Introduzione: giustizia e attualità della condanna
Pio XII, tramite la Sacra Congregazione del Sant’Uffizio,
emanò tre documenti sulla natura del comunismo e la sua inconciliabilità col
cristianesimo.
1) Un «Decreto generale» (1 luglio del 1949),
che dichiara:
a) non essere mai
lecito iscriversi ai partiti comunisti o dar loro appoggio, poiché il comunismo
è materialista e quindi anticristiano;
b) che è vietato
diffondere libri o giornali, i quali sostengono la dottrina e prassi del comunismo
materialista ed ateo;
c) che i fedeli,
i quali compiono con piena consapevolezza gli atti su proibiti, non possono
ricevere i Sacramenti;
d) inoltre che i
battezzati, i quali professano, difendono o propagandano consapevolmente la
dottrina o prassi comunista, incorrono ipso facto nella scomunica riservata in
modo speciale alla Santa Sede, in quanto apostati dalla Fede cattolica
(l’apostasia è il passaggio dalla religione cristiana ad un’altra totalmente
diversa - nel caso il materialismo ateo - e perciò più grave dell’eresia e
scisma, quale sarebbe il passare dal cattolicesimo al protestantesimo o ‘ortodossismo’).
2) Una «Dichiarazione sui matrimoni» (11 agosto
1949), la quale insegna che gli iscritti a sette ateistiche ossia acattoliche,
quali sono i comunisti militanti, incorrono nell’impedimentodirimente (1) di religione mista (2), in
quanto atei, debbono sottoscrivere le cauzioni che sono richieste agli
a-cristiani (battesimo, educazione cristiana dei figli e rimozione del pericolo
di perversione del coniuge non comunista).
3) Un «Monito sull’educazione della gioventù» (28 luglio 1950), contro i genitori che
consentono ai loro figli di essere iscritti a società giovanili perverse (FCGI).
Il Papa individuava nel materialismo e quindi nell’ateismo
la causa della inconciliabilità assoluta tra cristianesimo e comunismo,
materialista ed ateo. Ora vediamo cosa dice di essere il comunismo stesso per
capire se la condanna sia stata giusta. Alla
fine vedremo se tale condanna sia ancora attuale ai nostri tempi in cui il
comunismo professa di essere cambiato.
Cosa dice di essere
il marxismo stesso
Il marxismo-leninismo è una concezione unitaria del mondo o
un’unica filosofia pratica, che comprende materialismo dialettico e storico,
formanti un tutto organico, il quale deve essere considerato nel suo insieme (3).
1) Il «materialismo dialettico», ritiene la
materia come unica realtà ed esclude ogni altro elemento spirituale: non c’è
Dio, anima, valori trascendenti (4).
Il pensiero e la coscienza dell’uomo derivano per evoluzione dalla materia (5). Il materialismo dialettico, concepisce la materia non come oggetto
stabile, ma come attività sensibile e prassi (6). Marx aggiunge la dialettica o dinamica hegeliana al
materialismo classico o statico (7).
Ciò che distingue l’uomo dagli animali bruti è lo stadio più perfetto, ma non
ancora definitivo, della materia in evoluzione, la quale grazie al lavoro ha
trasformato la scimmia in uomo, onde il pensiero e la parola nascono dal lavoro
e col lavoro (8).
2) Il «materialismo storico» applica il materialismo
dialettico alla storia dell’umanità (9).
La storia è letta alla luce dell’economia la quale è l’elemento fondamentale
dell’evoluzione storica (10). Perciò
la storia umana è soprattutto storia di classi sociali ed economiche. Esse
entrano necessariamente in lotta tra loro, la lotta di classe è un fenomeno
assolutamente inevitabile (11). Come
si vede la concezione economica marxista
è essenzialmente legata alla filosofia di Marx, onde non si puòaccettare l’analisi economica marxiana e rifiutare la
filosofia materialistica dialettico-storica. Il marxismo, come
materialismo, nega Dio e come economicismo nega la proprietà privata (12) tramite la lotta delle classi in
contrapposizione dialettica; non si ferma neppure davanti alla famiglia, in cui
immette la lotta dialettica tra uomo e donna, figli e genitori (13), per giungere all’abolizione del
matrimonio e alla società del libero amore (14). Onde le degenerazioni freudiane e pansessualiste della Scuola
di Francoforte tra gli anni Venti-Sessanta (Theodor Adorno + 1969 e Herbert
Marcuse + 1979) esplose nel 1968, erano già contenute virtualmente in Marx (+
1883) ed Engels (+ 1895).
Marxismo e giustizia
sociale
Molti pensano, per ignoranza e in buona fede, che il
comunismo sia anelito alla giustizia sociale, all’eliminazione della povertà,
della miseria e dello sfruttamento dei poveri. Nulla di meno marxista. Lo scopo
del comunismo è la rivoluzione o dialettica materialistica costante e
permanente, tendente al «paradiso socialista in terra» o società senza Stato,
classi sociali, religione e famiglia. Il
comunismo per cogliere il suofine
(rivoluzione continua) ha bisogno della povertà, delle
contraddizioni e ingiustizie che si incontrano nella società umana, per opporle
- hegelianamente - come antitesi alla
ricchezza (tesi), onde giungere alla sintesi: «paradiso in terra». Senza
miseria e sfruttamento non sarebbe possibile la rivolta del proletariato.
Quindi ben vengano i soprusi, perché essi sono l’occasione per scatenare l’odio
di classe e la rivoluzione del proletariato (15). La rivoluzione è intesa marxianamente come un divenire
continuo e in contraddizione permanente con la realtà e non come un semplice
rivolgimento storico che ha un inizio e una fine (16).
Il marxismo in azione
All’obiezione «il comunismo odierno è cambiato», il
professor Jean Daujat risponde con ampie citazioni di autori marxisti:
«(…). Non è dunque per conversione, né per ipocrisia che i comunisti cambiano senza tregua,
e dicono e fanno ogni giorno il contrario di ciò che hanno fatto e detto il
giorno precedente; ciò è conforme alle più pure esigenze del marxismo ed
essi non sarebberomarxisti se agissero diversamente;
poiché il marxismo è un evoluzionismo integrale, essi devono - in quanto sono
marxisti - evolversi e contraddirsi
senza tregua. Bisogna, una volta per tutte, convincersi che ciò che essi dicono non esprime alcuna
verità, ma unicamente le esigenze
della loro azione, poiché per essi niente esiste all’infuori di questa
azione. L’azione è una evoluzione perpetua in cui il sì diventa no a ogni
momento. Riconoscere una verità, equivarrebbe a riconoscere qualche cosa che
esiste, e con ciò rinunziare a trasformarla con la propria azione. Per Marx,
conoscere è niente, condurre un’azione è tutto (17) (…). E’ evidente che il marxismo, non ammettendo alcuna
dipendenza né alcun oggetto, non ammetterà neppure un bene da amare o
realizzare in misura maggiore di quanto ammette che vi sia una verità da
conoscere. Un bene e un male la cui distinzione e opposizione si impongano a
noi, sono altrettanto inaccettabili per il marxismo quanto un sì e un no, una
verità e un errore. Per il marxismo non vi è bene da amare né da realizzare,
non c’è che l’azione da condurre. Ammettere un bene che sia un fine, qualche
cosa di buono che si debba amare perché è buono, significherebbe imporre una
dipendenza all’azione umana. Il marxista che vive il suo marxismo non può amare
nulla, poiché l’amore mette in dipendenza dell’oggetto amato; il marxismo è il
rifiuto definitivo di ogni amore come di ogni verità (18). Se un comunista ci presenta qualche ideale come un fine, per
esempio l’ideale di giustizia sociale messo innanzi alle rivendicazioni
operaie, oppure l’ideale patriottico, è unicamente perché la presenza di un
ideale nei cervelli umani diventa in questi casi un mezzo efficace per
trascinarli all’azione e alla lotta, un organo o uno strumento d’azione e di
lotta delle forze materiali. Stiamo certi, però, che il comunista, il quale
vive il suo marxismo, ha in vista solo l’azione rivoluzionaria e la lotta da
condurre (19); l’ideale che mette
avanti è solo un mezzo per condurre meglio tale azione e tale lotta, e non ha,
in se stesso, alcun valore ai suoi occhi: esiste solo in funzione di questa
azione e di questa lotta e solo per tutto il tempo che è utile a essa (…). Così
il marxismo resta solo un umanesimo esclusivo o integrale, che ammette solo l’azione
umana. A questo umanesimo esclusivo il pensiero moderno, imperniato
esclusivamente sull’uomo, doveva fatalmente pervenire (confronta J. Maritain, ‘L’umanesimo
integrale’, Parigi, 1936, nda).
Chiunque vuole riconoscere soltanto la crescita e l’indipendenza dell’individuo o della persona umana, (si
pensi al ‘personalismo’ di Emmanuel Mounier + 1950 e Jacques Maritain + 1973,
nda) o anche della collettività o della società umana, e rifiuta di
sottomettere tale crescita e indipendenza a Dio e alla sua legge e di
orientarle verso Dio, apre fatalmente la strada al marxismo, sebbene solo il
marxismo giunga al termine di questa strada. Chiunque rifiuterà il primato
della contemplazione, l’abbandono dell’intelligenza a una verità da conoscere e
della volontà a un bene da amare per rifugiarsi nell’ebbrezza dell’azione pura
e curarsi solo di agire, è sulla strada del marxismo. Il capitale ol’industriale del secolo scorso o di oggi, che fa del lavoro produttivo e dei suoi
risultati materiali lo scopo e l’essenza
della vita umana, pianta un albero di
cui il marxismo sarà il frutto. Tutti coloro che annunciano che la civiltà
futura sarà una ‘civiltà del lavoro’, ossia una civiltà in cui il lavoro è il
valore supremo della vita, sanno poi che l’unica civiltà totalmente e
unicamente ‘del lavoro’ è il marxismo? (…) Per un comunista cosciente del
proprio marxismo, il comunismo non è una verità (ed è per questo motivo che egli potrà senza tregua contraddirsi senza
conversione e senza ipocrisia, ma in
virtù del suo stesso comunismo e rimanendo perfettamente comunista), il
comunismo è un’azione (…). Nel marxismo vi sono soltanto prese di posizione per
l’azione - dunque mutevoli e contraddittorie - perché la sola realtà del
marxismo è l’azione (20). Ciò ha
come conseguenza capitale che non avrebbe alcun senso dire che si collabora o ci si allea con l’azione dei marxisti pur rifiutandone la
dottrina: poiché il marxismo si
identifica con l’azione marxista,
collaborare o allearsi con l’azione marxista significa collaborare o
allearsi con il marxismo stesso. Dunque, la natura stessa del marxismo
esige che completiamo il nostro studio, esponendo l’azione marxista e il suo
sviluppo da Marx e da Lenin (+ 1924) ai giorni nostri (Jean Daujat, ‘Conoscere ilcomunismo’, Milano, Il Falco, 1977, pagine 11-17)».
L’azione marxista
«L’azione rivoluzionaria marxista, in seguito a ciò che
abbiamo appena spiegato, è molto diversa dalla nozione corrente di rivoluzione.
Per l’uomo comune, che si propone di realizzare un bene, una rivoluzione è un
mezzo in vista di un fine, che è una società migliore e durevole. Tale non è
evidentemente la concezione del marxista, per il quale non vi è un bene da realizzare,
ma soltanto un’azione da condurre.
L’azione rivoluzionaria non è per lui un mezzo: essa stessa è voluta come l’opera
gigantesca nella quale l’uomo nuovo creerà se stesso; si tratta di trovare i
mezzi di quella azione rivoluzionaria.
Ora, all’epoca di Marx, si presentava un mezzo eccellente: l’estrema miseria
e la totale insoddisfazione della classe proletaria. La felicità del proletariato non rappresenta un fine per il marxista, come si crede comunemente, ma la miseria del proletariato un mezzo per
l’azionerivoluzionaria. Niente poteva essere più conforme ai bisogni del
marxismo quanto la condizione del proletariato nel secolo XIX. Per sviluppare
una volontà rivoluzionaria totale, che non voglia conservare niente, che non
mantenga niente di conservatore, che voglia trasformare tutto, creare una
società completamente nuova, ci volevano uomini che non avessero rigorosamente
niente, che fossero strettamente spogli di tutto. Ciò non fu sempre il caso del
povero o dell’operaio, ma nel secolo scorso fu esattamente il caso del
proletario (…) un vagabondo in una instabilità totale. Ora, per il marxismo,
tutto ciò che è stabilito o esistente, tutto ciò che ha stabilità o durata, è
una abominazione, perché ostacola l’azione rivoluzionaria. Ciò di cui il
marxismo ha bisogno è precisamente il proletariato (oggi sono gli studenti
psicanalizzati, rockettati e drogati della Scuola di Francoforte, nda).
A causa del liberalismo, che ha soppresso ogni istituzione professionale per
lasciare sussistere solo individui isolati completamente liberi, soltanto
coloro che possiedono strumenti di lavoro avranno una certa sicurezza, un
regime stabilito e durevole di vita e di lavoro. Gli altri hanno per vivere
solo la forza delle loro braccia da affittare giorno per giorno a quelli che
possiedono gli strumenti di lavoro, che li adoperano a loro piacimento, avendo
tutta la libertà di sfruttarli; essi divengono proletari, che non hanno nessun
diritto da far valere, nessuna certezza del domani, nessuna di vita e di
lavoro; costoro non sono più legati da nulla a una società che li ignora, non
riconosce loro alcun posto, non fa che utilizzarli. In breve, essi sono
abbandonati a uno sfruttamento totale, non avendo alcun diritto sugli strumenti
di lavoro né sui frutti del loro lavoro, interamente posseduti da altri. (…).
Ciò spiega perché la propaganda comunista non cerchi affatto di convincere di
una verità, ma di trovare i mezzi più efficaci e gli slogan più adatti a far
presa sui cervelli, poco importa se questi slogan siano veri o falsi: l’importante
è che siano efficaci e, in ogni caso, li si cambierà secondo le circostanze (21). L’espressione ‘imbottire i
cervelli’ trova qui il suo significato più letterale, che non ha niente di
peggiorativo da un punto di vista marxista: la propaganda è l’introduzione
materiale nei cervelli della massa di idee-forza (22) che li faranno agire per la lotta rivoluzionaria (23) (…).
Marx, d’altra parte, ha analizzato con una lucidità mirabile come il desiderio sfrenato di guadagni sempre
maggiori, desiderio scatenato dal
liberalismo, trascina con sé
fatalmente una concentrazione di capitali sempre maggiore e una
proletarizzazione delle masse sempre in aumento, e come ciò a sua volta porti fatalmente alla rivoluzione proletaria e
alla concentrazione totale nelle mani della collettività proletaria.
Il marxismo deve, dunque, combattere particolarmente tutto ciò che potrebbe
sostenere la piccola proprietà personale e il piccolo padronato. Allo stesso
modo deve combattere ogni tentativo di restaurazione corporativa che
restituirebbe al lavoratore un posto riconosciuto e uno stato di vita in una
organizzazione professionale e lo toglierebbe dalla condizione proletaria,
radicandolo in un ordine sociale esistente. (…) (J. Daujat, ivi, pagine 19-22)».
Il comunismo odierno
e la religione
«Più incompreso ancora è l’atteggiamento attuale del comunismo nei
riguardi della religione, la tolleranza religiosa e la ‘mano tesa’ dai
comunisti ai cattolici. Questa incomprensione deriva dal fatto che si considera
sempre il comunismo come un ateismo dottrinale invece di capire che esso è un ateismo pratico. Non si tratta affatto,
per il comunismo, di opporre una verità atea a una verità religiosa. La
propaganda dottrinale antireligiosa in se stessa, se non è richiesta dalle
esigenze dell’azione rivoluzionaria materialista, non interessa il marxismo,
come tutto ciò che è dottrinale. Parlando dell’anticlericalismo massonico,
Lenin definisce ciò ‘dilettantismo di intellettuali borghesi’, e si capirà
facilmente ciò che questa espressione sulla sua bocca può avere di sovranamente
sprezzante. Il marxismo farà propaganda antireligiosa soltanto se ciò è utile
all’azione rivoluzionaria, cioè soltanto nella misura, continuamente mutevole
da un’ora all’altra, in cui la religione apparirà come un ostacolo attuale
all’azione rivoluzionaria.
Ma la vera azione antireligiosa del
marxismo non consiste affatto nel combattere la religione da fuori con una
propaganda contraria: consiste nel
sopprimere la religione da dentro,
nello svuotare gli uomini di ogni vita religiosa e di ogni concezione religiosa, prendendoli e trascinandoli interamente
nell’azione puramente materialista.
Vi saranno dunque molti casi in cui, per trascinare i cristiani in questa
azione puramente materialista e con ciò svuotarli dall’interno di tutto il loro
cristianesimo, bisognerà ‘tendere loro la mano’ e offrire loro la
collaborazione (24). Poco importa se con ciò si contraddice un
atteggiamento che in precedenza era ostile: non si tratta né di conversione,
né di ipocrisia: comandano soltanto
le esigenze dell’azione. Se il
successo dell’azione da condurre richiede la collaborazione dei cristiani,
questo successo per un marxista deve evidentemente passare innanzi a tutto, e
allora la verità marxista sarà ‘la mano tesa’ (J. Daujat, ivi, pagine 23-27)».
Conclusione
La condanna di Pio XII, che calava in pratica quanto già
asserito da Pio IX (Qui pluribus,
1846; Quanta cura/Sillabo, 1864),
Leone XIII (Quod apostolici muneris,
1878; Rerum novarum, 1891) e Pio XI (Quadragesimo anno, 1931; Divini Redemptoris, 1937), a partire da
quanto il comunismo dice di sé, pertanto è non solo giusta, ma anche tuttora attuale, poiché il cambiamento è
la natura del comunismo, come la serpe che cambia la pelle ma resta sempre se
stessa (25).
Per gentile autorizzazione di don Curzio Nitoglia a EFFEDIEFFE.com
1) L’«impedimento dirimente» rende invalido
il matrimonio, mentre l’«impedimento impediente»
lo rende solo illecito.
2) La «religione mista» avviene nel matrimonio
tra appartenenti a due religioni totalmente diverse (cristiani e musulmani o
ebrei); la «disparità di culto» è
presente nel matrimonio tra cattolici e confessioni cristiane diverse
(protestanti). Mentre la «disparità di culto» rende illecito il matrimonio e
richiede una dispensa da «impedimento impediente», la «religione mista» lo
rende invalido senza la dispensa da «impedimento dirimente».
3) Confronta, Tesi politiche del IX Congresso del PCI,
Roma, Editori Riuniti, 1960.
4) V. Lenin, Materialismo ed empirio-criticismo, in «Opere
Scelte», Roma, Editori Riuniti, 1970, volume III, pagina 371.
5) F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca,
Roma, Rinascita, 1950, pagina 18.
6) C. Marx, Prima Tesi su Feurbech, in C. Marx - F.
Engels, «Opere Complete», Roma, Editori Riuniti, 1974, volume XXV, pagina 81.
7) F. Engels, Antidühring, in C. Marx - F. Engels, «Opere
Complete», Roma, Editori Riuniti, 1974, volume XXV, pagina 135.
8) F. Engels, Dialettica della natura, in C. Marx - F.
Engels, «Opere Complete», Roma, Editori Riuniti, 1974, volume XXV, pagina 461.
9) G. Stalin, Materialismo dialettico e materialismo
storico, Roma, Rinascita, 1954, pagina 9.
10) C. Marx - F.
Engels, L’ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1958, pagina 70.
11) G. Stalin, Materialismo dialettico e materialismo
storico, citato pagina 20.
12) C. Marx - F.
Engels, Il Manifesto del Partito
Comunista, Roma, Editori Riuniti, 1971, pagina 78.
13) C. Marx, Il Capitale, Roma, Editori Riuniti,
1967, volume I, pagina 536.
14) F. Engels, Il catechismo dei comunisti, Milano,
Edizioni del Maquis, pagina 19; confronta Idem, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato,
Roma, Editori Riuniti, 1970, pagina 103.
15) Arthur
Rosenberg, Storia del Bolscevismo,
Firenze, Sansoni, 1969, pagina 3; H. Lefebvre, Ilmarxismo, Milano,
Garzanti, 1954, pagina 49.
16) H. Lefebvre,
citato, pagina 90.
17) L’idealismo
era obbligato ad arrivare a questo punto: se l’idea non è più l’espressione -
evidentemente spirituale - di una realtà conosciuta, la si deve ormai
considerare soltanto un prodotto del cervello.
18) «Tutto ciò
che esiste merita di morire» dice Engels.
19) Per il
filosofo che riflette, il marxismo è, per questo evoluzionismo e relativismo
assoluti,
proprio il materialismo più materialista che possa esistere. Infatti, una
materia che fosse una sostanza avente una realtà durevole, avrebbe una natura
stabile e determinata. Ciò sarebbe qualcosa di diverso dalla pura passività e
indeterminazione della materia stessa, potendosi incontrare questa pura
passività e indeterminazione solo nella instabilità perpetua.
20) Questo è
stato mirabilmente chiarito in Taille de
l’homme, di Ramuz.
21) «Elevare le
masse al livello della coscienza degli interessi di classe del proletariato»,
dice Stalin (+ 1953).
22) Stalin
scrive: «La disciplina di ferro nel partito non potrebbe essere concepita senza
l’unità di volontà, senza l’unità di azione completa e assoluta di tutti i
membri dei partito» e Lenin afferma che «il partito comunista non potrà
compiere il suo dovere se non è organizzato nel modo più centralizzato, se non
è retto da una disciplina di ferro che rasenta da vicino la disciplina militare».
23) «Nel
comunismo - dice Lenin - tutti i cittadini sì trasformano in impiegati salariati
dallo Stato». «Bisognerà - dice Marx - centralizzare tutti gli strumenti di
produzione nelle mani dello Stato». 24) Marx dà per
programma allo Stato comunista: «Aumentare al più presto la quantità delle
forze produttive».
25) Confronta L.
Colletti, Il marxismo e Hegel, 2
volumi, Bari, Laterza, 1976; D. Settembrini, Illabirinto marxista,
Milano, Rizzoli, 1975; A. Del Noce, Lezioni
sul marxismo, Milano, Giuffré, 1972; F. Ocariz, Il marxismo ideologia della rivoluzione, Milano, Ares, 1977; GF.
Morra, Marxismo e religione, Milano,
Rusconi, 1976; A. Brucculeri, Il vero
volto del comunismo, Roma, La Civiltà Cattolica Editrice, 1952; A.
Messineo, voce «Comunismo», in «Enciclopedia
Cattolica», Città del Vaticano, 1951, volume IV, coll. 151-158; F. Rodano, Sulla politica dei comunisti, Torino,
Boringhieri, 1975; Giorgio Napolitano, Intervista
sul PCI, Bari, Laterza, 1976; E. Bloch, KarlMarx, Bologna, Il Mulino, 1972.
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