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«Cheney irritato con Berlusconi»
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«L’Italia è il cavallo di Troia della Russia in Europa»: così ha detto un innominato diplomatico «di un ex-satellite sovietico» (polacco? baltico? ucraino o georgiano?) secondo  il Financial Times, in un velenoso articolo dal titolo significativo: «Italy upset the US over Georgia», l’Italia indispone gli USA per la posizione presa sulla Georgia (1).

L’irritazione l’ha mostrata Dick Cheney con la sua numerosa delegazione, che è stato in Italia per cinque giorni (partecipando anche al forum Ambrosetti). A  Roma, Cheney ha per l’ennesima volta condannato «il tentativo unilaterale della Russia di alterare i confini internazionalmente riconosciuti della Georgia con le armi» ed ha ripetuto la promessa a Georgia e Ucraina di farle diventere membri della NATO. Cheney, dice il giornale britannico, «ha premuto molto per avere un esplicito appoggio da Berlusconi» su questi temi.

Invece, Berlusconi «non ha detto una sola parola di critica contro la Russia». Dev’esserci stato più di un momento di tensione perchè «il premier italiano ha detto di aver cercato di spiegare a Cheney (notate: ha cercato di spiegare) il suo personale successo nel calmare le acque in Ossezia e in Georgia». Egli ha sottolineato l’importanza di «continuare il tavolo NATO-Russia, il concilio congiunto inaugurato nel 2002 fra il presidente George W. Bush e Vladimir Putin, allora presidente».
Giustificazione spinosa, anzi controproducente. Perchè, rivela il Financial Times, l’Italia ha cercato di «convocare un incontro prefissato di routine fra NATO e Russia» subito dopo «l’invasione della Georgia»; tentativo «bloccato dagli USA», e che ha accresciuto i sospetti della Casa Bianca.

Già sospettosissima per il fatto che «Franco Frattini, il ministro degli Esteri italiano, era volato a Mosca giovedì, proprio mentre Cheney era in Georgia e Ucraina», a parlare coi dirigenti russi «prima che ci andasse Sarkozy, il presidente francese che guida gli sforzi di pace, ed è ora un favorito di Washington». Il sospetto era che l’Italia «rompesse l’unità» del collegio accusatorio occidentale-americanista.

Non si manca di notare che, «secondo diplomatici europei, l’amministrazione Bush guarda con sospetto lo stretto rapporto personale di Berlusconi con il leader russo», il che lo porta a guardare con allarme «alla presidenza italiana del G8 a gennaio». La mega-riunione del G8 si terrà in Sardegna, e «l’Italia ha già chiarito che intende invitare Putin».

Ma il Financial Times insinua di più: la stretta relazione è dovuta ad affari petroliferi in corso, specialmente la «partnership strategica stipulata tra Gazprom e la statale ENI nel 2003, e il gasdotto South Stream progettato per portare il gas russo attraverso il Mar Nero». si può immaginare che il dispetto e il sospetto sia nutrito anche dai britannici, la cui BP (British Petroleum) credeva di aver messo le mani su una bella porzione dell’oro nero russo, e che invece s’è vista sbattere la porta in faccia da Putin.
Per confronto, viene citato Umberto Quadrino, «direttore esecutivo della Edison, il secondo gruppo energetico italiano» che è andato al forum Ambrosetti per fare energicamente lobby presso Cheney e la sua delegazione a favore del proprio progetto: il gasdotto Edison ITGIS, che ha il vantaggio, dal punto di vista anglo-americano, di «escludere la Russia ma di transitare per la Georgia».

Questo ITGIS dovrebbe trasportare 8 miliardi di metri cubi da gas dall’Azerbaijan (giacimento Shah Deniz nel Caspio) all’Italia. Si tratta di un prolungamento del gasdotto che già passa per la Georgia e arriva in Turchia; può essere allungato fino alla Grecia, e da qui con una tubatura subacquea nell’Adriatico, raggiungere l’Italia.

La Edison vuole che «l’Amministrazione Bush getti tutto il suo peso politico a favore di questo progetto». Ci sono insomma «progetti in competizione», e sui quali la delegazione Cheney ha ricevuto «mappe pazzamente riempite di linee tratteggiate», che si raccomandano come più anti-russi.

Situazione pericolosa, in mancanza di una esplicita visione strategica, dove quelli italiani possono essere interpretati come i tradizionali giri di valzer (tenere i piedi in due scarpe) del nostro Paese. Su quanto sia pericolosa per un premier italiano «indisporre» gli americani, lo può testimoniare la famiglia Moro, quella Craxi e - se ne ha voglia - anche Andreotti.

Pochi giorni prima del rapimento di Aldo Moro il settimanale Economist dei Rotschild pubblicò una copertina dove appariva Aldo Moro come burattino, tirato da fili, e con la didascalia «E’ finita la commedia». In italiano nel testo, onde il messaggio fosse compreso dai nostri politici digiuni di lingue. Le Brigate Rosse si incaricarono di attuare la profezia dei Rotschild.

Per fortuna, dice il Financial Times, c’è stata una dichiarazione italiana che «ha riscosso l’approvazione di Cheney»: è l’asserzione «del ministro Frattini che l’Europa necessita di una strategia energetica e deve essere unita nei negoziati con Russia, Libia e Algeria».

Ma basterà a calmare la suddetta irritazione? Il giornale britannico fa sapere che «in privato, gli esponenti italiani controbattono che gli USA sono gli ultimi a poter dar lezioni all’Europa sulla dipendenza energetica» (visto che sono i più voraci consumatori di greggio del mondo), e che «Bush e Cheney presto traslocheranno, mentre Putin e il gas russo restano».

Qui la prima parte del calcolo rischia di rivelarsi inesatta. A Bush succederà quasi sicuramente McCain, che è esattamente il prolungamento dei poteri che hanno tenuto alla Casa Bianca Bush: petrolieri, complesso-militare-industriale, e la nota lobby neocon.

Sembra quasi che i democratici abbiano obbedito ad un ordine e stiano attuando una strategia decretata dall’alto: come perdere elezioni imperdibili, dopo otto anni di disastrosa amministrazione neocon-repubblicana, due guerre rovinose e costosissime che hanno devastato il benessere dell’americano medio, un mostruoso collasso finanziario ed economico, fallimenti a catena di banche, 4 milioni di pignoramenti di case per insolvenza, l’arretramento dei redditi del ceto medio USA, una città (New Orleans) abbandonata sotto l’acqua con tutti i suoi abitanti per settimane? Sembra una missione impossibile, ma i democratici ci si sono messi d’impegno.

Prima idea: candidare una donna - metà degli americani non voteranno mai un presidente donna. Anzi no, meglio, candidiamo un negro - due terzi degli americani mai voteranno per un negro, pardon afro-americano (gli americani che non votano un negro usano però il termine politicamente corretto).

Ma ancora non basta: troviamo un afro-americano elegante, intellettuale (nessun americano vuol farsi governare da un intellettuale), un po’ anticonformista (peggio che andar di notte), con un nome musulmano; per di più, obblighiamolo ad annacquare il suo messaggio e la sua «diversità», facendolo convergere al centro guerrafondaio-cristianista, in cui si troverà come un pesce fuor d’acqua.

Persino Thomas Friedman, columnist del New York Times, si chiede «chi ha messo il Valium nel caffè di Obama» (2). Ma non è un complotto, è il destino manifesto terminale dell’America.
Insomma, dopo Bush, alla Casa Bianca, ci sarà Bush II, sotto il nome di John McCain. O peggio, Sarah Palin, la donnina sexy convinta che l’Alaska sia il paese che Dio ha scelto come terra di rifugio nell’imminente Armageddon (il che assicura i voti di 70 milioni di «cristiani rinati»).

Ciò significa che l’irritazione attiva americanista per i giri di valzer di Berlusconi resta scritta nell’agenda, nel libro delle «cose da fare». Si tratterà di liquidare l’indisponente e sostituirlo con un sostituto più servo. Nella «destra» italiana, i candidati a questo posto di maggiordomo non mancano.

Dopo le scontate elezioni USA, converrà guardare con attenzione alle mosse di Bossi, già comprovato pugnalatore di coalizioni «di destra», e che si sta già scaldando i muscoli attaccando i ministri di Forza Italia. E quelle di Gianfranco Fini, il fedelissimo onorevole Kippà. Egli aspira a più alti seggi; la sua kippà glieli garantisce.




1)
Guy Dinmore, «Italy upsets US over Georgia», Financial Times, 9 settembre 2008.
2) Thomas Friedman, «From the gut», New York Times, 9 settembre 2008. «Whoever slipped that Valium into Barack Obama’s coffee needs to be found and arrested by the Democrats because Obama has gone from cool to cold».


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