Secondo i Padri ecclesiastici, gli esegeti e don Divo Barsotti
Introduzione
Nello scorso articolo abbiamo visto come san Tommaso d’Aquino e gli esegeti moderni (Marco Sales, Giuseppe Ricciotti, Ferdinando Prat e Alfred Durand) hanno commentato il dialogo tra Gesù e la Samaritana (Gv., IV, 1-19).
Nel presente articolo studiamo come questo brano del Vangelo di san Giovanni (sino al versetto 43), sia stato interpretato dai Padri della Chiesa (soprattutto: san Giovanni Crisostomo e sant’Agostino).
Infine ne tireremo alcune conclusioni che riguardano soprattutto i rapporti tra Cristianesimo e Paganesimo, che valevano ai tempi di Gesù come valgono ancora oggi.
San Giovanni Crisostomo
Il Crisostomo spiega la domanda della Samaritana a Gesù «I nostri padri hanno adorato su questo monte[1] e voi dite che il luogo dove bisogna adorare è a Gerusalemme» (Gv., IV, 20) nel seguente modo: «Vergogniamoci noi Cristiani e arrossiamo. La donna che aveva avuto cinque uomini, la Samaritana, mostra di essere ansiosa di apprendere la dottrina di Gesù e, né l’ora cocente, né qualunque faccenda la distoglie da ciò. Invece, noi non soltanto non facciamo domande sulle verità di fede, ma siamo piuttosto incuranti e pigri per quanto riguarda la nostra Religione» (S. Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Giovanni, Discorso XXXII, n. 3).
Poi Gesù continua spiegando alla Samaritana: «Donna, credi a Me: Viene l’ora in cui né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre» (Gv., IV, 21-22).
Il Vescovo di Costantinopoli commenta così: «Qui, Gesù ha rivelato alla Samaritana una grandissima verità di fede, che non aveva svelato neppure a Nicodemo[2] né a Natanaele[3]. Gesù toglie di mezzo la questione della superiorità del monte Garizim sul monte Sion di Gerusalemme o viceversa, oramai superata dalla Sua Incarnazione. Egli eleva l’animo della donna pagana, mostrandole che né i Giudei né i Samaritani, in futuro (ossia nella Nuova Alleanza), otterranno un qualsiasi privilegio speciale; poi, mostra la differenza tra loro.
Tuttavia anche così, Egli asserisce che i Giudei sono superiori in un certo modo, non perché Gerusalemme sia superiore alla Samaria e al monte Garizim, ma solo riconoscendo che nel Vecchio Testamento il culto dei Giudei era quella richiesto da Jaweh, di modo che essi avevano la pienezza della Rivelazione veterotestamentaria, conoscendo la Legge e i Profeti; mentre i Samaritani non accettavano i Profeti ma solo la Legge» (Crisostomo, Discorso XXXIII, n. 1).
Il Crisostomo (ivi) aggiunge pure che i Samaritani, al contrario, ritenevano che Dio fosse presente solo in Samaria (anche se i rabbini e i Farisei lo negavano); invece, il Giudaismo religione mosaica non ancora pervertita dal talmudismo messianistico/apocalittico riteneva che Jaweh fosse il Signore di tutto il mondo, perciò, nella Vecchia Alleanza, il culto giudaico era superiore a quello samaritano. È per questo motivo che Gesù dice: «La salvezza viene dai Giudei», ma riferendosi solo al Vecchio Patto. Infatti, dal Giudaismo mosaico/profetico proviene la conoscenza del vero Dio, la condanna deli idoli che, invece, erano adorati dai Samaritani. Infine, dalla tribù di Giuda è nato il Messia in quanto uomo (Rom., IX, 5).
Tuttavia, Gesù aggiunge: «Ma, viene l’ora; anzi, è già venuta, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv., IV, 23). Insomma, Egli insegna che il Giudaismo è superiore al culto dei Samaritani nel modo di adorare Dio, non essendo commisto all’idolatria che gli Assiri avevano portato in Samaria nel 722 avanti Cristo. Però, d’ora innanzi - ossia, a partire dall’Incarnazione, Passione e Morte del Verbo - anche il culto giudaico reso a Jaweh nel Tempio di Gerusalemme, come Dio aveva ordinato nell’Esodo e nel Deuteronomio, avrà termine e sarà rimpiazzato dal culto del Nuovo Testamento, ossia della Chiesa di Cristo. Perciò, non muterà solo il luogo del culto (da Gerusalemme a tutto il mondo), ma anche il modo: dai sacrifici prefigurativi di animali offerti nel Tempio di Gerusalemme al Sacrificio cruento di Cristo sul Calvario e rinnovato, misticamente, tutti i giorni sino alla fine del mondo, mediante il Sacrificio della Messa.
San Giovanni Crisostomo spiega che «Gesù, dicendo: “I veri adoratori”, respinge i Giudei assieme ai Samaritani. Infatti, se i primi sono migliori dei secondi; tuttavia, sono di gran lunga inferiori al culto cristiano, che verrà con la morte di Cristo, poiché la realtà è superiore alla figura, la verità all’immagine, accennando alla Sua Chiesa, perché essa costituisce dopo la Sua morte la sola e vera forma di adorazione nella Nuova ed Eterna Alleanza» (Ibidem, n. 2).
Che cosa significa “adorare in spirito”? È semplice: siccome, Dio è purissimo Spirito, il culto perfetto deve esser offerto spiritualmente. Ora «sia i Samaritani sia i Giudei nell’adorazione di Dio trascuravano le buone disposizioni dell’anima e si curavano soprattutto delle abluzioni rituali del corpo» (ivi).
Inoltre, cosa vuol dire “e in verità”? È semplice: il culto del Nuovo Testamento è la realtà o la verità, mentre quello del Vecchio Testamento è solo la figura di essa.
Il Crisostomo nota pure che Gesù non rispose mai chiaramente ai Giudei che Gli chiedevano se fosse il Messia (Gv., IV, 27); invece alla donna pagana disse apertamente di essere Lui il Messia. Infatti «i Giudei non Gli facevano queste domande per apprendere la Verità, ma sempre nell’intento di farlo imprigionare. Se soltanto avessero voluto imparare, sarebbe stato loro sufficiente l’insegnamento delle Sue prediche, dei Suoi miracoli e quanto predicevano le Scritture del Messia venturo. Invece, la Samaritana parla animata da un sentimento semplice e sincero» (ivi).
Infine, il Crisostomo passa a commentare la diversità di spirito che animava i Giudei increduli e i Samaritani, ancora pagani ma aperti alla Verità (Gv., IV, 40-43) e scrive: «Nulla è peggiore dell’invidia e della gelosia che producono l’odio; niente è più dannoso della vanagloria. I Giudei, dunque, pur avendo maggior conoscenza dei Samaritani, pur conoscendo i Profeti; tuttavia, furono di gran lunga inferiori a quelli, poiché i Giudei, anche dopo aver visto i miracoli di Gesù, non solo non Lo trattennero presso di loro, ma addirittura Lo scacciarono; invece i Samaritani ebbero fede nella testimonianza della donna, senza aver visto alcun miracolo; quindi, andarono da Lui e Gli chiesero di rimaner da loro. […]. I Giudei, per i quali Gesù aveva intrapreso tutta la sua opera, più volte tentarono di lapidarlo; invece, i Samaritani vollero invitare Colui che non era andato direttamente da loro, ma solo di passaggio tra la Giudea e la Galilea. I Giudei, pur avendo visto i Suoi miracoli, si ostinarono nella loro perfidia o incredulità; invece i Samaritani, senza bisogno di miracoli eclatanti posero in Lui una grande fede (Ibidem, Discorso XXXV, n. 1).
Sant’Agostino d’Ippona
Il Vescovo d’Ippona scrive: «I Samaritani non facevano parte del popolo giudaico, essi erano stranieri, sebbene abitassero terre vicine ai Giudei. […]. Il fatto che questa donna viene da un popolo straniero o pagano, vuol dire che questa donna prefigurava la Chiesa: perché la Chiesa sarebbe venuta anche dai Gentili, stranieri rispetto ai Giudei» (sant’Agostino, Commento al Vangelo di San Giovanni, Discorso XV, n. 10).
Poi aggiunge che sebbene il Redentore «molto conceda ai Giudei, ciò non significa che i Samaritani siano dei reprobi. Pensiamo a quel muro (i Pagani) che fu aggiunto a un altro (i Giudei), affinché pacificati nella “Pietra d’angolo”, che è Gesù Cristo, si unissero (Efes., II, 14). Il primo muro sono i Pagani, il secondo sono i Giudei, essi erano lontani l’uno dall’altro. Inoltre questi muri sino a che non furono uniti nella “Pietra d’angolo” erano totalmente discordi. Quando, poi, il Messia dice: “Noi adoriamo ciò che conosciamo”, parla dei Giudei, ma non di tutti, non dei Giudei increduli, ma di quelli che, come i Profeti del Vecchio Testamento e gli Apostoli del Nuovo, credettero in Lui, venturo o venuto» (Ibidem, n. 26).
Inoltre aggiunge che, se sino alla morte del Messia tra Giudei e Samaritani ci fosse stata una forte contesa e inimicizia, quando il Messia sarebbe venuto e confitto in croce, allora il Signore avrebbe «rigettato il monte Garizim e distrutto il Tempio di Gerusalemme e avrebbe insegnato ogni cosa, affinché gli uomini avessero imparato ad adorare Dio “in spirito e verità”» (Ibidem, n. 27).
L’episodio analogo dei “Dieci lebbrosi” (Lc., XVII, 16)
Riguardo ai rapporti tra Giudaismo, Paganesimo e Cristianesimo, un’attitudine simile a quella che abbiamo visto sopra e che è stata descritta nel Vangelo di Giovanni (IV, 1 ss.), avvenuta durante il primo anno della vita pubblica del Messia - riguardante i Samaritani, i Giudei e Gesù Cristo - la ritroviamo in quello di san Luca (XVII, 16 ss.), avvenuta durante il terzo anno della vita pubblica di Gesù e poco tempo prima della Sua Passione, riguardo alla guarigione di dieci lebbrosi di cui nove erano Giudei e uno Samaritano. Come si vede, il messaggio è il medesimo: anche un Pagano può essere caro a Dio, mentre pure un Giudeo può essere ingrato al Signore.
Gli esegeti, comunemente, commentando i passi dei due Vangeli, pongono il colloquio con la Samaritana - narrato nel Vangelo di San Giovanni (IV, 1-20) - nel primo anno della vita pubblica di Gesù e sùbito dopo la prima Pasqua del Messia a Gerusalemme, in cui scacciò i mercanti dal Tempio. Gesù era andato dalla Giudea (al nord della Terra Santa) in Galilea (al sud) e quindi doveva passare per la Samaria (al centro, tra Giudea e Galilea). Invece l’altro viaggio - narrato da San Luca (XVII, 16) - avviene nel terzo e ultimo anno della vita pubblica del Salvatore, poco prima che Gesù salisse a Gerusalemme per l’ultima Sua Pasqua, facendo un viaggio tutto al contrario del primo (Gv., IV, 1 ss.); ossia, andando dal nord della Palestina (Galilea) sino al sud (Giudea) e dovendo attraversare, così, il centro cioè la Samaria.
San Luca al capitolo XVII (versetti 11-19) narra che Gesù guarisce dieci lebbrosi. Egli stava andando, poco prima della Domenica delle Palme, verso Gerusalemme a celebrare la Sua ultima Pasqua mosaica e a essere immolato sul Calvario, inaugurando l’era del Nuovo Testamento. Tuttavia l’Evangelista sottolinea che uno solo (dei dieci lebbrosi guariti) torna a ringraziarlo e questo era un Samaritano, mentre gli altri nove erano Giudei ma non lo ringraziarono.
San Cirillo d’Alessandria commenta: «Cadendo in un’ingrata dimenticanza, i nove lebbrosi ch’erano Giudei non son tornati a render gloria a Dio. In conseguenza di ciò Egli ci dimostra che Israele era duro di cuore e totalmente irriconoscente. Invece, lo straniero - un Samaritano, ossia un Pagano venuto dall’Assiria - torna a gran voce per glorificare Iddio. Ciò mostra che i Samaritani erano riconoscenti ma che i Giudei, anche quando erano beneficiati, erano irriconoscenti» (Commento a Luca, Omelie 113-116).
San Tommaso d’Aquino nella sua Catena Aurea raccoglie le sentenze di alcuni Padri della Chiesa su Luca (XVII, 15-16) e riporta che secondo Teofilatto[4] «nove furono ingrati, il non Giudeo fu l’unico riconoscente. Dunque, all’uomo di qualsiasi razza non è impossibile unirsi a Dio purché ne abbia la retta intenzione e la buona volontà».
Padre Juan Leal (Commento al Vangelo secondo Luca, Roma, Città Nuova, 1972, p. 346) scrive: «L’osservazione che fosse un Samaritano, fatta da san Luca, è pienamente in linea con l’universalismo proprio del terzo Vangelo. Gesù sottolinea l’ingratitudine degli Ebrei, i quali - una volta ottenuto ciò che avevano chiesto - dimenticano sùbito, a differenza del Samaritano, i loro obblighi verso Dio».
Padre Marco Sales (Commento al Vangelo secondo San Luca, Proceno, Effedieffe, II ed., 2015, p. 105) scrive: «Costui era un Samaritano, cioè un membro di quel popolo odiato dai Giudei e ritenuto come peggiore persino dei Pagani».
I Padri Alberto Valensin e Giuseppe Huby (Commento al Vangelo secondo San Luca, Roma, Studium, 1956, pp. 343-345) scrivono: «Il Maestro, accompagnato dai suoi discepoli, “passa tra la Samaria e la Galilea”, per salire a Gerusalemme. Lo precede la sua fama di taumaturgo, e mentre si prepara a entrare in un villaggio, è visto da dieci lebbrosi che gli vanno incontro, pur mantenendo una certa distanza da Lui (Lev., XIII, 45). Tuttavia, una comune sventura ha fatto tacere in essi le rivalità nazionali: accanto a nove Ebrei si trova pure un Samaritano. […]. Tutti ricevettero il beneficio della guarigione, ma uno solo pensò al benefattore “ed era un Samaritano”. Gesù lo lodò per aver fatto ciò che i suoi compagni Ebrei avrebbero dovuto fare anch’essi. Però, il formalismo legare giudaico oscurò nei figli d’Israele il senso della vera religione. Essi non rispettarono la gerarchia dei valori, secondo cui occorre rendere grazie a Dio prima ancora di osservare una semplice prescrizione cerimoniale. […]. Il Vangelo, lungi dal fare accezione di persone, si apre a tutti gli uomini».
Padre Ferdinando Prat (Gesù Cristo, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1964, pp. 168-170) annota: «I dieci lebbrosi, si erano riuniti onde assistersi a vicenda. Infatti, codeste povere creature, avulse dal consorzio degli uomini, dimenticarono facilmente le loro antipatie nazionali e le loro rivalità religiose, per mettere in comune le loro miserie. […]. È noto che la voce dei lebbrosi diventa sorda e rauca e che, per farsi intendere, quei poveretti dovettero compiere un vero e proprio sforzo. Gesù non seppe resistere alla vista di tanta miseria e all’umiltà della loro fervida preghiera. […]. I dieci lebbrosi si affrettarono a obbedire e la loro obbedienza, indice sicuro della loro fede, venne sùbito premiata. Si erano appena messi in cammino, quando si sentirono guariti. Il che vedendo, uno di loro, un Samaritano, tornò indietro e, ringraziando Dio, con la voce chiara e distinta che aveva appena riacquistata, si buttò ai piedi di Gesù. Egli, il Samaritano, pensava, giustamente, che prima di eseguire l’ordine ricevuto (di mostrarsi al sacerdote nel Tempio di Gerusalemme, dopo parecchi giorni di marcia), convenisse esprimere la sua riconoscenza al suo benefattore. […]. Gesù lo lodò e pensò all’infedele Sua Patria… […] su dieci lebbrosi guariti da Gesù uno soltanto provò immediatamente il bisogno di ringraziarlo: ed era un Samaritano. Gli altri pensavano, forse, che la loro qualità di Giudei conferisse loro una specie di diritto al miracolo? Oppure credevano che la cosa più urgente fosse quella di presentarsi ai sacerdoti di Gerusalemme? […]. Quest’uomo era un Samaritano, un eretico, un individuo che il Giudaismo scomunicava! In attesa che i Gentili venissero chiamati al regno di Dio, la barriera che separava il “popolo eletto” dalle nazioni pagane si abbassava e cominciava a crollare!»
Giuseppe Ricciotti (Vita di Gesù Cristo, Milano, Mondadori, 1941, vol. II, p. 519) scrive: «Le peregrinazioni di Gesù, frattanto, continuavano; trasferitosi dalla Transgiordania nuovamente nella Giudea, Egli dovette spingersi sin verso la Galilea, donde discese per il Suo ultimo viaggio alla volta di Gerusalemme, passando sui confini tra la Samaria e la Galilea ed entrando in un villaggio, che una tradizione molto tardiva vorrebbe riconoscere in Genin. Allora gli vennero incontro dieci lebbrosi. […]. Strada facendo si trovarono guariti. La felicità della guarigione fece loro dimenticare i doveri della gratitudine e tutti se ne andarono, tranne uno solo. Ora, costui era proprio un Samaritano. Gesù gradì l’omaggio di quello straniero, rilevò che egli solo aveva sentito il dovere della gratitudine …».
Paganesimo e Cristianesimo