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«Attacchiamo l’Iran perchè è debole»
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Gli americani «devono» attaccare l’Iran prima che si faccia la bomba; o almeno devono farlo gli israeliani, perchè il regime di Teheran costituisce «una minaccia all’esistenza stessa di Israele». Questo è l’argomento della propaganda, che ogni giorno viene ribattuto con toni sempre più alti. Anzi, Haaretz ha cominciato a dire di più: è l’Iran ad essere in grado di attaccare preventivamente Israele; coi suoi missili Shihab 3 e 4 può «colpire bersagli strategici e civili, causando forti perdite umane ed enormi danni» (1). Anzi, c’è la prova che l’Iran si prepara proprio a questo.

Quale?

«Alcuni anni fa», scrive Haaretz, «il generale Ahmed Wahid, capo delle industrie aeronautiche iraniane, disse che l’Iran non considera gli Stati Uniti un bersaglio». Ergo, è Israele che Teheran tiene sotto tiro. Non è solo un esempio di razionalità talmudica, è anche la «narrativa ufficiale» che ci viene venduta in preparazione-giustificazione dell’attacco preventivo.

Ma fra loro, i sionisti si dicono esattamente il contrario: questo è il momento di attaccare Teheran, perchè il regime è debole. Politicamente e militarmente. La fortissimo disparità militare fra l’Agnello di Sion e il «nuovo Hitler» è tutta a favore di Israele, dicono Patrick Clawson e Michael Eisenstadt, in uno studio pubblicato dal Washington Institute of Near East Policy (WINEP): proprio per questo l’attacco preventivo è fattibile, e gli americani non devono preoccuparsi delle conseguenze (2).

La stessa cosa dice Chuck Freilich, membro del Belfer Center on Science and International Affairs (di Harvard): Israele ha una tale schiacciante superiorità, che non ha nulla da temere.

Tutt’e tre questi personaggi hanno noti legami con Israele: il WINEP ha sempre suggerito politiche pro-israeliane, e ha come direttore-fondatore Martin Indyk, che è stato direttore delle ricerca dell’AIPAC, American-Israel Public Affairs Committee, ossia della più potente fra le lobby ebraiche che determinano la politica USA. Freilich è un vice-consigliere della sicurezza nazionale di Israele.

I tre puntano, con il loro argomento (che è il contrario della narrativa ufficiale) a convincere i responsabili americani che devono loro, non Israele, prendere l’iniziativa dell’attacco preventivo. Le possibilità di ritorsione dell’Iran, assicurano, sono molto limitate.

Inoltre, sottolineano che il regime di Teheran è una controparte razionale, la quale ha ben presente quali sarebbero i costi di sue rappresaglie: anche questo, l’esatto contrario della versione ufficiale, secondo cui gli ayatollah sarebbero dominati da una sete apocalittica di auto-distruzione del mondo,  per via del profetismo sciita da tempi ultimi.

Intervistato da Haaretz, Clawson (uno dei due del WINEP) ha assicurato: «secondo le nostre valutazioni, le opzioni di ritorsione dell’Iran sono poche e deboli». Freilich ha scritto un articolo sul Jerusalem Post per battere lo stesso chiodo: «Smettiamola con questa infondata avversione per il rischio, con cui ci sconfiggiamo da soli: non dimentichiamo chi tiene il bastone più grosso, più incalcolabilmente grosso. Non è certo l’Iran».

I due autori del WINEP smentiscono l’una dopo l’altra le asserzioni sulla potenza iraniana, propaganda buona per le masse. Anzitutto, non è vero che Teheran sta accelerando a ritmo infernale i passi per dotarsi di un’arma nucleare: «Più che una corsa al nucleare, Teheran sembra dedicarsi ad una passeggiata al nucleare». Non è vero nemmeno che l’Iran sviluppa il nucleare per scopi minacciosi; è spinto invece «dall’aspirazione al prestigio e all’influenza», aspirazione che soddisfa già l’avere il nucleare civile.

Quanto alla minaccia iraniana di essere in grado di bloccare il traffico navale nel Golfo Persico (da cui passa il 90% del greggio per l’Occidente e la Cina), non va presa sul serio: l’Iran ha sempre dimostrato grande cautela nella reazione ad attacchi in passato. Teheran sa benissimo che gli USA hanno la forza per devastare del tutto la loro modesta marina militare.

A questo proposito, gli autori evocano il caso dell’aereo civile iraniano carico di passeggeri, abbattuto nel 1988 dall’aviazione americana (ci dev’essere uno Stato-canaglia nel mondo...); allora Teheran minacciò rappresaglie, ma invece si accordò per il cessate-il-fuoco con Saddam Hussein  (erano i tempi della guerra Iran-Iraq) nel timore che gli USA usassero il pretesto per entrare nel conflitto apertamente a fianco dell’Iraq, come già facevano di nascosto (3).

Quanto al pericolo che Hezbollah reagisca ad un attacco sull’Iran con una salva dei suoi razzi dal Libano meridionale - allarme molto agitato in queste settimane - gli autori minimizzano.

Anzitutto, negano che Hezbollah sia una forza alle dipendenze dell’Iran (come ci racconta ogni giorno la «narrativa ufficiale»), e quindi che possa «reagire automaticamente» ad una incursione americana sull’Iran; invece, Hezbollah agirà «secondo il proprio interesse». Inoltre, «è ben consapevole della forza di Israele e della durissima rappresaglia che si attirerebbe» addosso.

Il vero problema, ammettono, è che «un Iran fornito di armi nucleari potrebbe limitare lo spazio di manovra israeliano sui fronti palestinesi e libanesi».

Gli autori del rapporto WINEP sottolineano il fatto che, da sempre, Israele ha la più completa libertà militare nella zona, e ha usato senza scrupoli nè limiti quella sua superiorità totale. Il fatto che l’Agnello di Sion abbia distrutto il Libano al completo nella sua aggressione ad Hezbollah nel 2006, e che abbia bombardato la misteriosa installazione in Siria, dimostra chiaramente che Israele non teme alcuna ritorsione dall’Iran. Questa estrema disparità di forze è un un dato noto a tutti i vicini di Israele da mezzo secolo.

Ray Close, il capostazione della CIA in Arabia Saudita al tempo della guerra del Kippur, ha ricordato che in quei giorni l’aviazione israeliana fece numerose incursioni provocatorio-dimostrative sorvolando basi militari saudite nel nord del Paese, e sganciando i serbatoi vuoti, ad ammonire l‘Arabia (che non era in guerra con Israele) che potevano ripetere il gioco con le bombe vere.

La conclusione logica di queste valutazioni dovrebbe essere: non è vero che l’Iran sia una minaccia, dunque non è il caso di attaccarlo preventivamente. Invece, gli analisti sionisti raccomandano l’esatto contrario: l’Iran è debole, appunto per questo si può e si deve aggredirlo.
Logica talmudica.

Ma Gareth Porter, il giornalista che ha segnalato queste valutazioni in corso fra addetti ai lavori israeliani (4), ricorda che nel 1964, i fautori in USA dell’attacco al Nord Vietnam, avanzarono lo stesso argomento: il Nord Vietnam (e la Cina comunista sua alleata) sono troppo deboli per montare una reazione militare seria...




1) Zvi Bar’el, «Israel saber-rattling against Iran could backfire», Haaretz, 2 luglio 2008.
2) Patrick Clawson e Michael Eisenstadt, «Thinking about preventative military action against Iran», WINEP, 1 luglio 2008.
3) Per tutti gli anni ‘80 gli USA, attraverso il loro ministero dell’Agricoltura (per non dare nell’occhio), fecero arrivare colossali forniture militari a Saddam Hussein impegnato nella sanguinosa guerra contro l’Iran. E per dare ancor meno nell’occhio, fecero i trasferimenti attraverso la Banca Nazionale del Lavoro di Atlanta. All’epoca, il responsabile della BNL a New York, che non poteva non sapere quello che si faceva nella filiale di Atlanta, era il dottor Claudio Ciampi, figlio del venerato e venerabile presidente. La faccenda è stata tutta messa a tacere. L’Italia ci ha pure perso un 3-4 mila miliardi, il costo del fallimento della BNL e del suo salvataggio. Il colossale insabbiamento e i depistaggi sulla faccenda - che ha portato alla condanna di alcuni dirgenti della Valsella, ma non dei banchieri-mandanti - rende impossibile dire se, alla fine, siamo stati noi italiani a pagare in parte la guerra Iran-Iraq, o se qualcuno ha rubato e l’ha fatta franca. Il dottor Claudio Ciampi, tra Bankitalia e sedi prestigiose, continua la sua brillante carriera. Dicono che ami il lusso.
4) Gareth Porter, «Weak Iran ripe to be attacked», Asia Times, 2 luglio 2008.


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