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MPS: circolare, non c’è niente da vedere
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Montepaschi? Avete detto «Montepaschi»? Scandalo Montepaschi? La gestione loschissima di Mussari e degli altri targati PD? Niente: «Nessun comportamento penalmente rilevante». L’hanno dichiarato i tre procuratori di Siena che da 20 mesi dicono di condurre l’inchiesta sulla banca, Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso.

Venti mesi di indagini. Ed ecco la conclusione dei grandi magistrati d’accusa: «Nell’acquisizione di Antonveneta non sono state trovate tangenti né arricchimenti personali». Anzi, hanno persino rimproverato i giornalisti presenti alla loro conferenza stampa. «Di tangenti avete sempre parlato voi – ha detto Nastasi – noi ci siamo concentrati sui fatti. Le chiacchiere stanno a zero».

Come mai i giornali parlarono di tangenti, va ricordato. Monte dei Paschi, la banca rossa, aveva comprato Antonveneta dal Banco di Santander, pagandola troppo (solo pochi mesi prima il Santander l’aveva pagata 6 miliardi). Quanto? Si è parlato di 9 miliardi, ma è una cifra benevola, già di per sé preludente all’assoluzione. In realtà, leggo dai giornali,

«Secondo un’informativa del nucleo valutario delle Fiamme gialle, l’acquisizione di Antonveneta nel 2007 ha comportato per Banca Mps, da un punto di vista finanziario, un esborso complessivo di circa 19 miliardi di euro, di cui 9 per l’acquisto e altri 10 circa per il rimborso delle esposizioni intragruppo di Antonveneta con Abn Amro». Il sospetto era che il mostruoso sovrapprezzo nascondesse «finanziamenti» occulti magari a qualche partito, indovinate quale. Invece, niente.

Insomma, sunteggia Dagospia, «Comprare il bidone Antonveneta per 19 miliardi uccidendo Mps e regalando 3 miliardi a Botin (il capo del Santander, ndr) è stato fatto per diletto». Gli piaceva fare cattivi affari, a Mussari e ai suoi burattinai. Anche per questo l’ABI, l’Associazione Bancaria Italiota, l’ha nominato trionfalmente suo presidente...

I valorosi procuratori di Siena si sono buttati a pesce ad indagare sulla banca rossa, con quanto fuoco giustiziero, con quanta foga, ce lo ricordiamo. L’ha ammesso, nella conferenza stampa, il procuratore capo: si sono messi ad indagare solo nel novembre 2011, «quando «da notizie di stampa» emergeva che la Fondazione Mps, socio di riferimento del Monte, era «in crisi» a causa delle operazioni di aumento capitale, e non solo, legate ad Antonveneta». Hanno saputo leggendo i giornali, i procuratori. Senza i giornali, mica avrebbero cominciato l’inchiesta.

Adesso hanno depositato 20 mila pagine di atti, «ma le intercettazioni sono poche», hanno detto i pm: hanno messo le mani avanti coi giornalisti. Inutile che spulciate quel malloppo, non c’è niente di piccante. Niente intercettazioni, in questa indagine: l’arma assoluta delle procure, che le procure non vogliono assolutamente farsi togliere quando si tratta di intercettare la parte berlusconica, in questo caso l’hanno usata con signorile discrezione.

Sono stati molto choosy fin dall’inizio, i valorosi procuratori. Anzitutto interrogano Gotti Tedeschi, perché è stato allo Ior e prima al Santander, e fa sempre bello mostrare – per i giornali amici – che s’indaga sulla banca vaticana (che non c’entra niente). Poi lanciano un’indagine su Denis Verdini: il coordinatore del Pdl, amico di Mussari, gli aveva anni prima chiesto un prestito da 10 milioni (su questo, hanno le intercettazioni telefoniche trattandosi di un pdl). Un prestito che Mussari gli ha persino rifiutato; e che è comunque un microbo in confronto ad un acquisto da 19 miliardi, su cui dovrebbe vertere l’indagine; per non dire dei 4 miliardi che lo Stato italiota – prendendoli a noi contribuenti con l’Imu prima casa – ha dovuto dargli per tappare i buchi (e salvare la Fondazione, coi suoi pezzi grossi comunisti).

Finita nel vicolo cieco questa inchiesta, i procuratori hanno concentrato i loro ingegni sulla «banda del cinque per cento», ossia su tre dirigenti di Montepaschi e brokers tra Londra e la Svizzera, che «facevano la cresta su operazioni dell’istituto di credito aggiungendo commissioni non dovute e spartendosi in seguito la relativa percentuale incassata». Sì, facevano la cresta sulle operazioni; ma il problema, sono le operazioni che Montepaschi gli ha chiesto di fare, non la cresta, che nella faccenda è un bruscolino, un fatto laterale. Ma per qualche settimana sembra – dalle informazioni che i media ricevono – che tutto il problema di Montepaschi sia la banda del cinque per cento; banda che viene presentata come incistata ed indipendente all’interno della banca comunista. Su questa pista, si fanno o chiedono rogatorie a Londra, in Svizzera, a Vanuatu...

Trascurando fatterelli come quelli elencati dalla stampa: che «Mussari è l’uomo che ha versato 700 mila euro al Pd; la sua banca dipendeva da una fondazione in cui 14 consiglieri su 16 erano nominati dal centrosinistra. E che su 700 nomine effettuate dal gruppo Mps, – notava ieri il coordinatore toscano del Pdl Massimo Parisi –, ben 692 o 693 sono state effettuate dal Pd e solo 7-8 dal Pdl».

Tra seicentonovantadue nominati dal PD, i magistrati sono andati ad occuparsi di Verdini del Pdl. È una selezione di sospetti che strappa grida di ammirazione.

E con che grande tatto, i giudici, hanno evitato di mettere in causa (cito da un altro giornale) «il sistema Siena, l’intreccio tra politica locale, potere e città che ha ucciso la più antica banca italiana. Un intreccio che, piaccia o meno, è storicamente stato coperto dall’ex Pci, poi Ds, oggi Pd. Il partito che ha da sempre vinto le elezioni del Comune e della Provincia senese, gli enti che controllano la Fondazione Mps, che a sua volta nomina i vertici della banca. Questo corto circuito si alimentava attraverso i dividendi che la banca pagava alla Fondazione (di cui Mussari è stato presidente prima di passare alla banca), la quale rimetteva in circolo sotto forma di erogazioni sul territorio».

Come ha spiegato l’ex sindaco di Siena Ceccuzzi, «le nomine del Monte dei Paschi sono state sempre decise direttamente nelle riunioni dei DS prima e del PD poi: Le decisioni venivano prese a Roma». Massimo D’Alema in persona offrì a Profumo la massima poltrona Montepaschi, dovendo sostituire Mussari, «nella sede di ItalianiEuropei» (ecco, finalmente sappiamo a cosa servono le fondazioni culturali italiche).

E ancora: «La CGIL ha avuto sempre un peso fortissimo all’interno di Mps, ha nominato tre sindaci». Ceccuzzi ha detto, ha deposto ed ha scritto tutto ciò. I procuratori non ci hanno trovato niente da indagare. E il ruolo di Giuliano Amato, denominato «eminenza grigia» di Montepaschi (anche di Montepaschi)? Gioele Magaldi, il massone spifferatore, autore di un blog «Grande Oriente Democratico», ha parlato del ruolo di Amato, di Bassanini, di Luigi Berlinguer «ed altri massoni» nella banca. Magari interrogare Magaldi sarebbe stato utile? Se non altro per stabilire quel che molti dicono, che è un mitomane che si inventa molte cose, in tema di Massoneria, per farsi pubblicità.

No. I procuratori non hanno curiosità, ma solo signorile disprezzo per le voci, i sussurri e le grida. «Di tangenti avete parlato sempre voi». Sicché è stata tutta una tempesta in un bicchier d’acqua. Niente di penalmente rilevante. Nessuna intercettazione a Amato o Bassanini o D’Alema, vogliamo scherzare? Niente tangenti, «le chiacchiere stanno a zero».

Se non c’è nulla di nulla, niente di penalmente rilevante, chissà come mai Davide Rossi, il capo-ufficio stampa della Montepaschi, s’è ammazzato gettandosi dalla finestra il 6 marzo, dopo aver ricevuto una o più telefonate. Era uno un po’ apprensivo. Si sa chi gli ha telefonato? Non è il caso, non c’è niente da vedere. Circolate. Non è successo niente.

«A Siena, i segreti restano chiusi in loggia», è l’epigrafe di Dagospia.

Parlate piuttosto della condanna di Berlusconi, parlate parlate parlate. È il nuovo chiodo che scaccia il vecchio.


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