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Tutto Kant per tutti, ossia Il Veleno kantiano
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Con Kant trova il proprio perfezionamento, la “rivoluzione copernicana” in filosofia, che - formalmente e definitivamente[1] - volta pagina, iniziando un’epoca e chiudendone un’altra.

Egli domina il pensiero moderno in tutti i settori, non escluso quello religioso, invaso anch’esso tramite il Modernismo, che è uno spurio connubio di kantismo soggettivista e di religione cattolica.

Pertanto è utile offrire al lettore un breve sunto del suo pensiero, che è diventato predominante nel mondo moderno, affinché possa premunirsi contro le sue insidie. Insomma, difronte al veleno kantiano occorre dare un antidoto al lettore che volesse premunirsi dalla puntura di un serpente così velenoso.

Kant è il fondatore del “Criticismo”, che è una sintesi di “Dogmatismo” (ossia di Realismo della conoscenza, secondo cui l’intelletto, per arrivare alla verità, deve conformarsi alla realtà oggettiva ed extramentale) e di “Fenomenismo” (cioè di Soggettivismo, secondo cui il soggetto pensante crea la realtà).

Il Kantismo si è proposto di decostruire la metafisica classica aristotelico/tomistica.

L’opera di Kant si fonda su tre opere: “Critica della ragion pura”, “Critica della ragion pratica” e “Critica del giudizio”.

Critica della ragion pura

L’intelletto umano non conosce l’oggetto o il fenomeno com’è in sé, ma come gli appare; perché il soggetto pensante applica all’oggetto le sue “Categorie a priori o soggettive”, dando così esistenza - costruita dal soggetto pensante - a una “sintesi” di materia (o fenomeno oggettivo) e “Forma a priori e soggettiva”.

Insomma, tutto è immanente nel soggetto pensante e nulla può essergli “imposto” dal difuori; perciò, non c’è più l’adeguazione dell’intelletto all’oggetto extramentale, ma è il pensiero umano che fabbrica la realtà applicando al fenomeno le categorie soggettive innate in esso.

La cosa in sé, chiamata da Kant “Noumeno”, non è conoscibile con la “Ragion pura” (intelligenza), ma la “Ragion pratica” (la volontà) postula ossia esige e richiede l’esistenza del “Noumeno” e specialmente di Dio, dell’essere finito e dell’anima, di cui l’uomo ha un’idea innata a priori, tuttavia non può dire se esistano realmente oppure solo logicamente.

In breve, il fatto che esista l’essere finito, l’Essere per se sussistente e l’anima spirituale è unicamente una persuasione soggettiva del pensiero umano.

Critica della ragion pratica

La Ragion pratica pre/richiede o postula l’esistenza del Noumeno (la cosa in sé: Dio, l’anima e l’essere finito); poiché queste tre “entità” logiche o forse reali sono idee spirituali (soggettive) le quali sono utili per la vita “morale” e socievole dell’uomo.

La “Legge etica” è soggettiva o apriori; ossia, la morale è autonoma e viene dall’uomo ma non da Dio e non è inscritta nello spirito dell’uomo. Dio è solo un postulato soggettivo del pensiero umano, richiesto dalla necessità di vivere eticamente, che soggiace alla vita umana e specialmente sociale.

La “Morale” si divide in 1°)Imperativa” ossia “Assoluta”, vale a dire non ordinata o finalizzata a Dio e in 2°)Categorica” cioè il “dovere per il dovere” senza nessun fine da raggiungere tramite la morale, ma vissuta come fine a se stessa.

Di qui la distinzione tra 1°)Legale”, ossia la legge e la morale finalizzate all’unione con Dio, il che per Kant è un difetto o una negatività e 2°)Morale”, la legge fine a se stessa, il che è positivo.

Critica del giudizio

Essa è il mezzo con cui Kant unifica o sintetizza il “Fenomeno” con il “Noumeno”, ossia la “Ragion pura” con la “Ragion pratica”, ossia l’oggetto con il soggetto.

È molto interessante notare come Kant ritenesse che tale unificazione di queste due entità separate e opposte, si raggiungesse tramite il “Sentimento” o meglio ancora il “Sentimentalismo”, ossia ciò che io sento, che mi commuove e che tocca l’intimo della mia sensibilità, aprendo le porte al Modernismo.

Infine, occorre notare come il “Criticismo” di Kant non sia ancora l’«Idealismo assoluto» di Fichte, Schelling e Hegel, secondo i quali l’io pensante crea la realtà, non solo le forme a priori ma pure il fenomeno o l’oggetto che sollecita, per Kant, la mia conoscenza.

Conclusione

Michele Federico Sciacca scrive che per Kant si conosce solo il fenomeno e non l’essenza delle cose; dunque, la metafisica non è possibile. Inoltre, con il Criticismo kantiano Dio è eliminato dall’ordine del pensiero e della realtà; infatti, solo per il fatto che io ci sono, con le mie esigenze etiche, Dio esiste. Così il sistema kantiano tende e fare a meno di Dio, che viene sostituito dalle Categorie a priori e soggettive o dall’Io pensante, che è il “legislatore” supremo della natura e della morale. Perciò, il pensiero di Kant è fondamentalmente scettico e ateo e, dunque, inconciliabile con la retta ragione naturale e con la dogmatica cattolica (“Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1951, vol. VII, col. 651, voce Kant Immanuel).

Kant ha ripreso gli errori della Sofistica dell’antichità greca (V sec. a. C.), che è l’antimetafisica per eccellenza: essa è caratterizzata da un forte antropocentrismo, accompagnato da un soggettivismo relativistico e termina nel nichilismo metafisico, logico e morale.

Padre Battista Mondin, trattando la Sofistica greca del V secolo a. C., non esita a parlare di “svolta antropocentrica della filosofia[2], la medesima svolta antropocentrica che padre Cornelio Fabro ha notata nel neo/modernismo e specialmente nella nouvelle théologie di Karl Rahner[3].

Molti temi introdotti cinque secoli prima di Cristo dalla Sofistica sono stati ripresi dalla filosofia moderna immanentista e soggettivista.

L’oggetto della Sofistica non è più cosmologico o metafisico ma antropologico, antropocentrico e immanentistico. La Sofistica, riduce tutto all’uomo come fine ultimo e misura di tutte le cose: la filosofia diventa antropologia e antropocentrismo immanentistico, che fa dell’uomo una divinità.

Padre Mondin ha scritto: «Non più Dio, ma l’uomo è contemplato come creatore della realtà. Hegel è il punto culminante e insuperabile della cultura moderna che parte da Occam: epoca che si consuma nell’ateismo o nichilismo assoluto, come esito dell’antropocentrismo o umanesimo assoluto; o Dio s’identifica panteisticamente col mondo, oppure è negato [ateisticamente] o ucciso” [nichilisticamente] come realtà oggettiva in sé e per sé esistente»[4].

Hegel, scavalcando Kant, ha centrato il segno quando ha compendiato la Sofistica nell’antropocentrismo o nella centralità dell’uomo, nel soggettivismo che fa dell’Io, l’assoluto o la divinità immanente al mondo. In breve, ha visto nella Sofistica la prima tappa della sovversione intellettuale, morale e spirituale contro la metafisica e la teologia razionale.

La parte della retorica sofistica chiamata Critica, come avverrà poi proprio con Kant, venne adoperata per scalzare le fondamenta del realismo della conoscenza, della metafisica, dell’etica naturale.

La Sofistica, come il Kantismo, è caratterizzata non solo dall’indifferenza verso il meta/sensibile e il trascendente, ma anche da una vera e propria avversione contro di essi. Quindi non a torto essa è stata definita come “illuminismo greco/antico”[5].

Come si vede ogni errore teologico, politico, sociale, economico e morale lo si trova già espresso in filosofia. Di qui, la necessità di uno studio serio della storia della filosofia (alla luce della metafisica di Aristotele e di S. Tommaso d’Aquino) per capire le moderne deviazioni teologiche, politico/sociali ed economico/finanziarie.

Gli errori della modernità nominalistico/occamista (XIV secolo), umanistica (XV secolo), rinascimentale (XVI secolo), il machiavellismo, il cartesianismo (XVII secolo), l’illuminismo sensista britannico (XVIII secolo), l’idealismo germanico da Kant a Hegel (XIX  secolo) e quelli della post-modernità nichilistica (Nietzsche, Marx, Freud, Scuola di Francoforte e Strutturalismo francese) sono stati posti già nel V secolo a. C. dalla Sofistica, confutata da Platone e soprattutto da Aristotele, che sono i pilastri su cui san Tommaso d’Aquino ha costruito il suo edificio metafisico dell’essere come atto ultimo di ogni perfezione, il quale ha sublimato il concetto platonico di partecipazione e di causalità efficiente e quello del realismo moderato, dell’analogia e della metafisica della sostanza di Aristotele. Se, quindi, vogliamo scrollarci di dosso il giogo dei “sofisti” che dirigono politicamente il “Nuovo Ordine Mondiale” e teologicamente “l’Onu delle religioni” dobbiamo ricorrere alla metafisica tomistica come rimedio al logorio del Kantismo moderno e del Modernismo che, come scriveva S. Pio X nell’Enciclica Pascendi (1907), “è un male dell’intelligenza: l’agnosticismo!”.

Contro ogni Sofistica, vale sempre ciò che scriveva Aristotele a proposito di coloro che negano l’evidenza: “Eraclito dice di negare il principio di non contraddizione, ma allora perché va a Megara e non se ne sta tranquillo a casa, pensando di camminare? E perché non si getta nel pozzo, ma si guarda bene dal farlo proprio come se pensasse che cadere non è lo stesso che non cadere?” (Metafisica, IV, 4, 1008 b). Onde “lo scettico coerente dovrebbe chiudersi nel mutismo assoluto, perché parlare vuol dire avere ed esprimere certezze. Quindi Cratilo finì col tacere e muoveva solamente il dito” (Aristotele, Metafisica, IV, 5, 1010 a). In breve, ogni uomo fuori della discussione filosofica è immancabilmente realista e per colui, che diventa idealista nell’atto di filosofare vale sempre ciò che scriveva Aristotele riguardo ai sofisti del suo tempo: “Non si crede a tutto ciò che si dice” (Metafisica, IV, 3, 1005 b). Infatti, lo scettico Pirrone “per coerenza si sforzava di non badare ai precipizi, ma, assalito da un cane, s’impaurì, ben distinguendo un cane da un agnello” (Diogene Laerzio, Raccolta delle vite e delle dottrine dei filosofi, IX, 2). Poi Aristotele concludeva: “È ridicolo andare in cerca di ragioni contro chi, rifiutando il valore della ragione, non vuol ragionare” (Metafisica, IV, 4).

d. Curzio  Nitoglia



[1] Questa “rivoluzione antimetafisica” era iniziata con Guglielmo di Occam (XIV secolo), era avanzata con l’Umanesimo e il Rinascimento (Quattro/Cinquecento), aveva imboccato la strada del Soggettivismo teoretico con Cartesio (XVII secolo) per prorompere nel XVIII secolo con il Kantismo. Padre Gabriele Roschini (La Santa Messa. Breve esposizione dogmatica, II ed., Frigento, CME, 2010, p. 11-13) scrive: «L’età moderna, iniziatasi con l’umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’io, che il Medio Evo aveva mortificato in omaggio a Dio. Per riconquistare quest’io, mortificato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’io dall’autorità religiosa. Venne Cartesio e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’io dalla filosofia tradizionale, ossia dalla filosofia perenne che è l’unica vera; emancipazione filosofica poi agli ultimi termini da Kant, da Hegel, ecc… . Venne Rousseau e con i suoi principi sociali rivoluzionari segnò l’emancipazione dell’io dall’autorità civile. Questa continua, progressiva emancipazione dell’io ha poi culminato nella divinizzazione dell'io medesimo e nella conseguente umanizzazione, o meglio, distruzione di Dio. Si è avuta così l’uccisione nicciana di Dio in omaggio all’io. Dio è luce, amore, letizia, ha cantato il Poeta: “Luce intellettual, piena d’amore” (Paradiso, XXX, 40-42). Tolto di mezzo Dio, si son tolti di mezzo la luce, l’amore e la letizia; e si è avuto tutto l’opposto, vale a dire: tenebre, odio, tristezza. Si è avuto, così, l’uomo finito, ossia un cadavere ambulante, cui quadra a pennello l’epitaffio che aveva preparato il Papini per se stesso, prima che fosse risollevato dalla fede di Cristo: “L’ascensione metafisica di me stesso è fallita. Sono una cosa e non un uomo. Toccatemi! Sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. Qui è sotterrato un uomo che non poté diventare Dio”. La conquista si è mutata in disfatta».

[2] B. Mondin, Storia della metafisica, Bologna, ESD, 1998, vol. 1°, p. 105.

[3] C. Fabro, La svolta antropocentrica di Karl Rahner, Milano, Rusconi, 1974.

[4] B. Mondin, Storia della metafisica, Bologna, ESD, 1998, 3° vol., p. 373.

[5] Cfr. G. Saitta, L’illuminismo della sofistica greca, Milano, 1938. Cfr. S. Vanni Rovighi, Introduzione allo studio di Kant, Brescia, Milano, 1945; G. Mattiussi, Il veleno kantiano, Monza, 1907, II ed., Roma, 1914.

 

 
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