Afghanistan: riusciremo a ritirarci?
26 Marzo 2008
Una sessantina di autobotti che portano i carburanti alle truppe NATO
in Afghanistan sono state incendiate domenica alla frontiera col
Pakistan
(1). I grandi automezzi
con rimorchio erano in sosta in un’area di parcheggio nella cittadina
tribale di Landi Kotal, dove aspettavano di poter superare il confine
di Torkham. Un’esplosione e 60 mezzi hanno preso fuoco, 35 sono stati
completamente inceneriti, riferisce la Deutsche Presse. Due morti, una
cinquantina di feriti.
Il parcheggio era sotto la sorveglianza di personale militare che
apparentemente s’è volatilizzato prima dello scoppio. Si tratta
certamente di un attentato dei Talebani che, dice la Deutsche Presse,
ogni mese distruggono in media tre autobotti.
La zona è infatti quella della North-Western Frontier Province,
nominalmente pakistana, ma del tutto incontrollata e santuario dei
Talebani e di «Al Qaeda», ossia di combattenti islamisti di varie
nazionalità. Il 70% dei rifornimenti NATO devono passare da lì, dal
famigerato Khyber Pass a Peshawar, capitale della zona incontrollata, e
da lì fino a Kabul. L’incubo logistico, per tutti i conquistatori
dell'Afghanistan.
Centinaia di chilometri su strade difficili, che attraversano fiumi a
volte in piena, nell’area «tribale», esposti agli attacchi di
guerriglia: linee di rifornimento così lunghe e difficili sono il
bersaglio più ovvio, il filo più facile da spezzare. Quando sarà il
momento del ritiro, riuscirà la NATO a riportare a casa i nostri
soldati? Quel momento è inevitabile.
Il generale Dan McNeill, che è il comandante delle truppe USA in
Afghanistan, ha recentemente dichiarato che, se si dovesse seguire la
dottrina che le scuole di guerra insegnano a proposito di
contro-guerriglia, la NATO e Washington dovrebbero mandare in
Afghanistan 400 mila soldati per sconfiggere la resistenza Pashtun,
troppo genericamente designata come «i Talebani». McNeill ne ha sotto
il suo comando 40 mila. Se si calcolano anche i soldati europei,
canadesi e australiani della NATO, in tutto si arriva a 66 mila; ma
almeno la metà sono truppe in missione di non combattimento.
Non a caso il capo del Pentagono Gates chiede brutalmente agli europei
più truppe; Sarkozy ha promesso un migliaio di uomini. Ma i sovietici
mandarono in Afghanistan 160 mila uomini, affiancati da 200 mila
soldati del governo comunista afghano, e ne uscirono vinti. La parte
combattente di questa truppa, inglesi in testa, è usurata in uomini e
materiali. Forse arriveranno, su richiesta di Bush, dei romeni.
I canadesi hanno minacciato di ritirare i loro uomini, se gli europei
non mandano più truppe: la spaccatura della NATO, quest’alleanza
difensiva spedita a combattere una guerra senza scopo né fine
strategico chiaro così lontano dall’Europa (lo stesso Kouchner ha detto
agli americani che «una strategia è necessaria»), può avvenire proprio
là, di fronte al nemico. Quando bisognerà andarsene, ci penseranno gli
americani ad organizzare l’evacuazione di tutti? Con un grandioso
eroico ponte aereo dall’aeroporto di Bhagram? Ne avrà i mezzi?
Forse i nostri politicanti dovrebbero informarsi sulla reale condizione
degli Stati uniti. Oltre un milione e centomila abitanti dell’Ohio – il
10% della popolazione - ricevono «food stamps», i buoni per ottenere
cibarie gratis dai supermercati: una misera carità dello Stato locale,
che vale 100 dollari al mese
(2). Nel 2001, i percettori di «food stamps» erano 628 mila; sono raddoppiati.
La potenza bellico-tecnologica USA? Il maggiore Stephen Stillwell,
pilota di F-15, ha denunciato in giudizio la Boeing perché mentre
volava compiendo una evoluzione normale, un giro a U con sollecitazioni
di 7 G, gli si è staccato un longherone della fusoliera. Stilwell s’è
salvato eiettandosi con il paracadute. Dopo l’incidente accaduto il 2
novembre, l’indagine dell’Air Force ha appurato che i longheroni della
Boeing erano più sottili di quanto indicassero le specifiche
contrattuali e mal rifiniti; altri incidenti del genere sono avvenuti
nel frattempo, sicchè 149 di questi caccia avanzatissimi sono ora
bloccati a terra
(3).
Lo stesso Paul Craig Roberts, già vicesegretario al Tesoro di Reagan, ha scritto: «
A
volte mi chiedo se questa ‘superpotenza’ in stato di bancarotta
riuscirà a raggranellare le risorse per portare a casa le truppe di
stanza in centinaia di basi oltremare, o saranno semplicemente
abbandonate»
(4). E’ l’intera strategia di grandezza, concepita un trentennio fa dai teorici neoconservatori, che sta facendo fallimento.
Nel 1975, nel pieno della crisi petrolifera, su Harper’s apparve un
articolo dal titolo «Seizing Arab Oil», ossia «Impadronirsi del
petrolio arabo». Lo firmava uno pseudonimo, «Miles Ignotus», che il
giornale indicava come «
un professore di Washington e consulente
della difesa con ottimi collegamenti con la decisione politica del più
alto livello in USA».
Sarà stato Robert Kagan, o Wolfowitz, oppure Kissinger o Luttwak; «Miles Ignotus» spiegava che «p
ossiamo
risolvere tutti i nostri problemi prendendoci i giacimenti petroliferi
arabi e facendoli dai nostri tecnici del Texas e dell’Oklahoma».
Fondazioni «culturali» come «The New American Century» e «American
Entreprise» nacquero, come i loro nomi già suggerivano, per imporre
alla Casa Bianca e all’America questa strategia studiata a tavolino.
Il primo di questi centri di influenza, come noto, auspicò una «Nuova
Pearl Harbour» come pretesto per avviare l’impresa. La nuova Pearl
Harbour ci fu l’11 settembre 2001. Oggi, gli USA occupano l’Iraq da
cinque anni. Da sole, le riserve petrolifere irachene sono uguali a
quelle di Russia, USA, Cina e Messico combinate. L’estrazione è tra le
più economiche che si possano immaginare, al costo di 1,5 dollari a
barile. Eppure i soldati americani d’occupazione, ciascuno dei quali
consuma 95 litri al giorno di carburante, ricevono i rifornimenti dalla
Turchia, con autobotti in fila attraverso la lunghissima e fragile
linea logistica stradale.
L’America non riesce a sfruttare il suo bottino iracheno; cinque anni
dopo, non è ancora in grado di controllare la guerriglia, né il
territorio; deve lasciare che si combattano fra loro le bande
etnico-religiose contrapposte, ultimamente ha dovuto armare i sunniti
contro «Al Qaeda», mentre il governo di Baghdad (scita) compra 240
milioni di dollari di armamento dalla… Serbia.
Ed ora, giunge la notizia che Bush ha mandato un sommergibile nucleare nel Golfo
(5);
il sottomarino è transitato nel canale di Suez, dove pochi giorni prima
è passata una nave USA di salvataggio. Il tutto mentre Dick Cheney sta
compiendo una serie di visite nell’area, allo scopo - così dicono tutte
le fonti - di spingere i Paesi del Golfo ad approvare un attacco
americano alle basi nucleari iraniane.
Sarà bene che gli europei si distanzino da una potenza che insegue un
suo incubo irrealizzabile per mancanza di mezzi, fiduciosa di un potere
militare che sul campo si è comprovato fallimentare. Non sarà un
sommergibile atomico a risolvere il problema in cui gli USA si sono
cacciati; anzi, una guerra con armi nucleari rischia di liquidare per
sempre il sogno di «seizing arab oil» sotto la contaminazione
radioattiva.
I politici europei pensino alle linee di rifornimento così lunghe e
fragili; saranno quelle le linee di ritirata, quando la realtà
s’imporrà sul sogno neocon, dei guerrieri da tavolino. Ritirata
sull’Hindu Kush: Kabul, Peshawar, Khyber Pass, a venti all’ora, sotto i
continui attentati della guerriglia pashtun.
1) «Dozens of NATO oil tankers destroyed on Pakistani-Afghan border», Deutsche Presse Agentur, 23 marzo 2008.
2) «Food stamp use hits all-time high in Ohio», Associated Press, 24 marzo 2008.
3) Bruce Rolfsen, «Pilot sues Boeing over F-15 falling apart», Air Force Times, 24 marzo 2008.
4) Paul Craig Roberts, «The collapse of the american power», Online jounral, 20 marzo 2008.
(The US has squandered $500 billion dollars on a war that serves no
American purpose. Moreover, the $500 billion is only the out-of-pocket
costs. It does not include the replacement cost of the destroyed
equipment, the future costs of care for veterans, the cost of the
interests on the loans that have financed the war, or the lost US GDP
from diverting scarce resources to war. Experts who are not part of the
government’s spin machine estimate the cost of the Iraq war to be as
much as $3 trillion. The Republican candidate for President said he
would be content to continue the war for 100 years. With what
resources? When America’s creditors consider our behavior they see
total fiscal irresponsibility. They see a deluded country that acts as
if it is a privilege for foreigners to lend to it, and a deluded
country that believes that foreigners will continue to accumulate US
debt until the end of time).
5) «
US deploys nuclear sub to Persian Gulf», The News (Teheran), 24 marzo 2008.
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