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Né eretici né scismatici: I cattolici fedeli difronte al “caso Bergoglio”
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Il Papa può essere corretto con rispetto e carità  

Tuttavia il Torquemada ricorda che il Papa come persona privata è soggetto alla correzione fraterna, come avvenne ad Antiochia tra San Paolo e San Pietro (cfr. Gal., II, 11-14; At., XV, 13-21), ma se la respinge, non può essere punito o deposto essendo il Capo della Chiesa e il Vicario di Cristo; potrebbe essere punito solo dal supremo Tribunale divino, al quale un giorno dovrà, comunque, reddere rationem[1].

Il Dogma del “Primato di Pietro” rende non giudicabile il Papa

Il Concilio Vaticano I (IV sessione, 18 luglio 1870, Costituzione dogmatica Pastor aeternus) ha stabilito la definizione dogmatica circa il principio della ingiudicabilità giuridica del Papa dall’Episcopato: “Insegniamo e dichiariamo che secondo il diritto divino del Primato papale, il Romano Pontefice è il Giudice supremo di tutti i fedeli […]. Invece nessuno potrà giudicare autoritativamente un pronunciamento della Sede Apostolica, della quale non esiste autorità maggiore. Quindi chi afferma essere lecito appellarsi contro le sentenze dei Romani Pontefici al Concilio ecumenico, come ad un’autorità superiore al Sommo Pontefice, è lontano dal retto sentiero della verità” (DS, 3063-3064).

Il CIC del 1917 al canone 1556 riprendendo la definizione dogmatica del Vaticano I ha stabilito il principio: “Prima Sedes a nemine iudicatur”, ripreso tale e quale anche dal CIC del 1983, canone 1404.

Un sano istinto di conservazione

Giustamente i teologi notano che le dottrine contrarie al Primato pontificio sono state originate dall’istinto di conservazione, operante anche nel corpo della Chiesa come in ogni ente vivente, contro l’eventualità di un Papa indegno, che conducesse la Chiesa alla rovina. Anche Juan de Torquemada sentì questo istinto, ma seppe conservare un sano equilibrio che non gli consentì di recedere dai princìpi, e neppure gli permise di tacere di fronte ad eventuali errori passati o ipoteticamente futuri dei Papi in un’acquiescenza passiva e colpevole.

Le soluzioni odierne

Oggi si ripropongono queste varie soluzioni - dettate dall’istinto di conservazione (il quale è operante in ogni uomo e in ogni società familiare, statale e pure ecclesiastica), però non tutte sono equilibrate e conformi alla sana dottrina - di fronte alla situazione disastrosa in cui versa l’ambiente ecclesiale specialmente durante il Pontificato di Francesco, ma iniziata già con quello di Giovanni XXIII (1958-1963).

Infatti ai nostri giorni 1°) c’è chi ripropone la teoria conciliarista e vorrebbe far deporre il Papa, in quanto eretico, dall’Episcopato; 2°) chi asserisce che bisogna accettare i Decreti del Concilio Vaticano II obbligatoriamente, anche se sono modernizzanti e solamente pastorali, come pure l’insegnamento puramente “esortativo” di Francesco (cfr. Esortazione Amoris laetitia, 19 marzo 2016); 3°) infine chi, come i Dottori scolastici citati, afferma la vera dottrina cattolica, evitando i due errori per eccesso (Servilismo) e per difetto (Conciliarismo).

La sopportazione, quindi, non è l’unico rimedio. Infatti San Tommaso d’Aquino insegna che “il cattivo prelato può essere corretto dall’inferiore che ricorre al superiore denunciandolo, e se non ha un superiore [come nel caso del Papa, ndr], ricorra a Dio affinché lo corregga o lo tolga dalla faccia della terra[2].

Certamente è necessario evitare l’errore (per eccesso di “obbedienza” indiscreta) che porterebbe al Servilismo dei fedeli, dei Vescovi e dei Cardinali nei confronti di un Papa, che oltrepassa i suoi poteri, i quali sono limitati dal Diritto e dalla   Rivelazione divini. Il Profeta li chiamerebbe “cani muti incapaci di abbaiare” (Is., LVI, 10). In questo caso è lecito e doveroso ammonire il Papa dell’errore o dell’abuso di potere che sta compiendo come fece San Paolo con San Pietro ad Antiochia, (cfr. Gal., II, 11-14; At., XV, 13-21[3]) e guardare in faccia la triste realtà senza nascondere la testa nella sabbia come fa lo struzzo.

Comunque lo stato in cui si trova la Gerarchia cattolica oggi non lascia ben sperare. Il male prodotto dal Vaticano II è talmente profondo, universale e preternaturale che solo Dio con la sua Onnipotenza può mettervi rimedio.

Conclusione

In quest’ora di agonia dell’ambiente ecclesiale[4], cui seguirà immancabilmente la sua risurrezione gloriosa e trionfante (come avvenne dopo la Passione e Morte di Gesù, di cui la Chiesa è la continuazione nella storia)[5] occorre 1°) mantenere la dottrina sempre insegnata dalla Chiesa e 2°) evitare gli errori a) per difetto (Conciliarismo), che diminuiscono l’autorità del Primato papale; b) per eccesso (Servilismo), che ritengono il Papa sempre infallibile anche quando rinuncia all’assistenza infallibile dello Spirito Santo, non definendo dogmaticamente e non obbligando a credere per la salvezza dell’anima (come è avvenuto nel Concilio Vaticano II); infine 3°) oggi bisogna continuare a fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto (S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium, III, 15) evitando di sbandare “a destra” o “a sinistra”.

Noi, Fedeli e Sacerdoti (Chiesa discente) e persino quella parte dell’Episcopato e del Collegio cardinalizio (Chiesa docente o gerarchica), che hanno mantenuto la Fede possiamo soltanto ammonire, pregare e far penitenza, insegnare la sana dottrina e le retta morale, amministrare e ricevere i Sacramenti, senza illuderci di potere, umanamente, rimettere in piedi un mondo e un ambiente ecclesiale (l’attuale Papa e l’Episcopato ultra-modernista) che sono diventati peggio dell’ambiente di Sodoma e Gomorra. Non è questo un lavoro che possano svolgere le forze della natura umana, ma esso richiede l’intervento di Dio Onnipotente. Exurge Domine! A noi resta la pazienza, “a Dio la vendetta” (Deut., XXXII, 35 e 41).

Mons. Atanasio Schneider nella sua conferenza, pubblicata il 21 marzo del 2019 sui vari siti cattolico/conservatori, ha scritto: «Uno scisma formale, con due o più pretendenti al trono pontificio – che sarà una conseguenza inevitabile anche di una deposizione canonica di un Papa – causerà necessariamente più danni alla Chiesa nel suo complesso che un periodo relativamente breve e molto raro in cui un Papa diffonde errori dottrinali o eresie».

Nonostante i ripetuti tentativi di qualche “avventuriero” che si aggira nell’ambiente romano come “una nube spinta dal vento e carica d’acqua” (Qoelet, XI, 3) di istigarlo, assieme ai vari Burke, Sarah, Muller, Brandmuller…, non è caduto nella trappola.

Oggi, inoltre, deporre Francesco significherebbe trovarsi 1°) con un Papa emerito (Benedetto XVI), 2°) un Papa eletto regolarmente anche se infelicemente, ma deposto (Francesco) e 3°) un antipapa de facto: il nuovo Pontefice eletto (anche se non vedo da quale Collegio cardinalizio o da quale parte del sano Episcopato) dopo la deposizione di Francesco. Il che sarebbe una situazione peggiore del Pontificato disastroso del solo Francesco.

“Quando lo Scisma d’Occidente (1378 – 1417) funestò la Chiesa, molti, anche bene intenzionati, trovarono nelle teorie conciliariste, secondo cui il Papa può essere giudicato e deposto dal Concilio, la via d’uscita da tanti mali” (A. Piolanti, Dizionario di Teologia Dommatica, cit., p. 82).

Infatti il ricorso ai Vescovi affinché processino papa Bergoglio per eresia e lo destituiscano è da evitarsi assolutamente, sia teologicamente che giuridicamente, poiché esso è escluso come eretico dal dogma definito dal Concilio Vaticano I (DB, 1823, 1825, 1831) del Primato di giurisdizione del Romano Pontefice su tutta la Chiesa, compresi i Vescovi e i Cardinali (CIC, 1917, can. 311), poiché in tale ricorso all’Episcopato contro il Papa regnante è implicito un atto sovversivo di Eresia e di Scisma in quanto de jure si nega teologicamente che il Papa abbia un Primato di giurisdizione sull’Episcopato (Eresia) e giuridicamente in quanto de facto si agisce pretendendo di giudicare il Papa (Scisma) come fosse inferiore all’Episcopato.

Fine Seconda e Ultima Parte

d. Curzio Nitoglia



[1] J. de Torquemada, Summa de Eccl., II, 98, f. 234v-235r.

[2] IV Sent., dist. 19, q. 2, a. 2, quaestiuncula 3, ad 2.

[3] Secondo il Torquemada, che commenta S. Tommaso d’Aquino, S. Pietro ad Antiochia non definì alcuna dottrina intorno alle osservanze giudaiche e non peccò contro la Fede, ma errò quanto al modo di agire, commettendo un peccato veniale di fragilità di “rispetto umano”, essendo confermato in grazia non poteva peccare mortalmente e neppure venialmente di proposito deliberato (cfr. San Tommaso d’Aquino, S. Th. I-II, q. 103, a. 4). Inoltre le parole di San Paolo non indicano uno spirito di ribellione a Pietro, ma di correzione fraterna poiché “Petrus reprehensibilis erat” ed accettò la correzione fraterna di Paolo (cfr. Juan de Torquemada, Summa de Ecclesia, II, 98, f. 235; San Tommaso d’Aquino, Ad Galatas, cap. III, lect. 7-8). Lo stesso si può dire di papa Onorio, accusato d’eresia dai “Vecchi Cattolici” che uscirono dalla “Nuova Chiesa del Vaticano I”, come essi la chiamano ancor oggi, poiché aveva definita l’Infallibilità pontificia.

[4] Ora tenebrosa prodotta dall’azione diabolica, che si è servita della giudeo/massoneria quale del suo strumento principale, come quando Gesù nel Getsemani, il Giovedì Santo, disse ai Giudei che erano venuti a prenderlo: “Questa è l’ora vostra [del Giudaismo rabbinico/talmudico, ndr] e del potere delle tenebre [le forze infernali, ndr]” (Lc., XXII, 53).

[5] Cfr. Rom., XII, 4-6; I Cor., XII, 12-27; Ef., IV, 4.

 

 

 
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