L’eresia «palamita»
11 Ottobre 2007
Sto leggendo molto divertito l'interessante e documentatissimo libro «Santi percorsi. I nostri pellegrinaggi sul monte Athos», scritto da don Lino Dragu Popian, sacerdote cattolico proveniente dall'ortodossia (1).
Il racconto vivace, ricco di informazioni, è attraversato da una sottile ironia, che, pur non arrivando al giudizio personale sulla santità soggettiva o meno dei singoli personaggi che ne colorano la narrazione, ed il cui giudizio (essendo tecnicamente e canonicamente degli scismatici) spetta soltanto (come sempre del resto) a Dio solo, si prende gioco delle piccolezze dell'umano intendere, che, come spesso accade nel corso della storia e nell'interpretazione della Verità, prende lucciole per lanterne.
Vorrei soffermarmi in particolare su un aspetto di rilevanza teologica, che connota attualmente una delle differenze sostanziali tra quella che è la teologia delle chiese ortodosse e quella della Chiesa cattolica.
A ragionare infatti sullo scisma d'oriente del 1054 dopo Cristo, il pensiero scivola inevitabilmente sulla vexata quaestio della processione dello Spirito Santo, «anche dal Figlio», ma di solito tralascia aspetti sostanziali di ben altro rilievo.
Il «palamismo» (chiamiamolo così) è talmente centrale, oggi, nelle convinzioni delle chiese ortodosse, da costituire addirittura motivo forte di maggiore disunione con la Chiesa di Roma.
E' vera, pertanto, l'affermazione che asserisce essere lo scisma la porta per l'eresia.
Verissimo.
E' certamente anche vero che le responsabilità personali degli uomini, attori protagonisti di quella pagina triste della storia della Chiesa sono forse reciproche: in poche parole, Roma poteva e doveva esigere obbedienza e il patriarca di Costantinopoli vi era tenuto, ma come sempre accade tra la proclamazione del principio (di origine divina e volontà evangelica) e la sua attuazione pratica (messa in opera da uomini fallibili) possono ergersi ostacoli insormontabili.
Fatto sta che il patriarcato di Costantinopoli, seguìto da altri, si separarono da Roma.
Queste chiese conservano, tuttavia, integro tutto il deposito della ricchezza sacramentale: hanno sacerdozio e sacramenti; ma non la piena comunione ecclesiale e divina con il successore di San Pietro.
Questo pone seri rischi per l'integrità della Fede, che, non avendo il baluardo della roccia su cui si fonda, è esposta a vacillare e a perdersi in oscuri labirinti sofistici, di cui neppure scorge il pericolo di smarrimento.
Tanto accadde con l'eresia di Gregorio Palamas (1296 - 1359), monaco ritenuto santo dalle chiese ortodosse, che «inventò» una interpretazione teologica volta a giustificare la pratica esicastica dell'epoca.
Il dilemma nasceva dalla necessità di dare spiegazione alle esperienze «mistiche» di taluni monaci e di confrontarle con la teologia cattolica, di sempre.
In particolare era forte l'esigenza di salvare da un lato l'intangibilità dell'essenza divina e dall'altro la veridicità della propria personale conoscenza mistica.
Per fare questo Palamas escogitò una separazione ibrida e netta (ad un tempo), nello stesso Essere di Dio, tra energie (comunicabili) ed essenza (intangibile).
Leggiamo direttamente quanto riporta padre Lino:
«Il palamismo continua dirci che l'essenza di Dio non sarà vista da nessuno, né dalla Beata Vergine Maria, né dagli Angeli e tantomeno da noialtri. Mai e poi mai. Suggerisce, cioè, che Dio rimane arrestato intellettualmente nel quadro della sua volontaria rivelazione di Se stesso, così che neppure i profeti, o gli apostoli ispirati non possono e non trasmettono informazioni ontologiche obiettive su Dio come è in sè».
L'espressione «energie diverse, ma inseparabili», poteva essere sopportata.
Ma essa include l'idea di una Divinità in due parti: una invisibile ed altra visibile.
E, malgrado tutte le rassicurazioni di Palamas e dei suoi teologi, si caldeggia l'esistenza di una parte superiore e di un' altra, inferiore, della stessa Divinità.
I palamiti vogliono convincere che ogni energia contiene la divinità per intero; che le energie sono solo manifestazioni esterne del Dio Unico e semplice.
Biblioteche intere si stanno ancora scrivendo, per difendere l'impossibile conciliazione fra la semplicità divina e la differenza reale fra essenza ed energie, in Dio.
I palamiti isicasti continuano a credere che vedranno le energie divine in questa vita.
Ed in cielo?
Sempre le energie e non l'essenza.
Con altre parole, nell'aldilà non ci sono novità essenziali per la nostra esperienza.
Non capivano allora, ma non capiscono neppure oggi che la luce nel cuore è icona fatta dalla fantasia, su base dei dati della memoria, dati del proprio passato.
Questa realtà non si conosceva nella cultura del tempo di Palamas, o nei tempi della Bibbia.
E con tutto ciò, gli Autori Sacri della Bibbia non possono essere presi in castagna in questo senso, come invece i palamiti, perché questa confusione non l'hanno mai fatta. (Un argomento in più del carattere divino, ispirato delle Scritture, le quali trascendono tutte le culture ed i limiti dei tempi).
L'ascesi isicasta che brama la Luce del Tabor, fosse creata o non creata, solleva un altro problema: se, per un semplice esercizio, si arriva alla Luce non creata, o anche creata, questo è pelagianismo e razionalismo, grandi eresie, già condannate (invece la dottrina della Chiesa confessa che una visione è dono gratuito di Dio, vedi Sinai, Tabor o….Lourdes).
Il colmo è che le due eresie sono proprio il punto moderno di accusa dell'Oriente contro l'Occidente; ed il pelagianesimo fu condannato da tutte le Chiese.
Insomma, se nel processo di divinizzazione, la creatura riceve «particole di Dio» ed anche una semplice energia non creata… che discorsi sono questi?
Questo miscuglio porta a un solo indirizzo: panteismo.
Ora, il panteismo è la base della teologia pagana.
Spinosa o Hegel, (per non ricordare tutta la pléiade) tornarono al panteismo, perché rifiutarono il cristianesimo.
Non c'è altra strada per il panteismo in Occidente.
In Oriente però, come vediamo, i greci si spostano nel panteismo da cristiani.
Senza riconoscerlo, certamente: la Grecia è anche la patria dei sofisti.
In realtà, c'è, davvero, un segno distintivo in Palamas, per cui diventò il simbolo di tutta la chiesa orientale ortodossa.
Pur nato a Costantinopoli, Palamas è attirato, forse inconsciamente, con tutta la chiesa bizantina del dopo l'anno 1000, verso un Oriente sempre più lontano dalla nemica Roma.
Sarà per questo motivo?
O sarà per un altro, che la mente filosofica greca, invece di progredire sulla scia di Aristotele-Platone, (i quali generarono l'Europa Occidentale), si lascia adagiare sull'alveo del pensiero persiano e indiano.
In certe correnti induiste, fra Brahma (il dio trascendente) e Brahmà, (la sua manifestazione immanente), c'è diversità reale e non solo concettuale.
Brahmà è energia divina non creata, emanata dal Brahma a modo delle energie di Palamas.
No, non è un caso, questa somiglianza: è un indizio: gli ortodossi si orientalizzano.
Questo non sarebbe un peccato, non dobbiamo essere tutti occidentali.
Però, in questa materia, la Bibbia stessa è ultra occidentale.
Una setta musulmana, gli ash'ariti sostengono la distinzione fra natura ed attributi in Dio. Veramente, non conveniva questa assomiglianza con un'eresia islamica.
La conclusione che possiamo trarre è dunque perentoria.
Il palamismo, lungi dal rappresentare una visione cristiana della vita, si allontana in maniera preoccupante da questa, lanciandosi nel buio di una sorta di «panteismo» mistico.
La semplicità infinita dell'Essere di Dio, infatti, non tollera artefatte e concettuali separazioni nella sua Vita Divina.
Sappiamo infatti che Dio è atto purissimo, e che la perfezione infinita ed eterna del suo operare, Lo porta ad essere sempre identico in se stesso, in quel che è ed in quel che fa.
Tanto è così che in Dio non vi può essere distinzione tra la sua vita ed il suo operare.
L'energia increata, quindi, deve necessariamente consistere nell'azione e nell'effusione dell'Eterno, che «opera sempre» ed il cui Logos è già creatore e conservatore dell'esistente.
L'uomo in preghiera che riceve il tocco dello Spirito Santo nel cuore è inabitato da questo medesimo Spirito.
San Paolo è chiarissimo in tal senso!
Anche Gesù nel Vangelo di San Giovanni dirà espressamente: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». (Giovanni 14,23).
Lo Spirito Santo abita il credente e lo inonda della potenza della sua presenza; il Padre e Cristo stesso dimorano nel cuore; la Santissima Trinità si china amorosa verso la creatura indegna, proprio per salvarla, purificarla, santificarla, divinizzarla.
Come leggere questi passi della Sacra Scrittura come semplici immagini dell'operare delle divine energie, senza mutilarne ed alterarne arbitrariamente il senso?
Stefano Maria Chiari
1) vedi
http://www.popian.it/file_word/monte.doc ed il sito
http://www.popian.it/
Nessun commento per questo articolo
Aggiungi commento