>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
mai68.jpg
«Il ‘68, eredità vuota»
Stampa
  Text size
Cyril de Pins è un aggregato di filosofia francese di 32 anni, traduttore e storico della linguistica. Nelle lunghe giornate della memoria celebranti il Maggio ‘68, ha scritto questo commento (1).

«Noi siamo gli eredi del maggio1968, è indubbio. Ma non siamo altro che questo. Coloro che, come me, sono nati dopo il 1970, non hanno ricevuto in eredità che ciò che ha lasciato loro la generazione precedente, quella che aveva vent’anni al tempo di quelle feste primaverili in cui tanti hanno creduto vedere una rivoluzione.

E questa eredità è molto povera: consiste in una propensione giovanile alla deplorazione e alle denunce pubbliche, in una fiducia illimitata e cieca nella gioventù in sè, nel rigetto del principio d’autorità e nel rifiuto del passato.

‘Del passato facciamo tavola rasa’, esortava l’Internazionale (inno del proletariato, ndr.). Maggio ‘68 e i suoi soldatini lirici hanno eseguito, gridando: ‘Corri compagno, il vecchio mondo è dietro di te’. Il meno che si possa dire è che è stato un successo.

Non c’è più uno studente che sappia chi erano Danton e Marat, non uno studente che sappia distinguere fra una chiesa romanica e un lavatoio, nemmeno più uno studente che sappia chi fossero Lenin o Mao.

Colpiva, nella mobilitazione anti-CPE (le manifestazioni studentesche contro il contratto di primo impiego, marzo 2006) osservare il mimetismo dei figli e dei nipoti dei ‘rivoluzionari’ del maggio: non avevano che un’idea in testa, ripetere il maggio.

Sarebbe interessante, in questi giorni di commemorazione lirica, sottoporre le giovani generazioni a un piccolo test: far loro leggere gli slogan scritti sui muri delle strade e delle università nel 1968 e domandare che cosa ne capiscono. Ci si accorgerebbe che non ne capiscono niente, nè il significato nè - fatto più grave - l’umorismo spesso sotteso di citazioni (di Sant’Agostino, di Napoleone, di Ambrose Bierce, di Alphonse Allais, eccetera).

Bambini viziati della storia, sono stati la prima generazione dalla notte dei tempi che non ha conosciuto la guerra e nemmeno la sua minaccia (la generazione precedente aveva ancora conosciuto la guerra d’Algeria), e sono stati l’ultima generazione a conoscere tanta prosperità e ciò che l’accompagnava, ossia numerose e brillanti carriere possibili in un periodo in cui tutto si sviluppava e cresceva: imprese, università, ‘grandi scuole’... Aggiungiamo che non conobbero la psicosi sessuale indotta  dalla comparsa dell’AIDS.

Viziati dalla storia, sono stati viziati anche dall’istruzione. Per primi hanno ricevuto in così tanti un’eccellente formazione classica (latino, greco, letteratura, una bella lingua francese, eccetera) e per ultimi hanno raccolto l’eredità popolare delle nostre province, le loro lingue, i dialetti e le loro tradizioni.

Come tutti i bambini viziati hanno distrutto ciò che hanno ricevuto, quello che la storia aveva conservato tanto a lungo, quelle lingue, quelle tradizioni, quegli insegnamenti ereditati dai gesuiti e resi accessibili dalla repubblica. Al posto di tutto questo, hanno messi i loro capricci, i loro fantasmi e la memoria della loro giovinezza.

La mia generazione è la prima a non aver ricevuto niente: nè la lingua regionale (il famoso ‘patois’ il cui patrimonio è a volte eminente, se ci ricodiamo dei trovatori) nè la formazione classica (i corsi di latino e greco hanno chiuso quasi dappertutto), e nemmeno la cultura nazionale, il che è più grave: i nostri allievi ignorano quasi tutto della storia della Francia, della sua letteratura classica, e la loro padronanza del francese è confusa e lassista, in fondo conforme alle sole esigenze che si pongono loro, e che si riducono ad ‘esprimere se stessi’, anzichè, semplicemente, a esprimere.

Bartabas (regista e creatore del Teatro Zingaro) ricordava il peccato della generazione 1968 così: ‘Ciò che questa generazione ha dimenticato di assumersi è la trasmissione del sapere’. Non abbiamo ricevuto altro che il narcisismo dei ragazzini viziati della storia e i loro sentimentalismi; non abbiamo ricevuto alcun sapere, e nessun saper-fare.

Non spetta forse alla nostra  generazione fare il bilancio del ‘68 e dell’opera dei suoi attori, piuttosto che a quella generazione che ha già fatto già abbastanza a rendere abbrutite e incolte quelle seguenti? Eppure, si sentono soltanto loro! Da quarant’anni parlano soltanto loro, come se la Francia fosse nata con i loro gridi e i loro slogan; non fanno che rimembrare quei giorni formidabili, manco fossero dei reduci di guerra, mentre sono i nuovi redditieri.

La crisi d’identità francese non è difficile da spiegare. Dal Maggio ‘68 e conformemente alle credenze dei suoi attori, la Francia è il paese del diritti dell’uomo, e nient’altro che questo. Dimenticate le memorie provinciali che permettono di comprendere che la Francia s’è costituita lungo una storia plurale e complessa, una storia di cui la République non è che l’ultimo capitolo. Dimenticati i secoli senza democrazia, in cui però l’Europa ammirava i nostro scrittori e i nostri scienziati e i nostri soldati; dimenticate le radici cristiane, latine, greche, germaniche; dimenticati i dialetti; dimenticata la lingua scolastica che saldò la nazione, a cominciare dalle elites, per poi saldare tutti gli strati della società.

Una nazione è fatta dalla sua memoria comune. Noi non ne abbiamo più una. Niente è più scoraggiante per quelli della mia generazione che sentire, per giorni interi, le diagnosi di tutti questi irressponsabili che, passate le giornate di magggio, una volta tornati agli affari (ci sono sempre, agli affari), continuano ad agitare i loro fantasmi: il bambino al centro (di tutto), le vecchie lune nel dimenticatoio: i ricordi inutilizzabili simbolicamente, le linque regionali inutilizzabili per l’ascesa sociale e troppo legate alla campagna e al passato, le «umanità» - latino, greco e cultura religiosa - tutte le forme (del vestire, del parlare, della buona educazione) e la selezione. 

[...]

Gli attori del maggio detestano la Francia, non ne amano che i pochi simboli strumentalizzabili: la Rivoluzione, la Resistenza, il patrimonio culinario... Quelli là se evocano altri periodi della nostra storia, li evocano come pattumiere, di cui peraltro le gente non sa più nulla: l’Antico Regime (dove si confondono i re e le epoche), il Medio Evo (messo in caricatura coi tratti dell’Inferno di Dante, autore oggi universalmente ignorato), l’Impero (dove Napoleone è descritto come un Hitler, secondo la lettura anglosassone), Vichy (il consuntivo della Francia secondo Bernard Henry Lévy)...

Come stupirsi che il risultato del loro lavoro ‘politico’, sociale ed ideologico, sia una generale detestazione della Francia, del suo passato, del suo presente e di tutto quello che vi è associato?

Il sentimento nazionale è di necessità un sentimento particolare: è il sentimento di appartenere a una storia particolare, di partecipare a un’avventura patricolare, di parlare una lingua particolare e vivere sotto leggi particolari.

Gli attori del maggio hanno deciso di rinunciare al particolare per abbracciare l’universale: la Francia non è più altro che la patria dei diritti dell’uomo, l’esperienza francese, liberata della sua pesante eredità storica, non è che una promessa di giustizia - beninteso continuamente tradita, il che dà una ragione per tornare sulle piazze a commemorare il maggio. Ma nessuna nazione può nutrirsi di universale, e ogni volta che una nazione s’è pensata come universale, ancorchè questo pensiero non sia mai stato altro che un orizzonte, si è finiti in quelle e in espansioni.

La colonizzazione ne è stato un sintomo: se la Francia è universale, perchè privarne gli altri popoli? E’ evidente che non si restaurerà l’identità nazionale contentandosi di espellere senza discernimento un massimo di stranieri, e non si insegnerà l’amore della Francia e della sua lingua con un catechismo scolastico svuotato di ogni memoria.

La Francia è un Paese forte di tradizioni scientifiche, linguistiche, storiche e universitarie, ricche e numerose. E’ un Paese dal patrimonio infinito, ma minacciato dall’indifferenza: si distruggono sempre più chiese, i castelli sono massacrati l’uno dopo l’altro da funeste trasformazioni o semplicemente dalla rovina.

Gli attori di maggio pensano che questo passato non li disturba mai abbastanza, che li ostacola ancor sempre troppo; perchè nulla è più iniquo della eredità. Mi meraviglio che non abbiano ancora pensato a livellare i patrimoni genetici (l’eredità biologica...), ma siamo pazienti, la loro passione dell’uguaglianza e il loro odio per l’eredità ce li porteranno.
Gli attori di maggio hanno dimenticato una cosa: che ogni eredità si accompagna a dei debiti.

Per primi, hanno goduto l’eredità ignorando i debiti, a cominciare da quello che si contrae quando si riceve un’eredità, l’obbligo di trasmetterla alla generazione seguente. Questo debito soprattutto è quello che ci lega a coloro che vengono, a cui dobbiamo affidare la memoria e il sapere, perchè sono  l’avvenire.

Cosa trasmetteranno quelli della mia generazione a quelli della generazione seguente? Non si fa una nazione nè una storia con la «buona coscienza» e qualche simbolo di conforto. La nazione si costruisce nelle memorie e nella lingua, non nelle piazze a urlare slogan inetti, gli stessi da trent’anni (le sole canzoni che i giovani condividono coi più vecchi sono i canti bruttissimi delle manifestazioni...).

Quelli che hanno ricevuto la loro rendita lanciando dei sampietrini vorrebbero che li ammirassimo per aver goduto i loro priviliegi senza averli condivisi, e per tanto tempo, vorrebbero che versassimo una lacrima di commozione sui loro fatti d’arme. Non è più odioso, è osceno».

Cyril de Pins


(traduzione di Maurizio Blondet)




1) Cyril de Pins, «Mai 68 ou le vide en héritage», Causeur.fr.


Home  >  Costume & Società                                                                             Back to top


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità