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Gesù, i Pagani e i giudei nel vangelo di san Giovanni (IV, 1-19)
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Secondo san Tommaso e l’esegesi moderna

Prologo

Affrontando il tema dei rapporti tra Giudaismo veterotestamentario (poi quello talmudico), Paganesimo e Cristianesimo ci s’imbatte nel dialogo tra Gesù e la Samaritana (che per i Giudei era una pagana, scismatica ed eretica), riportato nel capitolo IV del Vangelo di San Giovanni.

Se si studia attentamente questo brano evangelico di san Giovanni (IV, 9-30), si capisce molto bene quale fosse stato il retto insegnamento 1°) sia dell’Antico Testamento, non ancora snaturato dal Messianismo farisaico e rabbinico del Giudaismo talmudico, 2°) sia del Cristianesimo come Gesù l’ha rivelato, gli Apostoli l’hanno tramandato e i Padri assieme ai Dottori scolastici l’hanno interpretato.

È per questo che per capire ancor più esattamente quest’insegnamento, occorre leggere il Vangelo alla luce della Tradizione (patristica e scolastica); infatti, le fonti della Rivelazione sono la Santa Scrittura e la Tradizione e non la “sola Scrittura” come voleva Lutero (Concilio di Trento, sessione 4, DB, 738 e 783; Concilio Vaticano I, DB, 1787).

È quello che cercherò di fare nel corso di questi articoli.

Samaria e Giudea

Innanzitutto per capire cosa sia successo tra Gesù e la Samaritana bisogna rifarsi a ciò che la Storia sacra ci dice sulla Samaria e i Samaritani.

Nell’Antico Testamento (III Re, XII-XIV; IV Re, XVIII) si legge che vi fu una scissione tra le due Tribù di Giuda e le dieci Tribù d’Israele.

La scissione avvenne attorno al 930 a. C., sùbito dopo la morte di Salomone, quando i suoi due figli: Roboamo e Geroboamo, litigarono e portarono il Regno di Giuda alla divisione (III Re, XII-XIV; II Paral., X-XII).

Fu allora che le dieci Tribù del nord o d’Israele elessero come loro Re Geroboamo; mentre le due tribù di Beniamino e di Giuda seguirono Roboamo, che risiedette nel sud a Gerusalemme rimasta capitale del suo Regno detto di Giuda.

Geroboamo era un uomo empio e per impedire che i suoi sudditi si recassero nel Tempio di Gerusalemme a offrire i sacrifici al Signore, col rischio che ritornassero sotto l’obbedienza di suo fratello Roboamo, fece costruire due vitelli d’oro. Egli, dunque, portò il suo popolo all’apostasia, poiché esso adorò i due vitelli come se fossero Dio. Inoltre, Geroboamo fece costruire molti tempietti sulle alture del Regno d’Israele. In séguito a ciò i leviti e molte anime pie, del Regno d’Israele passarono al Regno di Giuda, allora Geroboamo creò, di sua spontanea volontà, dei sacerdoti dal popolo senza che essi discendessero dalla famiglia di Aronne, come invece era stato stabilito da Dio (Es., XXVIII, 29; I Cor., XXIII, 13) .

Attorno al 730 a. C. il Re Assiro, Salmanassar IV (782-773), assediò la città detta Samaria (dalla quale la regione del centro Palestina prese nome) e dopo tre anni la città fu espugnata, e distrutta; la maggior parte degli abitanti (circa 27 mila persone della classe nobile, compresi i sacerdoti) del Regno d’Israele fu condotta prigioniera nell’Assiria attorno al 722 da Sargon II (721-705), che succedette a Salmanassar IV. I Samaritani portati in cattività furono rimpiazzati con coloni babilonesi, che portarono in Samaria le loro divinità pagane.

Le popolazioni pagane si fusero con i pochi Israeliti ivi rimasti e formarono assieme un popolo detto Samaritano, dal nome dell’antica capitale Samaria che era stata distrutta. La loro religione era un miscuglio di Paganesimo e di Giudaismo.

Insomma, le dieci Tribù d’Israele, caddero nell’idolatria, mentre le due tribù di Giuda rimasero fedeli al monoteismo adorando solo Jaweh. Ecco, in breve, il motivo dell’ostilità tra Samaritani e Giudei.

Tuttavia, per non lasciare la Samaria disabitata, il Re assiro vi mandò dei coloni stranieri, pagani e idolatri. Però il Signore volle manifestare agli Assiri che se aveva permesso la deportazione degli Israeliti in Babilonia non fu per sua debolezza, ma solo per la loro malvagità, poiché avevano apostatato dall’unico vero Dio ed erano caduti nell’idolatria politeistica.

Fu così che mentre la Samaria fu invasa dai Pagani, Jaweh, infestò questa regione con leoni e belve feroci, che decimavano i Gentili in Samaria. Il Re assiro Sargon II, avendo saputo ciò, ritenne giustamente che tutto questo succedeva loro perché non adoravano il Dio di quel luogo e, quindi, mandò loro un sacerdote ebreo, affinché insegnasse loro la Legge di Dio come era stata rivelata a Mosè.

Perciò, questi Samaritani di origine pagana, pur non appartenendo al popolo giudaico, osservavano la Legge di Mosè, ma, assieme al vero Dio, adoravano anche gli idoli e inoltre non accettavano i Profeti; insomma avevano la Legge (o la Morale) ma non i Profeti (o il Credo). Essi presero il nome di Samaritani dalla città di Samaria, capitale della regione detta poi Samaria.

Quando, poi i Giudei delle tribù d’Israele tornarono dalla cattività di Babilonia in Gerusalemme (538 a. C.) furono ostili ai Samaritani sia perché idolatri sia perché non Giudei. Ecco perché i Giudei non avevano buoni rapporti con i Samaritani, i quali (da Pagani e pluralisti) avrebbero voluto amalgamarsi con i Giudei, ma questi (da fedeli e integralisti) li respingevano.

PADRE MARCO SALES

L’esegeta piemontese (1877-1936) spiega che Gesù deve lasciare la Giudea perché «i Farisei avendo odiato Giovanni Battista, che aveva fustigato pubblicamente i loro vizi (Mt., XI, 18; XVII, 12), furono contenti che fosse stato imprigionato. Ora, vedendo essi che Gesù esercitava un ministero ancora più esteso ed efficace di quello di Giovanni, si mostrano pieni d’invidia e di odio anche verso Gesù. Il Salvatore, per non dare loro occasione d’inasprirsi di più, abbandonò la Giudea. […]. Non perché temesse i Farisei, ma per non incattivirli maggiormente, non essendo ancora venuta la sua ora» (Marco Sales, Commento al Vangelo secondo San Giovanni, II ed., Proceno, Effedieffe, 2015, p. 39, nota n. 1 e 2).

«Nella Galilea (ossia, nella Palestina del nord) i Pagani che vivevano frammisti agli Ebrei erano numerosi; mentre, invece erano pochissimi nella Giudea (cioè, nella Palestina del sud). Gli abitanti della Samaria (al centro della Palestina) erano in maggioranza Pagani, benché fossero pure assai numerosi i discendenti degli antichi coloni Israeliti trasportativi dagli Assiri nel VII secolo a. C.» (M. Sales, cit., p. 39, nota n. 4).

Giuseppe Ricciotti

Il celebre esegeta romano (1890-1964) scrive che l’episodio del colloquio tra Gesù e la Samaritana presso la città di Sychar «presuppone anche la tradizionale avversione tra i Samaritani abitanti di quel luogo e i Giudei in genere. […]. Gesù parla da Giudeo e dà ragione ai Giudei contro i Samaritani; ma sùbito dopo, lasciato il passato, Egli si trasferisce al presente, in cui le vecchie odiose rivalità non hanno più ragione d’essere. […]. Perciò insegna che d’ora innanzi, il culto di Dio non sarà legato né al monte Garizim né al colle di Gerusalemme, né ad alcun altro luogo della terra; bensì alle sole condizioni di essere fatto “in spirito e verità”. Parole scandalose, queste, per un Fariseo che fosse stato lì ad ascoltare: non però del tutto nuove nella stessa tradizione d’Israele. Il nuovissimo Profeta che le aveva pronunziate passava sopra la “tradizione” farisaica e si riconnetteva con la tradizione anteriore e genuina dei Profeti; infatti, già sei secoli prima, Geremia aveva proclamato che il Tempio di Jaweh in Gerusalemme non serviva a nulla se frequentato da adoratori indegni (Ger., VII, 4 ss.), e aveva pure annunziato che ai tempi del Messia la stessa Arca dell’Antica Alleanza non sarebbe più stata venerata da alcuno (Ger., III, 16) perché tutti porterebbero la Nuova Alleanza e la Legge di Dio scritta nei loro cuori e nei loro spiriti (Ger., XXXI, 33). […]. Ora, proprio a questa donna non Giudea e di razza ostile ai Giudei, Gesù rivela di essere il Messia, mentre più tardi comanderà ai suoi discepoli di non palesare questa sua qualità ai Giudei (Mt., XVI, 20). Ma, appunto nell’ostilità dei Samaritani contro i Giudei sta il segreto di questa preferenza: presso di loro (Samaritani) era ben difficile che a quell’annunzio si suscitasse un movimento di entusiasmo politico, il quale invece era probabilissimo presso i Giudei, mentre Gesù voleva evitarlo a ogni costo» (G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Milano, Mondadori, 1941, I vol., pp. 322-324, ristampa Edizioni Effedieffe 2016).

Ferdinando Prat

Secondo padre, il gesuita francese, Ferdinando Prat (1857-1938), il discorso che Gesù tiene alla Samaritana sta a significare che «il culto ebraico [nel Vecchio Testamento, ndr] è il solo legittimo, il solo che Dio riconosca e approvi. Gli Ebrei adorano con cognizione di causa, perché serbano il tesoro della Rivelazione, mantenuto intatto e via via arricchito e approfondito dai Profeti, che i Samaritani, invece, ricusano, seguendo solo la Legge di Mosè. La salvezza viene, dunque, dagli Ebrei, poiché il Messia deve sortire di mezzo a essi e la luce del Vangelo deve irradiarsi da Gerusalemme. Ecco per quanto riguarda il passato. Tuttavia, se si fissa l’occhio sull’avvenire, le differenze spariscono insieme con i privilegi. Dio non sarà adorato piuttosto sul monte Moriah che sul Garizim o in qualunque altro luogo della terra; giacché Dio vuole essere adorato “in spirito e verità”. La Legge Nuova, che è spirito e verità, deve sostituire la Legge Antica, come la luce dissipa l’ombra e come la realtà abroga le figure» (F. Prat, Gesù Cristo, Firenze, LEF, 1933, tr. it. 1945, p. 219).

Alfredo Durand

Secondo l’esegeta francese Alfred Durand (1858-1928), Gesù ha insegnato alla Samaritana e a tutti noi che «ogni culto avente un carattere esclusivamente nazionale sarà abolito. Tuttavia, Egli difende la verità della tradizione giudaica di Gerusalemme come, allora, superiore a quella samaritana. […]. Il culto del Vecchio Testamento non è ancora abolito, ma non tarderà a suonare l’ora del culto nuovo, che deve soppiantarlo. Samaritani e Giudei non adoreranno più né sul monte Garizim di Samaria né sul monte Sion di Gerusalemme. Ci sarà in ogni luogo un solo sacrificio e una sola vittima (Mal., I, 11). Tuttavia, nel presente, i Samaritani rendono il culto al Dio dei loro padri, ma senza sapere chi sia esattamente. Infatti, essi limitano la loro tradizione alla sola Legge di Mosè, rinunciando così allo svolgimento dottrinale svolto dai Profeti. Però viene l’ora in cui i veri adoratori di Dio Lo adoreranno “in spirito e verità”. Insomma, gli Ebrei, a paragone dei Samaritani, potevano allora essere chiamati “veri adoratori”; […] tuttavia c’è un culto ancora più vero, perché si addice di più alla spiritualità assoluta di Dio e alla sua immensità. Ora, il Giudeo, adorava Dio, secondo quanto era prescritto dalla “lettera della Legge”. Tuttavia, la Legge rituale di Mosè non sollecitava le disposizioni interiori e non dava la forza di compiere la Legge rivelata o il Decalogo. Di fatto, i Giudei spesso si contentavano solo di un culto esteriore, del tutto materiale, locale e sovente senz’anima. A questo culto, buono ma imperfetto, Cristo è venuto a sostituire la religione “in spirito”, poiché si rivolge al Signore purissimo Spirito e anche “in verità”, poiché sino ai tempi messianici, tutto era accaduto “in figura”. Ora con Gesù, è apparsa “la realtà” dell’opera di Dio. […] Il sangue degli animali, versato nel Tempio di Gerusalemme, era solo “una figura” profetica del Sangue di Cristo versato sul Calvario, ossia “la realtà”» (A. Durand, Vangelo secondo San Giovanni, Roma, Studium, 1927, tr. it. 1966, pp. 197-200).

SAN TOMMASO D’AQUINO

Gesù “doveva attraversare la Samaria” (Gv., IV, 4), sita nel centro della Terra promessa, avendo lasciata la Giudea al sud della Palestina e dirigendosi in Galilea (Gv., IV,  3) al nord di essa.

San Tommaso d’Aquino spiega che l’Evangelista ha usato propriamente il verbo “oportebat / doveva”, perché «non sembrasse che Cristo fosse in contrasto con quanto insegnava. Infatti Egli aveva ordinato ai suoi discepoli (Mt., X, 15): “Non andate tra i Gentili”. Ora, poiché la Samaria era territorio dei Pagani, Giovanni mostra che Gesù passò da quelle parti non di proposito ma per necessità; poiché, la Samaria si trovava tra la Giudea e la Galilea» (San Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo di San Giovanni, capitolo IV, lezione I, par. V, numero 558).

Poi, l’Evangelista aggiunge: «Arrivò intanto una donna di Samaria» (Gv., IV, 6). Ora questa donna, benché fosse un’adultera (infatti, aveva avuto cinque conviventi, compreso quello con il quale era in relazione allora) era anche una Samaritana, ossia una pagana e un’idolatra.

Tuttavia essa aveva una certa “predisposizione all’ascolto della verità” (S. Tommaso, cit., capitolo IV, lezione I, par. X, n. 566). Anzi, in un certo senso essa era addirittura attratta dalla verità; infatti, “la Samaritana disse a Gesù…” (Gv., IV, 9); ossia interrogò il Redentore per essere istruita da Lui.

L’Angelico spiega che la Samaritana è simbolo della Chiesa del Nuovo Testamento (e la distingue dalla Sinagoga giudaica), in cui entrarono anche i Pagani e non solo i Giudei. Infatti: «La Samaritana non era ancora stata giustificata ed era ancora schiava dell’idolatria, ma era prossima a essere santificata da Cristo» (San Tommaso, cit., capitolo IV, lezione I, par. X, n. 567).

Essa veniva da gente straniera, ossia non ebrea, poiché i Samaritani erano realmente stranieri pur abitando entro la Terra Santa tra la Giudea e la Galilea. In ciò, la Samaritana è figura della Chiesa di Cristo, che si sarebbe avvicinata a Cristo pur avendo dentro di sé dei Pagani. Di qui le parole evangeliche: «Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe” (Mt., VIII, 11).

L’incontro tra Gesù e la Samaritana ai bordi del pozzo di Giacobbe (Gv., IV, 5 e 7) ci ricorda che i Giudei e i Samaritani non erano tra di loro in buone relazioni; infatti, la Samaritana dice a Gesù: «Come mai, tu che sei Giudeo, chiedi da bere a me che sono Samaritana?» (Gv., IV, 9).

Gesù era facilmente riconoscibile come Giudeo, in quanto, Iddio aveva comandato (Num., XV, 37) che nel Vecchio Patto i Giudei, per distinguersi dai Pagani che li circondavano, portassero ai quattro bordi del loro mantello delle frange color giacinto.

Ora, si chiede l’Angelico, «se non era lecito ai Giudei trattare con i Samaritani, perché il Signore chiese da bere proprio a una Samaritana?» (cit., cap. IV, lezione I, par. XIV, n. 574).

L’Aquinate risponde: «Siccome “il Figlio dell’uomo è padrone anche del sabato” (Mt., XII, 8); perciò, Gesù, in quanto padrone della Legge e delle cerimonie legali, poteva liberamente rispettare o no le osservanze legali. Anche perché era prossimo il tempo in cui i Gentili sarebbero stati chiamati alla fede e quindi occorreva che Egli trattasse anche con loro» (cap. IV, lezione I, par. XIV, n. 574).

Gesù, chiosando san Tommaso d’Aquino, risponde alla Samaritana dicendole: «Tu, ti meravigli che io, Giudeo, abbia chiesto da bere a te Samaritana; ma non devi meravigliarti, perché io sono venuto per questo: per dare da bere anche ai Gentili (S. Tommaso, cit., capitolo IV, lezione II, paragrafo I, n. 576).

Ora, Gesù intendeva il bere in senso spirituale, ossia dare la grazia santificante e la giustificazione anche ai Pagani e non solo ai Giudei. Tuttavia, la Samaritana era ancora imbevuta degli errori del Paganesimo anche se misto al Mosaismo; inoltre, pure l’Antico Testamento senza il Nuovo poteva essere interpretato in senso carnale o letterale. Fu così che la donna, ancora prigioniera della “lettera che uccide” e non ancora ripiena dello “Spirito che vivifica” (II Cor., III, 6) prese in senso letterale le parole di Gesù e capì che Egli volesse dissetarla con acqua puramente materiale.

Perciò, Gli disse: «Tu non sei più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo; ossia, forse tu disponi d’un’acqua migliore di quella che ci diede Giacobbe?» (Gv., IV, 12).

Gesù, allora, afferma formalmente, chiaramente e solennemente di essere superiore ai Patriarchi (Abramo, Isacco e Giacobbe), dicendo: «Chiunque berrà dell’acqua che Io gli darò, non avrà più sete in eterno» (Gv., IV, 13-14).

Infatti Gesù parlava dell’acqua della grazia santificante, che ci rende realmente partecipi della vita divina (II Petri, I, 4).

Allora la Samaritana - sempre vittima della sua concezione materiale e temporale della religiosità - pensando a un’acqua speciale, che le risparmiasse la fatica di attingere ogni giorno con un secchio al pozzo di Giacobbe sotto il sole cocente, rispose a Gesù: «Signore, dammi quest’acqua» (Gv., IV, 15).

L’Angelico nota come la Samaritana all’inizio del colloquio (versetto 9) con Gesù non l’avesse chiamato “Signore”; mentre ora, al versetto 15°, lo chiama così. Infatti, all’inizio per lei era solo e soltanto un Giudeo e quindi un nemico e perciò Gli dice: «Come mai tu che sei un Giudeo, chiedi da bere a me che sono Samaritana?» (Gv., IV, 9).

Essa comincia, poi, a credere che Gesù sia qualcosa di più di un deprecato Giudeo e persino di un semplice uomo, quando il Redentore le rivela il suo reale stato: «Hai risposto bene: “Non ho marito”; infatti, hai avuto ben cinque mariti e quello che hai adesso non è tuo marito» (Gv., IV, 17-18).

San Tommaso commenta: «Da questa frase Cristo passa a convincere la Samaritana» (capitolo IV, lezione II, paragrafo VII, numero 591) e «con questo il Signore la convince del suo peccato» (ibid., n. 592). Gesù le rivelò il suo stato peccaminoso per indurla a credere che il Lui c’era qualcosa di divino (ibid., n. 593).

Ed ecco che entriamo nel vivo della questione che stiamo dibattendo, ossia, quali siano stati realmente i rapporti tra Gesù i Giudei e i Pagani e, perciò, quali essi debbano essere tra la Chiesa di Cristo, il Paganesimo e il Giudaismo postbiblico. Infatti, a partire dalla Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate (28 ottobre 1965), questi princìpi che sino allora erano chiari e fermi, sono stati totalmente ribaltati, facendo dei Cristiani i “fratelli minori” dei Giudei increduli riguardo alla divinità di Cristo (Giovanni Paolo II, Roma, 13 aprile  e 31 dicembre 1986).

A questo punto la Samaritana pone a Gesù la domanda capitale che Gli permette di rivelare, con estrema chiarezza, quali debbano essere i rapporti tra Cristianesimo, Giudaismo mosaico (e poi talmudico) e Paganesimo: «I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte, invece voi Giudei dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare Dio» (Gv., IV, 20).

Siccome san Tommaso d’Aquino, nella sua Somma Teologica (I-II, qq. 98-108), ha affrontato e risolto in maniera mirabile questo problema, introduco ora quel che ci insegna l’Angelico su questo tema nella Somma e poi - nella prossima puntata - riprenderemo a trattare il colloquio di Gesù con la Samaritana, a partire dal versetto 20 del capitolo IV del Vangelo secondo san Giovanni, come è stato commentato dai Padri e dai Dottori scolastici.

 

LA “SOMMA TEOLOGICA”, IL GIUDAISMO E IL CRISTIANESIMO

San Tommaso d’Aquino, il “Dottore Ufficiale o Comune” della Chiesa, nella Somma Teologica (I sezione - II parte, questioni 98-108) tratta il tema della “Legge di Mosè” (I sezione - II parte, questioni 98-105); poi quello della “Legge Nuova” (I sezione – II parte, questione 106 e 108) ed anche del “Confronto tra la Legge Antica e la Legge Nuova” (I sezione - II parte, questione 107).

Per quanto riguarda la “Legge di Mosè” (I sezione – II parte, questione 98) egli insegna che “la Legge di Mosè era imperfetta ma buona, poiché conforme alla retta ragione e alla Legge naturale” (I sezione - II parte, q. 98, articolo 1); la “Legge Antica doveva essere data prima solo al popolo ebraico, poiché da quel popolo doveva nascere il Messia per pura misericordia di Dio e senza alcun merito  da parte sua” (I-II, q. 98, a. 4).

Quanto ai “Precetti morali della Legge Antica”, che riguardano la Legge naturale (I sezione - II parte, q. 100), l’Aquinate scrive che “la Legge Antica, essendo data ad un popolo simile a un bambino che deve ancora crescere, cioè passare dalla Vecchia alla Nuova Alleanza, aveva una ricompensa o un castigo temporale e non spirituale come la Legge Nuova” (I-II, q. 100, articolo 7).

Sui “Precetti cerimoniali”, che riguardano il culto divino del Vecchio Testamento (I sezione - II parte, questione 101) san Tommaso afferma che essi “erano figurativi di Cristo, ossia erano ombre della Realtà, che ci conduce in Cielo” (I-II, q. 101, articolo 2).

Circa le “Cause dei Precetti cerimoniali” dell’Antico Patto (I sezione – II parte, questione 102) osserva che “la causa finale era quella di raffigurare il Messia venturo, Gesù Cristo” (I-II, q. 102, articolo 2); inoltre “il fine delle cerimonie sacrificali, svolte nel Tempio di Gerusalemme, in senso letterale, era quello di innalzare le menti dei fedeli a Dio e, in senso figurativo, di adombrare la Passione di Cristo” (I-II, q. 102, a. 3).

A riguardo della “Durata dei Precetti cerimoniali” della Vecchia Alleanza (I sezione – II parte, questione 103), l’Angelico spiega che “le Cerimonie del Vecchio Testamento direttamente purificavano solo dalle impurità corporali, invece per purificare dal peccato avevano bisogno della Virtù di Cristo venturo” (I-II, q. 103, articolo 2); perciò “esse cessarono di aver valore con la morte di Cristo, con la quale cessò la Vecchia Legge ed iniziò la Nuova ed Eterna Alleanza” (I-II, q. 103, a. 3); dunque “esse non si possono osservare dopo la morte di Cristo senza peccato, poiché sarebbero in tal caso una professione di fede falsa nel Messia non venuto in Cristo, ma ancora da venire, come insegna il Talmud” (I-II, q. 103, a. 4).

Poi l’Angelico passa a trattare il tema del “Nuovo Testamento o Legge evangelica” (I sezione - II parte, questione 106) e spiega che “non conveniva che la Legge evangelica della Nuova Alleanza fosse data sin dall’inizio del mondo, perché, essendo Legge perfetta, doveva essere preceduta dalla Legge imperfetta del Vecchio Patto” (I-II, q. 106, articolo 3) e siccome “la Legge Nuova è perfetta, non ha bisogno di essere perfezionata (come diceva Gioacchino da Fiore), ma durerà immutata quanto alla sostanza sino alla fine del mondo. Infatti essa è opera del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, perciò non ci sarà una terza era dello Spirito Santo o “Nuovissima Alleanza”, che perfezionerà la Nuova Alleanza come questa ha perfezionato l’Antica” (I-II, q. 106, a. 4); poiché la “Nuova Alleanza” è l’era del Figlio e dello Spirito Santo che procedono dal Padre (Vecchia Alleanza); quindi, essa è anche “Eterna” e non sarà perfezionata da una terza era del Paraclito, che è il perfezionatore dell’opera di Cristo nella medesima “Nuova ed Eterna Alleanza”.

L’Aquinate, poi, precisa: “La Legge Nuova è Legge di perfezione e Legge d’amore che completa il timore. Perciò, è diversa dalla Legge Vecchia che è Legge imperfetta, di timore e di preparazione a Cristo o alla Legge Nuova. Tuttavia, entrambe le Leggi hanno come fine Dio” (I-II, q. 107, articolo 1).

Inoltre, la “Legge Nuova compie, perfeziona e attua la Vecchia perché dà in atto quanto la prima Alleanza prometteva o conteneva in potenza cioè la Redenzione del Messia Gesù Cristo di Nazareth, Colui che completò la Vecchia Legge, spiegandone il significato, precisando e perfezionando i Precetti puramente esterni (5° e 6° Comandamento) con obblighi interni (perfezionati dall’amore del prossimo anche se nemico e dal 9° Comandamento) e aggiunse anche i tre Consigli per aiutare a vivere meglio e più intensamente i Comandamenti. Quindi, anche il Decalogo di Mosè, dato nell’Esodo e nel Deuteronomio, è stato perfezionato da quello dato da Cristo nel Vangelo” (I-II, q. 107, a. 2).

San Tommaso spiega che “la Legge Nuova era contenuta nella Legge Vecchia poiché vi era in potenza, come l’albero nel seme o l’uomo nel bambino, essendo la prima la perfezione della seconda” (I-II, q. 107, a. 3).

Infine, l’Angelico affronta il problema dei “Precetti della Legge Nuova” (I sezione - II parte, questione 108, articolo 4) e insegna che “la Legge di Gesù ha liberato l’uomo dalla farragine dei Precetti cerimoniali e giudiziali della Legge Antica, perciò è detta Legge di libertà”.

La “Rivoluzione giudaizzante” del Vaticano II

Qui finisce “la parte più teologica della Somma Teologica, com’era solito dire padre Ceslao Pera, la quale è in evidente opposizione di contraddizione con la neo/teologia giudaizzante del Vaticano II.

San Tommaso d’Aquino è il Dottore Comune o Ufficiale della Chiesa, la sua dottrina è quella della Chiesa ed essa è totalmente difforme da quella esposta da papa Roncalli sino a papa Bergoglio, passando per papa Ratzinger.

Infatti, per l’Aquinate “con la morte di Cristo cessò la Vecchia Legge e iniziò la Nuova ed Eterna Alleanza” (Somma Teologica, I-II, q. 103, a. 3); dunque, le Cerimonie dell’Antico Patto “non si possono osservare dopo la morte di Cristo senza peccato, poiché sarebbero una professione di fede falsa nel Messia non già venuto in Cristo, ma ancora da venire” (I-II, q. 103, a. 4). Inoltre “la Legge Nuova è Legge di perfezione. Dunque, è diversa dalla Legge Vecchia, che è Legge imperfetta o di preparazione a Cristo” (I-II, q. 107, a. 1); insomma, la “Legge Nuova compie, perfezione e attua la Vecchia perché dà in atto quanto la prima prometteva o conteneva in potenza, dando in atto la Redenzione del Messia-Gesù Cristo” (I-II, q. 107, a. 2). Perciò, non è vero che “l’Antica Alleanza non è stata mai revocata” (Giovanni Paolo II, Magonza, 17 novembre 1980) e neppure che “gli Ebrei sono Fratelli Maggiori dei Cristiani”… “nella fede di Abramo” (Giovanni Paolo II, Roma, 13 aprile e 31 dicembre 1986); anzi è vero tutto il contrario.

Salus ex Judaeis?

Il Concilio Vaticano II (Dichiarazione Nostra aetate, 28 ottobre 1965) e Giovanni Paolo II (Magonza, 17 novembre 1980; Roma, 13 aprile 1986) hanno ripreso ciò che aveva scritto già nel 1892 Léon Bloy (1846-1917) in un libro intitolato Salus ex Judaeis, che si rifà appunto al Vangelo (Giovanni, IV, 5-42) e specificatamente a questo dialogo, di cui ci stiamo occupando, tra Gesù e la Samaritana, presso il pozzo di Giacobbe, ma ne stravolge - precorrendo il Vaticano II - il significato.

La Samaritana, infatti, come abbiamo visto chiede a Gesù, se la salvezza e la verità vengano dalla Samaria o dalla Giudea e Gesù risponde che, nell’Antica Alleanza, la Rivelazione di Jaweh veniva dal Tempio di Gerusalemme e dalla Giudea e non dal Tempio di Garizim della Samaria, che si era scissa dalla religione giudaica e aveva accettato elementi pagani e idolatrici nel suo stile di vita.

Léon Bloy, ha voluto equivocare facendo dire a Gesù che la salvezza, nella Nuova Alleanza, viene ancora oggi dai Giudei, il che è logicamente, storicamente, esegeticamente e teologicamente falso. Infatti, Gesù stesso ha aggiunto alla frase “salus ex Judaeis” che è già venuta la Sua ora, in cui i veri fedeli di Dio, della Nuova Alleanza, Lo adoreranno in spirito e verità e non più sotto ombra di figure nel Tempio gerosolamitano dell’Antico Patto, abrogato del Nuovo ed Eterno.

Infatti, i Samaritani pensavano, a causa degli influssi del Paganesimo assiro, che Dio fosse una realtà corporea, cosicché credevano che bisognasse adorarlo in un determinato luogo cioè a Garizim; inoltre - assieme a Lui - adoravano anche alcune creature (come idoli) come se fossero uguali a Lui. Perciò non lo conoscevano. Ecco perché Gesù risponde: “Voi adorate ciò che non conoscete”.

Riguardo al culto dei Giudei Gesù dichiara: “Noi adoriamo ciò che conosciamo”; Egli era Giudeo per la sua stirpe e i Giudei dell’Antica Alleanza, mediante la Legge e i Profeti, avevano una conoscenza vera di Dio. Ecco perché Gesù soggiunge “salus ex Judaeis”, per dire che la salvezza doveva venire da loro, che possedevano - nell’Antica Alleanza - la vera conoscenza e il vero culto di Dio, in Cristo venturo.

I Pagani erano nell’errore, mentre i Giudei avevano la Rivelazione divina (Gen., XXII, 18): la Legge e le Profezie furono consegnate loro (Rm., XI, 17); infine, l’Autore stesso della salvezza, il Cristo, è derivato da loro, come uomo secondo la carne (Rm., IX, 5).

Poi, Gesù aggiunge “ma, è giunto il momento, ed è questo, in cui si adorerà Dio in spirito e verità”, per dimostrare la superiorità di questo culto cristiano “in spirito su quello giudaico, che era materiale o figurativo; ossia, come il culto giudaico è superiore a quello samaritano, così il culto cristiano è superiore a quello della Giudea. Poiché, il culto dei Giudei si basava su cerimonie materiali e prefigurative, che sarebbero state sostituite da quelle spirituali cristiane (Ebr., IX, 10).

Infine, Cristo precisa anche che “i veri adoratori adoreranno il Padre”, poiché nell’Antico Testamento non s’adorava esplicitamente e pubblicamente il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, ma solo il Signore Dio.

Come si vede, già l’Antico Testamento (Legge e Profeti) annunziava l’entrata dei Pagani nel Regno di Dio; il rabbinismo messianistico/apocalittico, invece, aveva adulterato quest’insegnamento. Inoltre, Gesù - pur riconoscendo che la Rivelazione veterotestamentaria era stata data ai Giudei e da loro mantenuta - non disprezza i Samaritani, ma rivela proprio a una Samaritana ciò che aveva tenuto nascosto ai Giudei.

Insomma l’Antico Testamento - pur non contenendo in sé formalmente la perfezione del Nuovo - non era portatore di un messaggio sciovinista e razzialmente discriminatorio come invece lo propugna il Talmud e il Giudaismo postbiblico.

Conclusione

Monsignor Francesco Spadafora qualifica il Giudaismo talmudico o postbiblico, ossia l’Apocalittica rabbinica, come «odio atroce contro i Gentili, morbosa attesa della rivoluzione e della liberazione futura d’Israele. All’Apocalittica si deve la formazione del più acceso nazionalismo ebraico, che sfocerà nella ribellione all’Impero romano. Tramite essa si spiega la fiducia cieca dei Giudei per straordinarie rivincite nazionali vaticinate dai “falsi profeti”»[1].

Il medesimo monsignor Spadafora scrive ancora: «Il Messianismo è la dottrina sul Messia e il suo Regno o Nuova Alleanza; […] esso costituisce il punto centrale d’incontro (nelle Profezie del Vecchio Testamento) e di opposizione (nella realizzazione con il Nuovo Testamento) tra il Giudaismo e il Cristianesimo»[2].

Tutto l’Antico Testamento è proteso a Cristo e al suo Regno. Infatti, il Messia «verrà ucciso proprio da Israele, che Gli resiste e Lo disprezza (Is. LIII, 8 s.), ma che espierà con un lutto nazionale (la distruzione del Tempio) il suo crimine (Zach. XII, 8-13; Mt. XXIV, 30; Jo. XIX, 37)»[3].

Il vero Messia, Gesù Cristo, è soprattutto Re spirituale di tutti gli uomini e non di una sola Nazione e, quindi, non potrà non essere odiato, combattuto e messo a morte dai “falsi profeti” che avevano cominciato a corrompere la Fede del vero Israele in senso temporalistico, mondialistico e di dominazione universale.

Questo è il dramma d’Israele: aver seguito nella maggior parte, tranne “un piccolo resto” (Rom., XI, 7), un falso concetto di Messia cosmico, militante e temporale (che è un puro uomo o addirittura una collettività, Israele stesso “Padrone di questo mondo”) e aver rifiutato, tranne “una piccola reliquia” (ivi), il vero Messia, Salvatore di tutti gli uomini, il cui Impero è universale, definitivo, spirituale e soprattutto proteso nell’aldilà, pur iniziando già in questo mondo, anche se imperfettamente.

Purtroppo, «i Giudei [apocalittici], nonostante la paziente insistenza del Redentore nel rettificare e correggere i loro preconcetti falsi, rimasero fatalmente fuori della salvezza (cfr. Mt. VIII, 1 s.)»[4].

Certamente, l’Antica Alleanza, «concretata nel patto del Sinai, è l’unica vera religione, ma sfocerà in un’Alleanza più perfetta e definitiva, estesa a tutte le Genti, Israele ne sarà il veicolo conduttore; un discendente di Davide ne sarà il realizzatore»[5].

Tuttavia, «il periodo post/maccabico orientò i Giudei verso un’interpretazione errata del Messia, che si afferma nella letteratura apocrifa e rabbinica. […]. L’opposizione tra la Rivelazione attuata dal Cristo e l’interpretazione giudaica dominante non poteva essere più stridente; essa fu fatale a Israele, che rimase fuori dalla salvezza eterna. […]. Gli israeliti avrebbero preso le idee mitologiche [dell’Apocalittica apocrifa] applicandole alla loro Nazione: lo sconvolgimento cosmico avrebbe rovinato i Pagani, mentre avrebbe dato a Israele felicità terrena definitiva»[6].

Nulla di tutto ciò si trova nella Legge, nei Profeti e viene sonoramente smentito nel dialogo di Gesù con la Samaritana.

Padre Alberto Vaccari spiega che, mentre per i Profeti dell’Antico Testamento, il Messia è una persona, per i veggenti dell’Apocalittica apocrifa è una collettività e precisamente il popolo d’Israele, che conseguirà la prosperità nazionale, il predominio su tutte le altre Nazioni[7].

Inoltre «un Messia morto e risorto, un Messianismo che si era adempiuto in Gesù Cristo era la nuova Fede che gli Apostoli dovevano predicare a tutto il mondo, cominciando dai Giudei. Ma per questi un Messia messo in croce era uno “scandalo”, come per i Pagani una “follia” (I Cor. I, 23). […]. L’opposizione, che tale predicazione trovò presso la maggior parte della nazione giudaica, ha la sua prima radice nel diverso concetto che s’era formato del Messianismo […] mentre il mondo romano accettò il Messia ripudiato dai Giudei. […]. La prima conseguenza della venuta del futuro falso Messia consiste nel ritorno degli Ebrei, numericamente aumentati, in Palestina e la riedificazione di Gerusalemme e del Tempio»[8].

d. Curzio Nitoglia



[1] F. SPADAFORA, Dizionario Biblico, III ed., 1963, Roma, Studium, voce “Apocalittica”, p. 42, ristampe Edizioni Effedieffe, 2019.

[2] F. SPADAFORA, Dizionario Biblico, III ed., 1963, Roma, Studium, voce “Messia”, p. 410.

[3] F. SPADAFORA, Dizionario Biblico, III ed., 1963, Roma, Studium, voce “Messia”, p. 413.

[4] F. SPADAFORA, Dizionario Biblico, III ed., 1963, Roma, Studium, voce “Messia”, pp. 413-414; ID.,  Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, voce “Messia”, vol. VIII, coll. 843-849.

[5] F. SPADAFORA, voce “Messia”, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, vol. VIII, 1952, col. 843; cfr. A. VACCARI, La Redenzione, Roma, 1934.

[6] F. SPADAFORA, voce “Messia”, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, vol. VIII, 1952, coll. 8447-848.

[7] A. VACCARI, voce “Messianismo”, in Enciclopedia Italiana, Roma, II ed., 1951, vol. XXII, p. 955.

[8] A. VACCARI, voce “Messianismo”, in Enciclopedia Italiana, Roma, II ed., 1951, vol. XXII, p. 957.


 
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