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«Recondite alchimie»
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Il fatidico bosone di Higss è emerso di continuo in questi giorni, più che dall’acceleratore di Ginevra, dalle cronache quotidiane dei giornali di destra e di sinistra, nella sintesi suprema garantita dalla scienza.
Ma, grazie a Dio, già se ne parla meno.
Le sue gloriose tracce svolazzano nel vento, come in una commedia americana, su fogli ormai illeggibili, dopo aver avvolto frutta e ortaggi.
Per trovare i resoconti di questo esperimento tanto declamato, bisogna andare a cercare qualche trafiletto, tra le cronache interne.
Tra poco, scompariranno anche questi.
Fin che all’improvviso, prima o poi, altri titoli altisonanti risuoneranno per noi.

Ecco la sua strabiliante fotografia (una specie di cacchio bidimensionale, arrotolato in vortice), prova provata della sua identità, davanti agli occhi di tutti.
Allora, guai a chi non ci crederà.
La macchia beffarda sarà lì.
Traccia nientemeno che di Dio, dicono alcuni fisici.
Ed altri illusi.

Poiché tutto questo clamore, già di per sé, è fonte di sospetto, mi sembra il caso di trasmettere alcune considerazioni, al solito, del tutto personali.
Anche se si sollevano dalle anonime retrovie, queste modeste note costituiscono tuttavia come una presa di distanza da questa sorta di lavaggio mediatico del cervello, attuato dalle trombe scientifiche mondiali in occasione di un evento quanto mai specifico e tutt’altro che di comune interesse.

Il bosone di Higgs, infatti, come qualunque altra entità atomica, nucleare o sub nucleare, non è altro che una complessa rappresentazione fisico-matematica, fatta di formule e simboli ineccepibili e formalmente asettici che, tuttavia, sotto l’apparente rigore, nasconde un’ideologia (ateo-materialista), sostenuta con incrollabile fede da una schiera di scienziati di indubbio valore internazionale.
I quali, a furia di lavorarci sopra con tutte le loro energie, stanno davvero trasformando le più elaborate formule matematiche in «materia spirituale».
Processo già avvenuto altre volte nel corso della storia scientifica.

Non a caso, forse, lo stesso Einstein definì sarcasticamente la propria teoria «uno scherzo ben riuscito», riferendosi, forse, proprio a questo processo «occulto» insito nei più importanti e reclamizzati eventi scientifici.
Ovvero, alla capacità, specialmente della fisica, di trasformare l’idea in realtà.
Proprio perché, la fisica, costituisce un ponte fra l’astratto ed il concreto.
Una mediazione fra il razionale ed il reale, per dirla in termini hegeliani.

Molto modestamente, abbiamo cercato più volte di indicare come questa sorte di alchimia sottile, e perversa, si sia già verificata in ambito rinascimentale, con la rivoluzione copernicana.
Attraverso la quale, un modello del tutto ipotetico, indimostrabile, perché privo di consistenza reale, celebrato in ambito strettamente esoterico e pseudoreligioso, fu elevato in breve tempo al rango di verità scientifica.
Oggi del tutto assodata e dunque indiscutibile.
E che sia divenuta indiscutibile, quella che un tempo era solo un’ipotesi pazzesca, lo abbiamo sufficientemente verificato.

Per quanto riguarda il nostro bosone, ci tocca sottolineare, ancora una volta, che gli enti che per i fisici rappresentano la più scontata realtà ed evidenza quotidiana (atomi, particelle, quark, e via dicendo), purtroppo, non corrispondono a niente di reale.
Queste entità non sono cose, nel senso in cui si può intendere una cosa.
La scienza stessa ha dimostrato all’inizio del secolo scorso che gli atomi non sono quei granuli durissimi, indivisibili, indistruttibili, sostanzialmente identici, posti dai filosofi di Abdera a capo di tutta la realtà.
L’«atomo forma» che si differenzierebbe dagli altri atomi per «figura, ordine e posizione», si è dimostrato assai più impensabile di quanto si credesse.
Nel senso che la materia ordinaria finisce, ma il pensiero che la rappresenta, no.

Se ne rese ben conto Heisemberg, che gli atomi sono più creazioni mentali che entità reali.
Fin da giovane, egli si meravigliò nel trovare nel suo manuale di fisica una illustrazione completamente priva di senso, nella quale venivano rappresentati gli atomi con ganci ed asole, che li allacciavano l’uno all’altro nelle molecole.
Quei ganci e quelle asole gli sembrarono, giustamente, delle rappresentazioni del tutto arbitrarie (un po’ come le didascalie, del tutto sbagliate, che rappresentano dappertutto, in scale fasulle, il sistema eliocentrico, per renderlo credibile e, più che possibile, addirittura certo).
Da questo punto di partenza, Heisemberg giunse in seguito alla formulazione del principio di indeterminazione che, insieme al concetto di probabilità, sostituì il principio di causalità nell’ambito della fisica.
Egli affermò in modo chiaro e diretto che: «Alla luce della teoria quantistica queste particelle elementari non sono più reali nello stesso senso degli oggetti della vita quotidiana, alberi o pietre, ma appaiono come astrazioni derivate dal materiale reale delle osservazioni».
Ma se, nella fisica moderna, le particelle elementari non sono altro che forme matematiche, allora, prosegue Heisemberg «L’idea della obiettiva realtà delle particelle elementari si è quindi sorprendentemente dissolta, e non nella nebbia di una qualche nuova, poco chiara o ancora incompresa idea di realtà, ma nella trasparente chiarezza di una matematica che non rappresenta più il comportamento della particella, ma il nostro sapere sopra questo comportamento».

Questa affermazione è alquanto significativa, perché indica e sottolinea un distinguo fondamentale: un conto è parlare di oggetti materiali ben visibili, sedie, tavoli, alberi, pietre.
Altro, è invece riferirsi ad entità la cui sostanza è costituita da «complicate forme matematiche», il cui spazio di esistenza non può che essere quello mentale.

«Le particelle elementari del Timeo di Platone sono alla fine non sostanza, ma forma matematiche. ‘Tutte le cose sono numeri’ è una frase attribuita a Pitagora. Le sole forme matematiche disponibili a quei tempi erano forme geometriche come i solidi regolari o triangoli che formano le loro superfici. Nella moderna teoria quantistica non ci può essere dubbio alcuno che le particelle elementari saranno alla fine anch’esse forme matematiche, ma di una natura molto più complicata».

Ma se come dice Heisemberg, le forme matematiche costituiscono un’espressione ed una rappresentazione formale della nostra ragione, allora queste particelle matematiche, che costituirebbero la base della materia, non sono altro che una realizzazione dello spirito dell’uomo. Che, in questa chiave hegeliana, diviene addirittura creatore.

In tale prospettiva, la clamorosa campagna stampa attuata dai media mondiali, per propagandare un costosissimo esperimento scientifico, si spera non del tutto inutile, sembra volgersi verso un fine assai più certo e concreto.
Sebbene quasi del tutto invisibile, e sfuggente.
Quello di rendere reali, familiari e concrete, entità che invece non lo sono e non lo possono essere, di principio.
E tutto questo, per realizzare un mondo mentale, alternativo a quello reale, che finirà per sovrapporsi a quello unico e vero, creato da Dio, spezzando altresì il naturale legame fra creazione e Creatore.

Avvenne qualcosa del genere nel caso della relatività ristretta.
Teoria che, specialmente nei primi decenni del secolo scorso, venne propagandata in modo sorprendente dai giornali di tutti i tipi, in modo spesso non corretto, riuscendo ad introdurre nell’opinione comune il senso della generalizzazione erronea, ma ormai diffusa, del «tutto è relativo».
Scrive a riguardo Jean Marc Lévy-Leblond: «Anche lo sfruttamento delle teorie di Einstein a sostegno di un relativismo filosofico colto, o popolare (‘tutto è relativo’, come dice Einstein) esprime una confusione e contribuisce al perdurare del mito».

Al giorno d’oggi, sembra ripetersi una sorta di analoga procedura.
Sembra infatti che si cerchi di deformare la realtà, generalizzando ed estendendo gli schemi rappresentativi di un ambito del tutto ristretto ed esclusivo della scienza, come quello della fisica delle particelle, all’intera dimensione ordinaria.
Dove invece gli oggetti sono qualcosa di ben tangibile ed obbediscono a regole logiche ben determinate, di certo non corrispondenti a quelle bizzarre della meccanica quantistica.

Crediamo peraltro del tutto improbabile la possibilità che da un’esplosione originaria, il Big Bang, della quale il bosone di Higgs sarebbe l’ineluttabile prova, possa essersi determinato l’universo ordinato ed armonico, con la nostra variegata e complessa realtà.
Come invece crede, e vorrebbe farci credere, la maggioranza dei più grandi scienziati.

E’ assolutamente provato che le grandi esplosioni provocano soltanto distruzione e morte.
E questo è sotto gli occhi di tutti.
Eppure, in questi giorni, quanta enfasi riguardo alla presunta prova del fatidico Bang primitivo, che dovrebbe sostenersi su un’invisibile ed indecifrabile «macchia atomica» altrettanto primordiale.
Tante invenzioni e colossali sciocchezze.
Come quella di denominare tale presunta pseudoentità: «particella di Dio».
Una vera e propria bestemmia, per quanto raffinata, escogitata da qualche eminente epigono degli alchimisti rinascimentali.
Anch’egli convinto di avere tra le mani addirittura l’essenza divina della realtà.
Dimenticando, o forse ignorando, che l’intelligenza dell’uomo è polvere, dinnanzi al Dio che disperde i superbi nei pensieri dei loro cuori.

Dal punto di vista scientifico, l’intento di questa tanto proclamata esperienza è quello di riuscire a materializzare l’energia, rendere lecito il passaggio inverso brevettato da Einstein, che dedusse l’equivalenza fra massa ed energia.
In questo caso invece dall’energia, si cerca di ottenere una massa.
Ma non una massa concreta.
Non è che dal cuore di questo esperimento si produrrà, se non proprio una carota, un granellino di sabbia.
Che, nel caso, diverrebbe infinitamente più prezioso dell’oro.
No, al massimo questa fantastica collisione di energie determinerà una serie di lampi e bagliori.
Qualche cacchiolino innocuo, solco a spirale, che verrà decodificato ed interpretato dai fisici teorici proprio come se fosse una massa evidente, anzi evidentissima.

La «filosofia del come se», già indicata da Heisemberg, a proposito delle rappresentazioni didascaliche del tutto erronee degli atomi, che ancora oggi compaiono sui libri di testo scolastici.
Simulazioni e realtà virtuali di vario genere, anche e soprattutto morale, che abbondano sul web.
Un vero e proprio mondo alternativo, pericoloso e falso, che si sta cercando di ricreare ad immagine dell’uomo prometeico, nei nostri spazi mentali ed elettronici, assorbendo e concentrando parte della nostra forza intellettuale.
D’altronde, già in origine, l’atomo ipotizzato dagli Abderiti, oltre che indivisibile, significava anche «idea».
E idea corrisponde a quanto si può vedere con l’intelligenza, più che con i sensi.
Rappresentare l’atomo idealmente, significa dunque «vederlo».
E la fisica sembra confermare, e riproporre, questa antica prospettiva, rendendo visibile l’invisibile ed inesistente, attraverso una rappresentazione astratta alquanto complicata.
Quella del formalismo matematico.

Per rappresentare un tavolo, possiamo elencare le dimensioni, descrivere il materiale che lo costituisce, fornire gli elementi necessari perché dalla raffigurazione possa scaturire l’immagine corrispondente all’oggetto reale.
Ben diverso è descrivere un’opera d’arte.
Una statua o un quadro, semmai di arte astratta.
La questione si complicherebbe assai, in questo caso.
Figuriamoci poi il cercare, o addirittura pretendere, di rappresentare un qualcosa che di per sé è invisibile ed inosservabile, come è l’atomo ed i suoi costituenti, alla luce del principio dello stesso Heisemberg.
Il prodotto di questa rappresentazione sarebbe in ogni caso ambigua, fuorviante, se non proprio fantascientifica.
Perché alle forme matematiche si collega una realtà del tutto intellettuale.
Una realtà «spiritualizzata», che si sta cercando di condensare attraverso l’impegno di menti eccelse, ben determinate.

Ed il consenso, sollecitato in tutti i modi dai media, della «maggioranza silenziosa».
Che plaude, per ineffabile costrizione, alle loro magnifiche imprese.

Giancarlo Infante


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