«Se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?»
18 Marzo 2008
(San Luca 23,31)
Cercherò di rispondere ad alcune delle questioni sorte a seguito della pubblicazione di alcuni articoli; riassumere tutto non è possibile, per mancanza di tempo; tuttavia, approfittando della Grande Settimana Santa, possiamo scorgere qualcosa delle risposte che cerchiamo, proprio sondando il Mistero di Gesù che muore per noi.
Il mistero del dolore di Cristo è il mistero del dolore dell’umanità.
Esiste una sottile linea rossa che attraversa la storia di ogni uomo (dall’ovulo fecondato all’anziano centenario); questa linea è mistero di solidarietà e di unione.
Il creato non sussiste come una realtà a compartimenti stagni, così come l’uomo non è leggibile se non nell’intero.
La Chiesa chiama questa verità Comunione dei santi.
Cosa è?
Essa non si riferisce soltanto al mistero d’amore e carità che lega ai beati in Cielo e quel meraviglioso scambio di doni spirituali e materiali che possano procedere da tale intercessione nonché alla possibilità di offrire preghiere e sacrifici ai defunti che stiano purificando.
La Comunione dei santi è una realtà ancor più vasta; è quel principio di unità che è sotteso al piano del Creatore; è un mistero di unione tra creazioni, dotate di un medesimo principio spirituale, procedente dall’unica Origine, Dio stesso.
L’uomo (prima del peccato, in piena consapevolezza, dopo il peccato, solo tra dense nubi, a seconda di quanto si consegni al Signore e di quanto Questi gli si manifesti) è stato reso capace di penetrare il Mistero degli universi e di intuirne l’essenza e la profondità.
La sua creazione è chiamata a signoreggiare il vivente (animale o vegetale che sia), senza soggiacere alle mutazioni degli accidenti esterni.
Il peccato originale guasta irrimediabilmente tale livello di signoria e l’uomo precipita nell’animalità piena; le sue facoltà sono tutte piegate verso la dispersione nel materiale.
I sensi spirituali sono confusi, la porta d’ingresso al male è aperta.
Gesù Cristo - capace di operare la riconciliazione tra cielo e terra - è l’uomo nuovo, che, come e più di Adamo è l’uomo cosmico, in grado di possedere in se stesso tutto il mistero del creato.
E’ bene precisare: non parliamo della Divinità del Verbo incarnato, ma della sua natura umana.
San Paolo lo dice chiaramente.
Essa è stata creata capace di contenere in sé la pienezza di Dio e capace di farvi dimorare ogni pienezza anche creata.
In Gesù coabitano le due nature - divina ed umana - complete, ad ugual titolo; nature talmente unite nella Persona del Verbo da essere perfettamente Dio e uomo ad un tempo.
Ma la dignità della natura umana doveva sussistere in tal modo da essere in grado di «sopportare» tutto il peso maestoso e schiacciante della Divinità!
Cosa avrebbe dovuto essere l’umanità di Cristo!?
Nulla a che vedere con alcunché di creato.
Gesù, vero uomo, fu reso talmente grande, eccelso e sublime nella sua umanità benedetta, da essere depositario del Logos del Padre, per effusione dello Spirito Santo nel ventre purissimo della Vergine immacolata.
Ebbene, a maggior ragione la capacità umana di Gesù avrebbe dovuto necessariamente abbracciare la totalità di quanto creato: se infatti fu in grado di contenere la pienezza del divino, cosa le sarebbe potuto mancare?
Gesù è il Signore, perché è Dio e perché la sua umanità assume su di sé il mistero di ogni creato: è il re della creazione intera.
Tutto - è scritto - fu fatto per Lui ed in vista di Lui; in vista cioè della perfezione anche della sua creazione onnicomprensiva.
Quando Adamo pecca si lacera il rapporto sublime che l’uomo creatura possiede con l’intero creato (non soltanto materiale, ma anche spirituale).
Tale conseguenza discende dal ruolo (e quindi dalle capacità) al quale Adamo era chiamato.
Disperso questo tesoro meraviglioso, l’uomo si ritrova non soltanto malato (concupiscente) e ferito a morte (senza la presenza di Dio, destinato all’inferno, una volta disgregato il corpo), ma anche terribilmente solo e privo di comunicazione con il mondo a lui circostante (sia dello spirito sia della materia).
L’uomo che pecca, oggi come allora, replica questa lacerazione; essa ha degli effetti devastanti non soltanto su chi è direttamente autore del peccato, ma anche su chi è con lui in più o meno stretta connessione.
Se uccido un uomo, non pecco soltanto io, ma arreco del male anche alla persona uccisa; questo, semplicemente nella sfera del materiale, molto di più in quella dello spirito.
Adamo che pecca, provoca un disastro universale nei confronti di tutto il creato a lui soggetto o che da lui dipende in certo modo e coinvolge anche la propria discendenza, trascinandola in un abisso di perdizione e disperazione.
L’uomo non è più capace di Dio.
Lo ha offeso, rifiutando la Vita, tagliando di netto il tralcio dalla linfa vitale.
Questo, lungi dal costituire un risentimento nell’intangibilità dell’Altissimo, rende l’essere umano giustamente separato dallo splendore eterno della Maestà Divina, che lui non merita, perché non ama.
Il giudizio nei suoi confronti opera già nel ripudio che egli possa avere della donazione dell’Eterno. Dio non è capriccioso, ma infinitamente giusto, e nel momento in cui l’uomo peccatore è di fronte al Tribunale infallibile, sconta la verità di quel che lui è (ed è divenuto per il peccato) con la verità dell’Essere di Dio, che lo vuole salvare, ma non può a causa della libera scelta operata dall’uomo.
Certa è una cosa: Dio è santo, infinitamente santo, e non è possibile accedere a Lui, se non si è come Lui, santi, purificati dal suo amore, in vita (aderendo a Lui, con la fede e le opere di carità e sacrifici e preghiere) o dopo la morte (purgatorio).
Il male sorge dal peccato.
Ed è male di ogni genere e di ogni specie (fisica, morale, spirituale che sia).
Ogni male, malattie comprese, scaturiscono dal peccato originale.
Bisogna comprendere una cosa: il peccato non è mai fine a se stesso, come detto.
I suoi echi si ripercuotono a livelli per noi impensabili: è una dimensione cosmica.
Nessuna meraviglia, quindi, se la natura «si ribelli» al peccato dell’uomo e tenti di sopraffarlo, rifiutandolo.
Quello che essa rifiuta è la negazione della volontà divina!
Per «ripristinare» tale ordine perfetto (quello della creazione secondo la volontà di Dio, libera dal peccato), cerca riparazioni, e per questo si genera il dolore, la sofferenza, la malattia.
Il bimbo che nasca con una patologia gravissima, non deve essere visto come eccezione a questo «disordine esistenziale generato dal peccato»: ne è la fedele riproduzione.
L’uomo non domina la natura, e questa, soggetta a causa di lui, alle doglie del parto per la corruzione e caducità devastanti, introdotte dal peccato, lo colpisce come può.
Il peccato originale riguarda proprio il genere umano, e come tale sconta la ribellione della natura; la natura percuote il genere umano, oramai reso debole e fragile, dopo il peccato.
Il bambino infermo, quindi, non nasce innocente, ma segnato dalla tara generazionale del peccato e per questo nasce esposto alle conseguenze del peccato, che possono essere anche aberranti fisicamente.
Un morte prematura, una malattia spietata sono sempre e solo causate dal male voluto dall’uomo; ma non necessariamente dall’uomo interessato in quel frangente: il male, come detto, procede da lontano sia nel tempo sia nello spazio.
A questo punto, occorre precisare: Dio non vuole il male né lo «produce»; tuttavia lo permette. Perché lo permette?
Perché è capace di ricavare dal male permesso un bene più grande!
Cosa ha di mira Dio?
Il bene eterno dell’uomo.
Quindi, anche quando l’uomo resta segnato da un evento dolorosissimo, Lui è capace di trasformarlo in bene.
Questo significa la frase di San Paolo nella lettera ai Romani: «Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio».
E questo ancora significa, tra le altre cose, la risposta di Gesù sul cieco nato: la «Manifestazione della gloria di Dio».
Solo Dio infatti è in grado di trasformare il pianto in sorriso, la morte in vita, il lutto in resurrezione. Per questo, credere alla reincarnazione significa giudicare la Provvidenza infinita di Dio, supponendo di dover necessariamente spiegare tutto con mezzi umani, e dal solo punto di vista umano, magari avvalendosi del karma o di evoluzioni spirituali progressive di steineriana memoria.
No, cari lettori!
Dio è capace di tirare fuori il bene dal male, sempre!
Che la vita duri un secondo o che duri 120 anni di dolore e sofferenza!
E sapete perché?
Perché è onnipotente e perché questo lo ha realizzato proprio in Cristo.
E’ il mistero di amore e di dolore di questi giorni.
Gesù incarnandosi, scende al livello più basso della disintegrazione di questa natura umana intimamente lacerata dal peccato.
Egli è il «legno verde».
Lui, l’unico giusto, senza peccato (Maria con Lui, per la nobiltà e la dignità della creazione della Theotokos, immacolata dal concepimento), sul quale si abbattono le conseguenze estreme
di questo disordine esistenziale e cosmico.
Gesù, capace di vivere in pienezza la Realtà di Dio e quella del creato, è necessariamente «fatto peccato»; è «trattato da peccato».
Vive tra l’incudine (le conseguenze del peccato) ed il martello (l’ordine voluto dalla Divina volontà); innalzato su una croce che protende verso Dio e che è trasversalmente posta sull’orizzonte dell’uomo.
E’ incontro sorprendente della verità e bellezza del Cielo e dell’oscurità tenebrosa dell’abisso.
A Gesù nulla sfugge.
E’ il Dio-uomo che beve fino in fondo l’amarissimo calice del peccato; Lui, il senza colpa né macchia; il senza peccato e concupiscenza, liberamente consegna la vita (per poi riprenderla, significando con questo la sua signoria sul male stesso, che Egli trasforma in Bene), scoppiando in sangue.
Ecco, la solidarietà estrema di Cristo è totale identificazione con ogni peccatore; è discesa della Divinità nei recessi ove si determini proprio il rifiuto di tale Divinità.
La malizia del peccato non è estranea all’anima di Gesù, che ben conosce il mistero del rifiuto
del Bene; lo vive, e lo redime, amandolo con un amore tale, che solo il Figlio di Dio può possedere. Questo amore deve essere più grande e più forte di quella morte che sconta e subisce passivamente, senza aprire la bocca; deve essere più vero e più sublime e più elevato dalla profondità oscura dell’inferno; deve essere foriero di una vita talmente vivificante da vincere la morte in maniera definitiva.
Il legno verde su cui si abbatte l’ira del male; l’odio dell’inferno che lo rifiuta con tutte le forze; la brutalità del peccato che vuole divorare Cristo, cancellandolo dalla faccia della terra.
Il legno verde subisce tutto e spiritualmente niente Gli è risparmiato.
Il legno secco (ciascuno di noi), tuttavia, privo della vitalità e della freschezza dell’innocenza, si espone ad un destino peggiore (non può affrontare una fiamma che lo divorerà e lo renderà polvere, nella terribile insensatezza della dannazione eterna).
Gesù infatti vince il male, immergendosi in esso e distruggendolo dall’interno; purificandolo con la sua santità infinita, cambia il male in bene!
Talmente «verdeggiante» e fresca la sua vitalità da restare intatta al contatto con il fuoco.
Il legno secco, al contrario, è l’uomo infermo a causa del peccato; la sua condizione non è «verde», non c’è vita in lui.
Egli, se vuole vivere, deve ricorrere alla linfa eterna.
Deve innestarsi sulla vera Vite.
Il legno secco non è capace di affrontare il male e di vincerlo; non lo può fare, se prima non è vitalizzato, e comunque non lo potrà mai fare per risorse a sé proprie.
Deve far ricorso a Cristo.
Piangere su di sé e sui propri peccati, affinché non sia vano quell’albero della croce, i cui frutti sono di vita eterna.
Ecco, il mistero del dolore di Gesù, diventa, se accettato dall’anima penitente, mistero di salvezza per l’uomo.
Il castigo che meritava ognuno di noi, si è abbattuto sull’agnello senza macchia e per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
L’invito è quindi quello di non lasciar al dimenticatoio il mistero di amore che si cela dietro le parole di Gesù, cogliendo quanto più si possa il dono prezioso della vita eterna.
La sofferenza ed il dolore di Cristo sono così capaci di conferire valore ad ogni dolore nascosto, ad ogni remoto sospiro dell’uomo più solo e abbandonato; Gesù, che conosce ed ama anche l’ignoto, arriva alla salvezza dell’ultimo oblio tra le genti, contando di ognuno perfino i capelli del capo.
Redentore dell’umanità, perché capace di amarla fino in fondo.
Stefano Maria Chiari
Nessun commento per questo articolo
Aggiungi commento