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«Cosa sa Bush che noi non sappiamo?»
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“Del viaggio di George W. Bush in Medio Oriente la scorsa settimana, il risultato è stato il funerale del suo stesso processo di pace di Annapolis: della sua promessa di ottenere un accordo israelo-palestinese per due Stati prima di lasciare la carica a fine d’anno. Non s’è vista nessuna azione o sforzo per ottenere i compromessi necessari per tale risultato; nessuno può credere ormai che qualcosa verrà fuori da questa  promessa nei prossimi otto mesi.

Il discorso del presidente alla Knesset ha avuto toni da «Christian-Zionist»: dichiarazione di identità d’interessi fra America e Israele, aperta identificazione del destino di Israele con quello degli Stati Uniti, entrambi definiti come Stati che recano missioni ed ordini divini, tutto ciò con certe implicazioni quasi-millenariste. I palestinesi non sono stati nemmeno nominati, come se nulla d’interessante fosse accaduto loro in questi 60 anni.

Più tardi, a fine settimana, quando il presidente è andato a Sharm el-Sheikh, ha detto di essere  «impegnato in modo assoluto» alla creazione di uno Stato palestinese, per il quale non ha fatto nulla di effettivo. Anche il povero Tony Blair - sciagurato direttore della «roadmap» - non ha ottenuto niente, a parte vuote parole da Washington e Gerusalemme.

Oggi, la conferenza di Annapolis sembra essere stata un incontro per tenere alto l’umore di Condoleezza Rice, che sperava di finire la sua carriera di segretario di Stato con qualcosa di compiuto sul Medio Oriente. Non c’è mai stata una vera possibilità che ne venisse fuori qualcosa, ed ora il presidente sembra trattarla con benevola indifferenza. Ehud Olmert e gli israeliani l’hanno trattata, nei suoi ripetuti viaggi e incontri, con deliberato disprezzo.

Appena dopo ognuna delle sue visite, in cui lei richiedeva la cooperazione israeliana per far avanzare la roadmap interrompendo l’espansione di colonie ebraiche nei territori palestinesi,  il governo israeliano immediatamente annunciava ulteriori permessi di edificazione e progetti di costruzione; ciò che può essere spiegato solo come una mossa calcolata a freddo. Certo erano riassicurazioni alla lobby dei «coloni» e della destra espansionista israeliana, ma anche un segnale a Washington e ai palestinesi.

C’è qualcosa di bizzarro nel comportamento del presidente negli ultimi tempi. Mentre era in Israele ci sono stati scoppi del tutto inappropriati di allegria, quasi che il significato di Masada, le tensioni sorte attorno al sessantesimo anniversario di Israele, la guerra e i rumori di un’altra guerra in Medio Oriente gli sfuggissero completamente.

A Sharm el-Sheik sabato, la dichiarrazione del presidente sui palestinesi, con Mahmoud Abbas al suo fianco, è stata da non credere per altezzosità. Gli spezza il cuore, ha detto, «vedere il vasto potenziale del popolo palestinese così sciupato», quasi gli Stati Uniti non abbiano niente a che fare con lo spreco di tante vite.

«E’ gente brava e capace», ha aggiunto Bush, «se gli si dà una possibilità costruiranno una patria florida». Non so come Abbas si sia trattenuto dallo scendere dal podio, preferibilmente dopo aver dato un pugno a Bush nella pancia. Ritengo che il Secret Service l’avrebbe crivellato sul posto.

Poi il presidente ha detto ai delegati arabi del World Economic Forum che devono rafforzare le loro economie, dare l’uguaglianza alle donne, e adottare la democrazia. Li ha avvertiti che se non diversificano le loro economie, gli USA e gli altri Paesi industriali useranno presto carburanti alternativi e la loro buona sorte sarà finita. Non so se si sono fatti una risata o l’abbiano preso per matto (...).

Anche a Washington il comportamento di Bush nelle ultime settimane è parso strano, con occasionali scoppi di buon umore fuori posto, e ghigni che parevano rictus. Il suo medico gli sta dando qualcosa? Lo dico non per denigrare, ma perchè è preoccupante. Certamente molti al suo posto sarebbero sprofondati in depressione, ed egli ha ancora sette mesi prima di lasciare la poltrona. Sa qualcosa che noi non sappiamo?

Lunedì sull’Arab News di Jeddah si raccontava che i confusi eventi e violenze in Libano dei giorni scorsi, che hanno minato ancor più il precario cessate il fuoco in quel Paese, erano stati causati da un colpo a sorpresa americo-israeliano contro Hezbollah che era stato cancellato da Washington all’ultimo momento.

Qual è il significato della minaccia espressa subito dopo la visita di Bush in Israele, ossia che l’avvertimento di Bush-Olmert all’Iran avrà conseguenze «tangibili»?

Non ho mai dimenticato che Bush, secondo Bob Woodward, disse subito dopo l’11 settembre che lui avrebbe deliberatamente «sparso caos e morte in ogni angolo della terra, se questo sarebbe stato necessario per la sicurezza dell’America». Non mi piace l’umore in cui Bush sembra trovarsi.

E negli Stati Uniti oggi non c’è nulla e nessuno (a parte un ammutinamento dello Stato Maggiore) che possa impedire a un presidente di fare quel che vuole, qualunque cosa sia. Ma forse mi lascio trascinare dall’immaginazione.

William Pfaff


William Pfaff è uno dei più stimati opinionisti americani. Scrive sull’International Herald Tribune e sulla Boston Review of Books. Nato nel 1929, cattolico, risiede a Parigi. Le sue allusioni ricevono significato dagli eventi strani degli ultimi giorni:

La molto ufficiale Israeli Army Radio, citata dal Jerusalem Post, ha effettivamente riportato che durante la visita in Israele Bush e Cheney hanno promesso l’attacco contro l’Iran prima della fine del mandato. Attacco fino ad oggi rimandato «per le esitazioni del segretario alla Difesa Robert Gates e del segretario di Stato Condoleeeza Rice».

Da quel che rivela la Israel Army Radio, la delegazione americana e il governo Olmert devono aver parlato del tentato colpo a sorpresa contro Hezbollah, evidentemente fallito quando il movimento sciita libanese ha reagito allo smantellamento dei suoi apparati di sorveglianza all’aeroporto di Beirut, scatenando i due giorni di guerriglia e obbligando il governo Siniora a cedere. Con gli apparati di sorveglianza in funzione, la sorpresa (che prevedeva uno sbarco di commandos all’aeroporto, per uccidere Nasrallah) non era più possibile.

Da parte israeliana devono esserci state accuse per la cattiva preparazione del colpo. Perchè a questo punto, secondo il Jerusalem Post (che cita la radio dell’esercito israeliano in ebraico) ha replicato, per rabbonire i suoi interlocutori: «Va curata la malattia, non il sintomo». Nella visione americo-israeliana, la «malattia» è l’Iran, di cui Hezbollah sarebbe solo un burattino senza autonomia, o un avamposto. L’articolo è stato smentito con toni furiosi dalla Casa Bianca.

Da quel che si è capito, l’attacco ad Hezbollah doveva coincidere con l’arrivo di Bush in Israele e le celebrazioni per il sessantennio; lo scopo doveva essere meno militare che propagandistico: consentire a Bush di dichiarare (almeno una) vittoria proprio lì, nel centro degli eventi e del mondo (Israele), per rialzare le sorti del candidato repubblicano McCain alle elezioni di novembre.

La sorpresa è stata sventata, e Bush ha dovuto riadattare i suoi discorsi da Christian-Zionist preparati per l’occasione.

Ma ora a Washington sono molti a ritenere che la Casa Bianca ha in serbo una «october surprise»: ottobre è la data canonica in cui, in USA, il presidente uscente compie qualche atto clamoroso per favorire il suo partito.

Maurizio Blondet


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