»
di uccidere i vinti. Solo con il cristianesimo, data l’idea dell’origine comune
degli uomini, della sostanziale identità di natura, pur con differenze
accidentali e di un fine ultimo comune a tutti, il Diritto Internazionale nella
sua pienezza divenne possibile. Esso avvicinò tra loro le nazioni, sotto il
patrocinio del Papa e dell’Imperatore per risolvere eventuali contrasti che
sarebbero sorti.
Nell’antichità pagana, ogni nazione (tranne - parzialmente -
Roma), si considerava assolutamente diversa dalle altre, l’orgoglio
nazionalista divinizzava il sangue, il suolo e il capo e disprezzava i popoli
stranieri, tendendo all’ostilità reciproca, che portava o alla conquista
forzata degli altri Stati o alla distruzione della nazione stessa.
Con l’Umanesimo e il Rinascimento del paganesimo e la
pseudo-Riforma protestante, apportatrice di scisma e divisione all’interno
della Cristianità, si ritornò all’odio e al disprezzo nei rapporti
internazionali. Nei rapporti diplomatici non valeva più la parola data, la
bugia e l’inganno erano leciti e doverosi; con la modernità liberal-democratica
o socialista, prevalse il materialismo, oggi - addirittura - si attacca «democraticamente»
guerra senza averla dichiarata (ad esempio gli USA in Iraq, Jugoslavia,
Afghanistan o Israele contro la Palestina, il Libano, la Siria e domani forse
contro l’Iran) (8) , si rompono i
trattati internazionali senza giusta causa e unilateralmente, i concordati sono
violati; l’importante è ottenere l’interesse e il guadagno dello Stato
neo-pagano o assoluto e moderno. Ogni uomo, per la legge naturale, ha dei
diritti - alla vita, all’onore, alla libertà e alla proprietà - non solo nella
sua nazione, ma ovunque in quanto uomo ossia persona intelligente e libera,
così egli può viaggiare attraverso il mondo, attraversare tutti i Paesi,
rispettando le loro leggi, sapendo che in tutti i luoghi è protetto dai suoi
diritti naturali ed oggettivi (non uccidere, non rubare, non riguardano solo i
cittadini di una particolare nazione ma ogni uomo).
Naturalmente ogni nazione
possiede il diritto di sottoporre a certe restrizioni la libera dimora degli
stranieri nel suo suolo, per il bene comune, soprattutto se si tratta di entità
considerevoli, ad esempio i musulmani che sono immigrati in massa in Europa
(senza, però, lasciarsi prendere dall’«arabo-fobia»).
Se uno Stato si trova in pericolo ad opera di un ingiusto aggressore, gli Stati
limitrofi devono prestargli aiuto, senza grave danno proprio, come se la casa
del vicino va a fuoco, sono tenuto a prestargli aiuto per carità, che non
obbliga con grave incomodo. Quindi il principio di «non-intervento de
jure»,
proprio della Svizzera [la quale ha riempito le proprie banche con i beni degli
stranieri in guerra, che poi sono state vuotate dai centri Wiesenthal; «Chi
di ‘oro’ ferisce di ‘oro’ perisce», insegna il Vangelo] è contrario
al diritto naturale e internazionale. Occorre evitare lo scoglio dell’errore
totalitarista, che idolatrando l’uomo desidera uno Stato universale (la
Repubblica e il Tempio universale massonici) o il Panstatismo che oggi sono
realizzati dalla globalizzazione e dal mondialismo. Mentre una confederazione
di Stati, ossia un’unione politica delle nazioni, sotto una guida comune super
partes - come potrebbe essere il Papato - che regoli i rapporti internazionali,
senza immischiarsi negli affari interni dei singoli Stati, è del tutto
auspicabile.
«Il medioevo nel suo
periodo più fulgido realizzò in parte l’idea
di un diritto internazionale e di una confederazione di Stati, formanti una Cristianità, almeno in Europa. I popoli cristiani
formavano una grande famiglia, avente
il Papa come capo spirituale e l’Imperatore
come difensore della Chiesa e capo temporale. E’ innegabile che anche quest’unione, in molti punti, non ottenne il suo scopo (...).
Se il mondo fosse divenuto cristiano (...) ci poteva essere maggiore speranza di realizzare l’unione internazionale (...). Nel Concilio Vaticano I, molti cardinali presentarono a Pio IX una
petizione, nella quale lo pregavano
caldamente di stabilire - in virtù della sua infallibilità - le massime più
importanti del diritto internazionale (...).
In modo speciale chiedevano l’istituzione di una Corte Suprema e permanente di
giustizia, composta dai più celebri
giuristi di tutte le nazioni, che -
sotto la presidenza del Papa - avesse il compito di raccogliere i principii di
giustizia nelle relazioni tra i popoli (...) così le Nazioni sarebbero state preservate da tante guerre ingiuste, ed esiziali (‘Acta et decreta conciliorum recentiorum’, Collectio Lacensis, VII 861
seguenti)» (9).
Per fare un esempio attuale, l’Europa potrebbe - forse -
unirsi alla Russia, (che, con Putin letto alla luce di Solgenitsin (10), sembra voler imboccare una strada
diversa dal bolscevismo sovietico, il quale l’ha portata alla fame), enorme
territorialmente, ricca di materie prime, ma sprofondata in una paurosa crisi
economico-politica dopo settanta anni di regime sovietico, ed aiutarla ad
uscirne fuori, insegnandole il modo di ben governarsi; mentre a sua volta il «Vecchio
Continente»,
ringiovanito e ingrandito da questa unione (come avvenne alla fine dell’Impero
Romano, con l’afflusso dei barbari germanici), potrebbe sganciarsi dalla «tutela»
opprimente degli USA, che hanno creato la «guerra fredda»,
per affossare la Russia, colonizzare l’Europa e domani il Medio Oriente. Ma
l’Europa ha ancora la forza morale di «evangelizzare»
la Russia? E questa è davvero post-comunista ed ha l’energia per uscire dallo
stato comatoso in cui il bolscevismo e l’«ortodossismo»
l’hanno ridotta? Io non lo so, Dio lo sa. Non si rischia di imboccare una
strada «euro-asiatica»
in apparenza specularmente diversa, ma in realtà sostanzialmente simile a
quella «euro-americana»
dei teo-con, che vedono negli USA un nuovo Clodoveo o Carlo Magno?
In ogni modo, concludendo, per Vitoria il mondo costituisce
una vera Società internazionale.
«Se poi tra le nazioni
sorgevano controversie o liti, era
necessario giungere ad un regolamento pacifico, ricorrendo eventualmente all’arbitrato
di terze potenze o di autorità in qualche modo superiori, quali il Papa o l’Imperatore [quando c’era ancora, nda]» (11). In breve, l’uomo - per natura - è un animale socievole.
Quindi, tende a formare una famiglia e poi uno Stato. Ma, «oltre i confini nazionali, l’uomo si incontra in altri suoi simili, per i quali riscontra la medesima natura,
gli stessi bisogni, aspirazioni, ideali e tendenze. Egli si sente quindi, portato del tutto spontaneamente ad entrare in relazione di
solidarietà anche con essi, dando
così origine ad una società più vasta,
alla società delle genti. (A. Messineo, ‘Il diritto internazionale nella
dottrina cattolica’, Roma, edizioni Civiltà Cattolica, 1944, pagina 48)».
La
Società delle Genti è anch’essa una istituzione naturale e necessaria. Pertanto
- continua l’illustre gesuita - «Non solo
l’uomo, individualmente preso è
insufficiente a raggiungere la perfezione, ma anche lo Stato soffre delle medesime deficienze sebbene in grado
minore, e come nell’individuo esse servono a stimolare ilmoto associativo, così anche nello Stato stimolano il medesimo moto, costringendolo ad uscire dall’isolamento, per partecipare alle pulsazioni di una vita più vasta in una Società
delle Genti. (ivi, pagina 54)».Tale società internazionale si deve basare su un diritto
naturale e oggettivo che garantisca tutte le nazioni (e non solo le più grandi
e le più forti) ad ottenere e conseguire - assieme alle altre - il benessere
comune temporale.
Ecco il succo del Diritto Internazionale che nasce in un’università
cattolica nella Spagna del Cinquecento (la superpotenza di allora, che aveva
appena conquistato le Americhe) e ci apre vasti orizzonti per poter dominare e
incanalare positivamente il vorticoso movimento delle nazioni moderne che dal
1914 non hanno cessato di muoversi guerre mondiali e poi nucleari, poiché hanno
rifiutato il vero concetto di Diritto Internazionale per dei surrogati
filantropico-massonici, che sfociano nel totalitarismo più assoluto, quello di
una sola super-potenza, che porta la guerra in tutto il mondo per i suoi
interessi economici, «democratici»
e cleptocratici e si serve dell’ONU sino a che non la contraddice e lo
discredita quando osa interferire. Onde la necessità del «Diritto delle Genti»
e di una vera indipendente - e non fittizia vassalla come l’ONU - Società
internazionale è più attuale che mai.
Per gentile autorizzazione di don Curzio Nitoglia a EFFEDIEFFE.com
1) P. Dezza, «La
filosofia»,
Gregoriana, Roma, 1982, pagina 215.
2) Ida Magli
scrive su Il Giornale del 3 settembre 2009: «Il razzismo all’incontrario
rischia adesso di contagiare l’Italia».
L’articolo riguarda la vicenda di un ‘bianco’, che è stato costretto a
fuggire dal Sudafrica per le vessazione razzistiche di senso contrario da parte
dei ‘neri’. Egli si è rifugiato in Canada, non solo poiché Paese grande e ricco
- commenta la Magli - ma poiché vi è il«fondato timore di ritrovarsi in Europa a
rischio di maltrattamenti o almeno di sottomissione ai voleri di tanti
immigrati». In Europa, continua l’autrice, «stiamo male poiché siamo costretti a vivere nello stesso territorio con
popoli diversi da noi, e diversi
prima di tutto fisicamente (…). E’ la natura che fa sì che i parenti si
somiglino fisicamente tra loro (…).
Le diversità fisiche colpiscono subito e creano immediatamente un senso di
estraneità (...). L’uguaglianza (sostanziale, in quanto
tutti uomini o animali razionali, nda) è un valore meta-fisico (…), ma si tratta di un valore filosofico, difficilissimo da comprendere e da
realizzare. (…) E’ quasi impossibile per un ‘bianco’ identificarsi in un ‘nero’: comprendere i sentimenti, le percezioni, i gusti, intuire il tipo di
intelligenza, le reazioni, gli interessi. Se si aggiunge a questo dato
di partenza, la differenza di lingua, di religione, di storia culturale, ci si
rende conto che vivere sullo stesso territorio non significa vivere ‘insieme’. Non si amano le stesse cose;
non si desiderano le stesse cose;
soprattutto non si lavora per lo stesso futuro, non si hanno le stesse mete (…).
Si è costretti al silenzio, all’umiliazione, al rimbambimento, gli
europei ponendogli sempre di fronte le stimmate della seconda guerra mondiale,
ma esistono, oltre agli immigrati in Europa, miliardi
di uomini (…), che non si piegano
davanti alla onnipotente presunzione della guida americana e che manderanno all’aria ogni idea di uguaglianza unificatrice e
di governo mondiale. Non sarebbe,
dunque, urgente che anche noi, gli italiani, gli Europei, riprendessimo
in mano la nostra vita, il nostro
futuro? Cosa hanno fatto di male i giovani italiani, i giovani tedeschi, nati
tanto tempo dopo il fascismo, dopo il
nazismo, perché debbano tenere ancora
la testa bassa, umiliarsi, chiedere perdono?».
3) L. Taparelli
D’Azeglio, Civiltà Cattolica, Roma, 8ª edizione, 1949, volume II, numero 1582;
pagine 173-200. Il Diritto naturale è oggettivo in quanto è «la ragione e la volontà divina, che comanda l’osservanza dell’ordine
naturale e ne proibisce il turbamento» (Sant’Agostino, «Contra
Faustum manichaeum», XXII, 27). Onde la base
su cui poggia l’ordinamento o il Diritto naturale è assolutamente salda,
immutabile ed oggettiva, essa corrisponde alla volontà e all’Essere divino, che
da tutta l’eternità ha ordinato le creature al loro fine, esse - perciò - hanno
una disposizione naturale a formarsi i concetti di bene e di male e a
comprendere che «occorre fare il bene e fuggire il male».
Dunque l’uomo per natura è inclinato ad agire in maniera conforme all’ottenimento
del fine. Per cui la spiegazione del dovere va cercata in Dio e nella natura
umana, che partecipa alla Legge divina tramite la legge naturale, inscritta
nell’anima di ogni uomo, che si sente obbligato davanti al suo Creatore a
rispettare certe regole per cogliere il fine, e non nel soggetto umano che
sarebbe legge a se stesso (morale autonoma kantiana o giusnaturalismo
illuminista di Grozio, Pufendorf e Rousseau). Perciò Dio in quanto Creatore ha
dei Diritti ad essere onorato e obbedito dalla creatura, che in quanto tale ha
dei doveri verso Lui. Il dovere di agire in un certo modo e non in un altro va
ricercato nel Diritto che Dio ha di mettere ordine nell’universo creato, con
regole precise, ed aiutare - così - la creatura ragionevole e libera ad agire
bene, prendendo i mezzi buoni a cogliere il fine. Se la morale fosse soggettiva
e autonoma, l’uomo dovrebbe essere il Creatore dell’universo e di se steso, ma
ciò ripugna, come ogni sistema filosofico immanentistico e panteistico.
4) Le sue lezioni
erano trascritte dai suoi allievi. Le lezioni ordinarie (commento alla IIa-IIae
della «Somma
Teologica»
di San Tommaso d’Aquino) riguardanti le virtù morali e teologali, furono
pubblicate solo recentemente, a cura di padre Beltran De Heredia O.P. nella
collezione Biblioteca de Teòlogos españoles, a Salamanca, in cinque volumi, dal
1932 al 1935. Ma l’opera che lo rese famoso fu pubblicata undici anni dopo la
sua morte (1557) e si intitola Relectiones theologicae, che sono la raccolta
delle lezioni straordinarie, che una volta l’anno De Vitoria leggeva
pubblicamente durante il suo insegnamento a Salamanca (1526-1541); esse erano
dei compendi divulgativi delle lezioni ordinarie o quotidiane. Sono divisibili
in due parti: la prima di carattere giuridico (ed è la più importante) e la
seconda di carattere teologico. Le Relectiones più note sono quelle sul potere
della Chiesa, del Papa e del Concilio ecumenico che è inferiore a quello del
solo Papa, il potere politico temporale e il diritto di guerra, quelle che
riguardano il Diritto Internazionale sono intitolate «De Indis»
e trattano della conquista delle Americhe da parte della Spagna. Esse sono più
attuali che mai, poiché aiutano a «promuovere
una fruttuosa collaborazione tra i popoli e una pacifica soluzione dei problemi
internazionali che inevitabilmente sorgono» (P. Dezza, ibidem, pagina 216).
5) Oggi, nel
contesto dello «scontro di civiltà» -
Samuel-Huntingtoniano - voluto dagli ambienti «teo-con»
giudaico-americanisti, l’ONU pur essendo nata come organizzazione rivoluzionaria
e mondialista, alcune volte si ritrova a svolgere un ruolo diverso da quello
delle superpotenze che dirigono il mondo. Per esempio, proprio in questi
giorni, «Israele e Francia accusano: l’AgenziaONU ha nascosto notizie sulla bomba
nucleare di Teheran. Fra poche settimane El Baradei lascerà la guida dell’AIEA (…). Adesso persino l’America di
Barak Obama, il presidente della ‘mano tesa’ e delle trattative ad oltranza con i nemici degli USA, non escluderebbe l’opzione militare. Tanto di aver chiesto all’Italia, intorno alla metà di
settembre, di cominciare a valutare
tutte le aziende che fanno ancora affari con Teheran, se non sia il caso di interromperli e di smobilitare i propri
stabilimenti dall’Iran» (Shalom,
ottobre 2009, pagina 14). Come si vede se l’ONU cerca minimamente di smarcarsi
dalla politica mondialista (come è successo, qualche volta, soprattutto sotto
l’era Bush jr.) è oggetto di critica da parte delle superpotenze che dirigono
la politica, la finanza e la guerra o la pace nel mondo.
6) C. Giacon, «La
seconda scolastica. I grandi commentatori di San Tommaso, il Gaetano, il
Ferrarese, il Vitoria», Bocca, Milano, 1944, volume
1, pagina 185. Id., Suarez, Brescia, La Scuola, 1945.
7) P. Dezza,
ibidem, pagine 196-197.
8) Secondo Sergio
Romano il discorso di Ahmadinejad all’ONU del settembre 2009 andrebbe letto non
in chiave «antisemita»,
ma anti-mondialista, in quanto il presidente iraniano ha criticato alcuni «circoli, che facendo uso del loro potere e della loro ricchezza, cercano di imporre un clima di
intimidazione e di ingiustizia nel mondo e agiscono con prepotenza, mentre rappresentano se stessi, grazie alle loro enormi risorse medianiche,
come difensori della libertà, della democrazia e dei diritti umani (…).
E’
una manifestazione di antisemitismo? Se fosse tale sarebbero antisemiti anche
tutti coloro che in questi anni hanno sostenuto l’esistenzadi una forte lobby
filo-israeliana. Sarebbe antisemita ricordare che i consiglieri neoconservatori
di Bush all’epoca della guerra irachena
erano in buona parte ebrei-americani (…). L’espressione antisemitismo
non può essere usata come una clava per impedire legittime discussioni e
legittime critiche» (Il Corriere della Sera, 29 settembre 2009).
9) V. Cathrein, «Philosophia
moralis»,
Herder, Friburgo, edizione 21ª, Libro II, capitolo IV, «De jure
internationali», pagine 501-516, passim. Confronta anche P.
Carosi, «Corso
di filosofia», volume VII, «Etica»,
parte II, articolo IV, «Il diritto internazionale»,
Paoline, Roma, 1960, pagine 301-322.
10) A.
Solgenitsin, «Due secoli insieme. Ebrei e Russi prima della
rivoluzione e durante il periodo sovietico», 2 volumi, Napoli,
Controcorrente, 2007. L’Autore dimostra in questi due volumi di
1.200 pagine complessive che il ruolo del popolo ebraico nella
storia umana ed anche in quella della Russia è innegabile e considerevole,
soprattutto nella rivoluzione bolscevica, prima durante e dopo. Egli si immerge
negli avvenimenti, non nei pre-giudizi e mostra a partire dalle relazioni tra
ebrei e russi negli ultimi due secoli (Ottocento e Novecento) il ruolo
preponderante svolto dal giudaismo nella Russia a partire dal XIX secolo.
Soprattutto per quanto riguarda il bolscevismo, basta citare i nomi di chi ne
era a capo per capire che la rivoluzione bolscevica fu tutto tranne che russa:
essa fu voluta e fatta da ebrei, che manovrarono le masse russe alle quali fu
fatta fare. Anche Putin ha dovuto lottare non poco con l’elemento ebraico, che
si era impossessato della Russia durante la presidenza Eltsin ed è riuscito a
liberare il suo popolo dalla stretta soffocante, che alcuni oligarchi e
finanzieri apolidi avevano stretto attorno alla Russia. Il «Premio di Stato»
conferito nel 2007 da Putin a Solgenitsin, arrestato come contro-rivoluzionario
e anti-comunista dal KGB staliniano e rinchiuso in Siberia per lunghi anni, è
dovuto soprattutto allo studio svolto dal Solgenitsin per mostrare come il
giudaismo abbia influito negativamente e devastato la storia e il patrimonio
spirituale e culturale oltre che economico del popolo russo sino ai nostri
giorni. Assieme alla Russia il giudaismo internazionale ha rovinato l’Europa
con la prima e la seconda guerra mondiale e assieme agli USA durante il dopo
guerra ha cancellato l’identità culturale e spirituale anche del Vecchio Continente,
rendendolo totalmente omologato al «Nuovo Modo di Vita»
americano, al quale oggi come oggi resiste pienamente solo il mondo arabo,
essendo penetrato parzialmente anche in estremo Oriente e in Asia.
11) C. Giacon,
ibidem, pagina 195. Confronta anche F. De Vitoria, «La questione degli
indios»,
Levante Editori, 1996. M. Fazio, «Due rivoluzionari F. De
Vitoria e J.J. Rousseau», Roma, Armando, 1998. Aa.Vv.,
«L’universalità
dei diritti umani e il pensiero cristiano del ‘500», Rosenberg e
Sellier, 1995.
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