La memoria veridica di Israel Shahak
29 Gennaio 2005
Il professor Israel Shahak, ora defunto, è stato per l'ebraismo quel che Solgenitsyn è per la Russia: l'instancabile uomo della verità. Il 19 maggio 1989 Shahak scrisse la seguente lettera al giornale Kol Ha'ir di Gerusalemme:
"Non sono d'accordo con l'opinione di Haim Batam [un giornalista del quotidiano, ndr] che il sistema educativo israeliano sia riuscito a instillare negli allievi la 'consapevolezza dell'olocausto'. E' piuttosto il mito dell'olocausto, o la falsificazione dell'olocausto (nel senso che una mezza verità è peggio di una menzogna) che è stata instillata. Poiché io ho vissuto l'Olocausto da cima a fondo, prima a Varsavia e poi a Bergen-Belsen, posso dare un esempio immediato della totale ignoranza su come fosse la vita quotidiana durante l'Olocausto: nel ghetto di Varsavia, anche durante il periodo del primo sterminio di massa (da giugno a ottobre 1943) non si vide quasi alcun soldato tedesco.
Quasi tutto il lavoro di amministrazione, e poi di trasporto di migliaia di ebrei verso la morte, fu compiuto da collaboratori ebrei. Prima della sollevazione del ghetto di Varsavia (la cui progettazione cominciò solo dopo lo sterminio della maggioranza degli ebrei di Varsavia) la resistenza clandestina ebraica uccise, con perfetta giustificazione, tutti i collaborazionisti ebrei che poté raggiungere. Se non avessero fatto così la sollevazione non sarebbe mai cominciata. La popolazione del ghetto odiava i collaborazionisti molto più dei nazisti tedeschi. Ai bambini ebrei si insegnava (e questo salvò la vita a molti) che'se ti trovi in una piazza con tre vie di fuga, una guardata da una SS, una da un ucraino e una da un poliziotto ebreo, prova anzitutto col tedesco, poi magari con l'ucraino, ma mai con l'ebreo'.
Uno dei miei ricordi più forti è che, quando la resistenza ebraica ammazzò uno spregevole collaborazionista vicino a casa mia alla fine di febbraio del 1943, io danzai e cantai attorno al corpo ancora sanguinante con gli altri bambini. E ancor oggi non me ne pento, anzi al contrario. E' chiaro che questi eventi non furono esclusivi agli ebrei. Tutto il successo nazista, il loro facile e continuo dominio su milioni di persone, nasceva dall'uso diabolico e sottile dei collaboratori, che fecero quasi tutto il lavoro sporco in vece loro. Ma chi conosce queste cose? Questa, e non quella che viene 'instillata', era la realtà. […] Se conoscessimo un poco della verità a proposito dell'Olocausto, almeno comprenderemmo (sia che lo giustifichiamo o no) perché i palestinesi eliminino i loro collaborazionisti. Che è il solo mezzo che hanno per continuare la lotta contro il nostro regime stronca-braccia. Cordialmente, Israel Shahak". E' una parte della verità che l'ebraismo ha imparato a tacere. Ma nel 1950, sotto la pressione dei sopravvissuti all'olocausto, il Parlamento israeliano (Knesset) dovette emanare una legge contro i "nazisti e i collaboratori del nazismo", che comminava la condanna a morte obbligatoria per questi crimini.
"L'intenzione della legge era quasi esclusivamente simbolica", ha scritto su The Nation Baruch Kimmerling (1), "ma ebbe conseguenze non previste. Decine di ebrei furono denunciati da sopravvissuti dell'olocausto che li riconoscevano come 'kapò' o come 'Judenraete', membri dei consigli della comunità che fornivano ai nazisti le liste degli ebrei e organizzavano i trasporti nei campi".
Benché imbarazzante la cosa durò fino al 1954. Quell'anno Malkiel Grunwald, un ebreo ungherese settantunenne, accusò il dottor Rudolf Kastner di collaborazionismo coi nazisti in Ungheria nel '44-45. Il fatto è che Kastner era stato presidente del "comitato di salvataggio" ebraico per la Germania occupata e, arrivato in Palestina nel 1946, aveva fatto una brillanta carriera nel partito di Ben Gurion (il Mapai) da cui era candidato per le imminenti elezioni. Inoltre, Kastner aveva incettato tutta una serie di cariche ben pagate, da portavoce del Ministero dell'Industria, direttore delle trasmissioni radio in magiaro e rumeno, direttore del giornale in ungherese di Gerusalemme, e presidente dell'organizzazione degli ebrei ungheresi in Israele.
Ma secondo il suo accusatore Kastner, come capo della comuniutà in Ungheria, aveva fornito al colonnello SS Adolf Eichmann la necessaria assistenza nel convogliamento finale di mezzo milione di ebrei nei lager. Era il 1944, ed Eichmann non aveva abbastanza "personale": solo 150 SS e qualche centinaio di soldati ungheresi per quell'impresa titanica, che lui voleva si svolgesse con ordinata efficienza. Sapeva che gli ebrei non avrebbero ubbidito ai suoi ordini di presentarsi ai treni, e gli sarebbe toccato operare dei rastrellamenti per i quali non aveva le forze. Si rivolse a Kastner, che diede una mano essenziale. Anzitutto come capo del "comitato di salvataggio"; prese ogni cura a non informare della reale destinazione dei treni. Fece sapere che i nazisti volevano sfollare l'Ungheria e mandare gli ebrei in nuovi insediamenti. La fiducia in Kastner e nei suoi uomini fu tale che decine di migliaia di ebrei si presentarono spontaneamente, sulla sua parola, per farsi deportare.
In cambio Kastner ebbe salva la vita, accusava Gruenwald: i nazisti organizzarono per lui, familiari e amici e altri 1600 notabili israeliti un treno speciale che lo portò in zona alleata nel giugno 1944. L'accusa era terribile, anche per quel che lasciava intuire: quanti di quei 1600 collaborazionisti sedevano ora sulle poltrone di comando del "nuovo" Israele, con fama di sionisti puri e intransigenti? Quanti di loro si erano riciclati come "sopravvissuti" allo sterminio?
La Procura generale di Israele, perciò, querelò il vecchio Gruenwald per calunnia. Ma Gruenwald si prese un giovane ed abile avvocato Shmuel Tamir, che durante una udienza memorabile provò (scrive Baruch Kimmerling) come "la classe dirigente israeliana avesse sabotato una quantità di tentativi di salvare ebrei durante l'olocausto". Il presidente del tribunale, Ben Halevi, insabbiò questa accusa dirompente, ma diede soddisfazione a Gruenwald: Kastner, disse la sua sentenza, effettivamente "aveva venduto l'anima al diavolo".
Gruenwald ricorse in appello. Fatto sta che, nelle more, il marzo del 1957 Kastner fu assassinato, il che chiuse ogni seguito giudiziario. Per l'omicidio furrono condannati tre estremisti di destra di un piccolo partito clandestino. Ma la storica ebraico-americana Idith Zertal (Death and the Nation: history, memory, politics, 2004) accredita una tresi contraria che fu ventilata all'epoca dall'opposizione a Ben Gurion: Kastner sarebbe stato liquidato dai servizi segreti (Mossad) perché troppo imbarazzante per il regime sionista.
Il fatto è che gli ebrei erano già sulle tracce di Adolf Eichmann, di cui Ben Gurion annunciò la cattura nel maggio del 1960, insieme con l'intenzione di processarlo, in modo pubblico e clamoroso, in Israele. Fu, come voluto, un processo-passerella, non perché Eichmann fosse innocente, ma perché per quattro mesi delle udienze il mondo e i media (accorsi in massa) furono illuminati su ogni particolare degli orrori dei lager, e sull'eroismo dei partigiani e resistenti ebrei – guarda caso, a quel tempo nel governo di Israele.
Non si poteva consentire che la bella esposizione fosse guastata – non si sa mai – dalla richiesta dell'imputato di ascoltare, a suo discarico, il dottor Kastner.
1) Baruch Kimmerling, "Israel's culture of martyrdom", The Nation, 22 dicembre 2004. Professore di sociologia alla Hebrew University di Gerusalemme, Kimmerling è autore di "Politicide: Ariel Sharon war against the palestinians".
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