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Pubblicitari, ossia criminali
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«Dobbiamo aiutare i genitori che cercano di evitare che i loro figli siano assoggettati in età troppo giovanile ad una eccessiva sessualizzazione e a una commercializzazione indecorosa», ha detto il leader conservatore David Cameron , annunciando un piano dei Tories contro la pubblicità  «aggressiva e irresponsabile» verso i bambini.

D’accordo, in Inghilterra sono prossime le elezioni. Ma in Italia è pensabile che un politico sollevi un simile tema con la speranza di prendere voti? Nella società trasgressiva de ’noantri, cioè piena di tabù, questo è un tabù tra i più forti: la porno-pubblicità e i pubblicitari sono difesi e presidiati. Dai media «progressisti» come dalla mentalità corrente, imposta come maggioritaria e «giusta».

Un furbastro come Oliviero Toscani viene invariabilmente definito «raffinato e intelligente», i registi di grido che raffigurano la diva seminuda che si rivoltola fra lenzuola di seta per pubblicizzare un profumo è «seducente», o quell’altra che si spoglia camminando come una pantera, o i due truci ragazzi di vita che si baciano sul divano, le infinite foto che simulano cunnilingus, sesso orale etero e omo, coiti ed orgasmi femminili – magari per raccomandare pneumatici, orologi, scarpe, sono onnipresenti e «devono» essere accettate. Chi non le accetta è un bigotto. Dunque escluso dal discorso pubblico.

A quanto pare, in Inghilterra non avviene così. Un futuro premier, non bigotto, può porre il problema nei suoi termini esatti senza essere deriso da Repubblica, dal Manifesto o nel Costanzo Show: i pubblicitari costitutiscono una «agenzia educativa» impropria, potentissima in quanto usa mezzi della suggestione e della seduzione subliminale, che non si assume nessuna responsabilità verso la società e verso i giovanissimi, i più indifesi. Che diffonde volgarità, corruzione, cinismo, svalutazione della donna come oggetto e del sesso come «facile» e disponibile, per uno scopo abbietto: per vendere merci. E che dunque, la pubblicità va in qualche modo disciplinata e, se del caso, censurata. Eppure gli spot e i manifesti, là, sono molto più castigati che da noi.

Chissà che i progressisti de’ noantri non finiscano per accorgersi che c’è una nuova moda a Londra, e – come usano fare – comincino ad adottarla. Perchè non se ne può più della volgarità, mancanza di gusto e bassezza che da noi passa per «pubblicità raffinata e intelligente».

Aspetto di sentire le notizie economiche su Radio 24, e sono continuamente urtato da pubblicità di inimmaginabile abiezione. Una voce femminile vanta le «altissime prestazioni» di un software aziendale con il tono  che allude a prestazioni sessuali di un vero maschio. Un’altra voce femminile, molto ormonale e nello stesso tempo irridente, esclama: «Cicci, non mi sposi più?! Ho tradito la tua fiducia?... Mai! Cicci, tu sei il solo... Il solo a non saperlo!». Ed è la pubblicità, notate, di un’agenzia che dà informazioni su aziende, perchè dopotutto siamo sulla radio di Confindustria.

D’accordo, in TV è anche peggio, ma la guardo poco (anche per questo); e poi le pubblicità che ho citato mi sembrano più odiose, perchè suggeriscono che, se cogli il doppiosenso vergognoso, è colpa tua; sei tu che hai la mente malata, l’esprit mal tourné. Si sa, lo proclamano L’Espresso, Panorama, e la moglie truce di Costanzo: nel «bigotto» si nasconde sempre un perverso morale.

Ebbene no. Ora che David Cameron l’ha detto, forse si può dire: il mondo della pubblicità e dei pubblicitari è fatto di mascalzoni, semicriminali, devianti sessuali e anche professionalmente, da gente di quattro soldi. Che godono a deridere la fedeltà coniugale, la decenza, la sensibilità delle anime fini e colte. Censurare le loro gratuite bassezze è un dovere sociale e politico. Se non altro, perchè la spudoratezza, una volta  autorizzata, si espande oltre il sesso e finisce in tangenti e furto pubblico. Vedi alla voce «Italia».

Naturalmente, la canea «trasgressiva» dirà che si attenta alla «libertà di espressione». E’ la stessa canea che vieta la libertà d’opinione e d’informazione, poniamo, sui crimini israeliani o sull’11 settembre; che non racconta delle creste sui biglietti aerei fatti da un noto presidente, tace sulle «cure» di Veronesi, e insomma impone tabù sulle opinioni politiche «scorrette», le sole che hanno diritto alla protezione legale nella società libera: «E’ notizia qualcosa che qualcuno ha interesse a nascondere; tutto il resto è pubblicità» come disse Dan Rather. La definizione stabilisce perfettamente i limiti della libertà d’informazione: è precisamente quando un  giornalista rivela cose «che qualcuno ha interesse a nascondere» che deve essere difeso dal diritto. Ma da noi è il contrario:  la pubblicità è libera, sono il pensiero e l’opinione che vengono censurati.

Tim può raffigurare la ragazza che invia un messaggino: «Avremo un bambino», e far vedere che lo ricevono centinaia di ragazzi. Ma provate a dire che questa è la glorificazione di una troietta, altamente diseducativa per i ragazzini e le ragazzine, e sarete censurato: voi, non i pubblicitari della Tim.

Invece, oh sorpresa, a Londra un politico può contare di vincere le elezioni diffondendo un rapporto col titolo: «Commercio responsabile: piano d’azione dei conservatori per scongiurare la sessualizzazione prematura dell’infanzia e la sua mercificazione». E si apprende che non è un’improvvisazione da politicante: il problema è all’ordine del giorno nelle famiglie inglesi, che hanno protestato contro una casa che produce reggiseni imbottiti per bambine di 7 anni, e hanno colato a picco un progetto della Mattel (la casa che produce la bambola Barbie) di mettere in commercio una linea di cosmetici, rossetti, fondotinta, lacche per unghie, eccetera, per «bambine raffinate e intelligenti» di 10-12 anni.

«Non dobbiamo lasciare soli i genitori», ha detto Cameron, ed ha annunciato che, per i provvedimenti del caso, aspetta di leggere l’approfondita indagine, di imminente pubblicazione,  che ha condotto per cinque anni la dottoressa Linda Papadopoulos, una psicologa molto nota in TV, sulla sessualizzazione dei bambini e i suoi effetti sulla salute mentale.

Perchè, incredibile a dirsi nella Italia così «avanzata» nella «trasgressione» (e arretrata in tutto il resto), persino la American Psychological Association esamina da anni il problema, e collega la sessualizzazione precoce con «i tre più comuni disturbi mentali registrati nelle donne e ragazze puberi: disordini alimentari (anoressia e bulimia), perdita di auto-stima e depressione». La sessualizzazione infatti «danneggia lo sviluppo cognitivo ed emotivo delle adolescenti intaccando la fiducia e la soddisfazione del proprio corpo». Nella società più ampia, dicono gli psichiatri americani, la sessualizzazione precoce è sospettata di avere una parte nell’«aumento delle molestie e violenze sessuali, della domanda di pornografia infantile» nonchè nell’atteggiamento «sessista» e predatorio dei ragazzotti.

Scoperta dell’acqua calda, se non fosse la rottura di un tabù. I media sono invasi di suggestioni sessualizzanti rivolte ai giovanissimi, dicono gli psichiatri. Chissà, magari si può sognare un giorno che sulle raffinatezze di Oliviero Toscani diventi obbligatoria la scritta che la legge impone sulle sigarette: «Questa pubblicità danneggia gravemente te e chi ti sta intorno». Oppure: «Nuoce gravemente alla salute». (Fears grow over the sexualisation of young people)


Post Scriptum:

La lettura in ritardo di un vecchio saggio filosofico (1)  mi ricorda, ancora una volta, qual’è l’origine della ideologia «trasgressiva» di inaudita volgarità e irresponsabilità di cui siamo prigioneri. E’ Federico Nietzche, il primo dei tre «maestri del sospetto» con Marx e Freud, specialisti nello smascherare dietro ogni ideale motivi ignobili: avidità, sesso, volontà di dominio.

E’ il primo dei radicalchic, specie da quando la casa Adelphi lo ha sdoganato a sinistra. E’ lui il profeta del materialismo biologico più rozzo, che oggi trionfa, come comune accettazione del destino puramente zoologico delle nostre vite.

«Faremo bene a studiare il nostro organismo nella sua perfetta immoralità. Le funzioni animali sono mille volte più importanti, che non gli stati d’animo più elevati e le più eccelse vette della coscienza... A profitto di chi opera dunque tutta la vita cosciente - anima, mente, cuore, bontà, virtù - se non a profitto di un perfezionamento, il più grande possibile, delle funzioni animali essenziali?».

Magari ai tempi di Nietzche questo frasario apparve  trasgressivo e dirompente. Oggi potrebbe essere la pubblicità di una palestra di body building con raggi UVA abbronzanti.

Quelli che dicono «io sono laico» quando intendono «io sono ateo», faranno sicuramente loro quest’altro detto (posto che riescano a leggere una frase  sintattica di quattro righe):

«Il risentimento istintivo, che i malati covano contro i sani e contro la salute in genere, il cristianesimo l’ha fatto suo. Tutto ciò che è diritto, fiero, imponente, il bello soprattutto, gli dà noia a vederlo e a udirlo».

E questa psicanalisi da osteria passa per raffinata intelligenza, dalle parti di Eugenio Scalfari.

Dai famosi aforismi nietzschiani non è difficile ricavare tutto il decalogo dell’ideologia implicita che domina Il Grande Fratello o i programmi vergognosi di Maria De Filippi, o qualunque bulletto di borgata palestrato e con l’orecchino:

«L’insania del moralista, invece di chiedere che le passioni vengano dominate, chiede che vengano estirpate (ma chi? dove? ndr), e giunge invariabilmente alla conclusione che un uomo buono può essere soltanto un uomo evirato».

Naturalmente si sa dove va a parare il (vizioso) solitario di Sils Maria:

«Quelle immense fonti di energia (gli istinti, ndr.) quei torrenti dell’anima, che sgorgano impetuosi e spesso paurosi, il gretto e nefasto spirito morale non vuole già asservirne la forza, ma farli disseccare... Ecco che anche la procreazione dell’uomo è diventata un atto turpe!».

Si sa, questi smascheramenti così forsennati, questi giudizi sommari voluti in perfetta malafede,
smascherano soprattutto lui: è lui il malato col risentimento celato verso i sani, il promotore della libertà fra i sessi che non batteva chiodo se non al bordello, dove contrasse la lue. Ma a forza di avanzare in bassezza e ignoranza, il nostro tempo ha assunto il niccianesimo – ovviamente al livello più gretto – come  luogo comune. «Semo tutti super-omini», anche in pizzeria e allo stadio. Non parliamo poi ai concerti-pop.

Le tesi svolte nella Genealogia della Morale invadono i rotocalchi e gli spot: l’autosufficienza dell’uomo animale, l’idea che il concetto di «essere» (dunque la metafisica) nasca da una mancanza di fede nel «divenire», e che l’imperativo morale non sia altro che un sintomo di debolezza, o degenerazione, degli istinti.

Tradotto per Corona e Lapo Elkann, ma anche per il Berlusconi e i M’Arrazzo: i moralisti sono bigotti e dunque impotenti, invidiosi che noialtri scopiamo.

Per contrasto e a futura memoria di una finezza morale e intellettuale perduta, citerò un aforisma di Montaigne (1533-1592): mica un bigotto, anzi spesso evocato e lodato come laico filosofo dello scetticismo, quindi del pluralismo delle opinioni e delle espressioni. Eccolo:

«E’ necessario vedere il proprio difetto e studiarlo, per poterlo ridire. Coloro che lo celano altrui, lo celano di solito a se stessi; e se lo vedono, non lo ritengono occultato a sufficienza, sicchè lo sottraggono alla loro propria conoscenza... I mali corporali si fanno chiari quando aumentano: troviamo esser gotta ciò che chiamavamo reuma o contusione; i mali dell’anima nell’aggravarsi si oscurano. Quanto più uno è malato, tanto meno lo sente».

Fate il confronto. Chi è il più raffinato osservatore della psiche, il più profondo smascheratore degli alibi morali con cui nascondiamo le nostre malattie interiori a noi stessi?

Montaigne smaschera Nietzsche in anticipo di due secoli. Magari avessi mai trovato un prete, in confessionale, capace quanto lo scettico Montaigne di diagnosticare i miei peccati con tanto garbo, e indicarmi come rettificarli con tanta fermezza quanto lo scettico Montaigne: avrei trovato il direttore spirituale che mi manca.

Eppure esistevano preti così, una volta. Quando i preti stavano nei confessionali. Prima del Concilio.




1) Gustave Thibon, «Nietzsche o il declino dello spirito», Edizioni San Paolo, 1963.


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