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I Rothschild: una delle “grandi famiglie” che dominano il mondo
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  La battaglia finale tra i Rothschild e i Lazard

Prima parte

I Lazard

Martine Orange nel suo libro molto ben documentato, Rothschild, une banque au pouvoir (Paris, Albin Michel, 2012), spiega che i Lazard (ossia i principali rivali dei Rothschild a partire dal 1880 e poi dal 1989 loro alleati) sono una famiglia israelitica originaria del Lichtenstad nella Boemia occidentale, ossia nell’attuale Repubblica ceca.

Il capostipite della banca era Abraham (1745 – 1833), egli era un venditore di pellame, che durante la Rivoluzione francese si era trasferito con la sua famiglia nella Lorena francese. Suo nipote Alexandre nel 1840 emigrò negli Stati Uniti (a differenza dei Rothschild che restarono principalmente in Europa) e nel 1869 sposò Lucie Oulman. Nel 1848 Alexandre fondò a New Orleans (in Louisiana) una ditta d’attività commerciale, chiamata Lazard Brothers, specializzata nel commercio di caffè, zucchero e tessuti di cotone.

Tuttavia, il colpo grosso dei Lazard avvenne quando, approfittando della corsa alla ricerca dell’oro, i fratelli Lazard aprirono una filiale anche a San Francisco, assieme al loro cugino Alexandre Weill (1834 – 1906); frattanto nel 1852 Alexandre Lazard tornava a Parigi per aprire la banca Lazard Frères (cfr. G. De Rougemont, Lazard Frères, banquiers des deux mondes, Parigi, Fayard, 2010), mettendo così i piedi in due Continenti, a differenza dei Rothschild che privilegiarono l’Inghilterra e l’Europa continentale pur non disprezzando il Nuovo Mondo, ma non avendo in esso l’influenza esercitatavi dai Lazard.

Alexandre Weill, il socio dei fratelli Lazard, nel 1880 aprì un’importante sede a Wall Street e divenne il principale esportatore d’oro tra l’Europa e gli USA.

La “guerra finanziaria” Rothschild/Lazard

Essendo tornato nel 1880 pure lui in Francia, il giovane Weill, dovette affrontare i fratelli Rothschild che allora erano egemoni nella finanza del Vecchio Continente. La lotta fu dura e divenne una vera e propria guerra finanziaria che ebbe termine soltanto nel 1989 (cfr. M. Orange, Ces Messieurs de Lazard. Parigi, Albin Michel, 2006).

Siccome i Lazard non avevano avuto figli maschi, la ricchezza dei Lazard/Weill passò interamente nelle mani di David Weill (1871 – 1952).

Nel 1924 David Weill contribuì a preservare il franco francese dalla svalutazione, che dopo la fine della guerra sembrava inevitabile, fu così che la banca Lazard (oramai guidata da David Weill) cominciò ad avere rapporti molto stretti con l’Amministrazione pubblica francese, divenendo poi in tal modo anche amica stretta del futuro Presidente Mitterrand, che espropriò nel 1980 la banca Rothschild) e David Weill divenne Reggente della Banca di Francia.

Tuttavia, nella grave crisi economica del 1929, la banca Lazard rischiò di andar fallita, chi la salvò dal tracollo fu un geniale agente di cambio, André Meyer, che in séguito divenne anche sovrintendente del “piano Marshall” statunitense e consulente finanziario dei Presidenti Kennedy e Lyndon Johnson.

Nel 1979, quando morì André Meyer, il nuovo dirigente della banca fu Michel David Weill, la cui moglie era la nipote dell’industriale automobilistico François Lehideux e di Françoise Renault, che era imparentata con i Du Pont e gli Stern.

Inoltre, sin dal 1958 la Lazard era diventata azionista di due colossi di casa Rothschild operanti in Italia: Mediobanca e Generali Assicurazioni (cfr. P. Ratto, I Rothschild, Bologna, Arianna Editrice, III ed., 2020, p. 142).

Tornando al nostro tema principale (i Rothschild) si può dire che il loro errore capitale, che negli anni Ottanta del secolo scorso li portò vicino alla bancarotta, almeno in Francia, fu proprio quello di non aver avuto una base in America del Nord, come invece avevano fatto i Lazard.

Tuttavia, verso il 1988 i Rothschild tentarono la conquista del mercato americano, acquistando un colosso americano dell’editoria (Macmillian Inc.), uno del legno (Crown Zellerbach) e un altro delle macchine da scrivere (Smith Corona) e iniziarono ad allearsi con i Lazard, in perfetta linea con la filosofia della nuova Finanza Internazionale, secondo cui “conviene molto più allearsi che fare la guerra”.

Inoltre, i Rothschild ottennero l’incarico di gestire le finanze del Kazakhistan, occupandosi della privatizzazione delle sue industrie e dello sfruttamento dei suoi giacimenti petroliferi.

Essi si occuparono anche della ristrutturazione di aziende in crisi o già fallite, come – ad esempio – la catena degli alberghi di super lusso (Taj Mahal) di Donald Trump (cfr. P. Ratto, cit., p. 66).

Perciò, i Rothschild di Francia e Inghilterra – attorno alla fine degli anni Ottanta del Novecento – iniziarono a unire le loro forze come avevano fatto lungo tutto il corso dell’Ottocento e della prima metà del Novecento.

Nel 2007, infine, il ramo inglese ha venduto il suo pacchetto azionario a quello francese di modo che ora Parigi, avendo soppiantato il ramo britannico, dirige per intero la Banca Rothschild.

L’editore e finanziere Arnaud Lagardère, che si trova alla guida del “Gruppo Lagardère”, è proprietario di numerose casi editrici tra le quali Hachette e Larousse ed è un uomo dei Rothschild. Il Presidente onorario dell’Editrice Hachette sino al 1989 è stato Edmond de Rothschild. Arnaud Lagardère è uno dei principali finanziatori della Forza di Difesa Israeliana (IDF), che esercita il controllo militare d’Israele sui Territori palestinesi occupati. Ora uno dei capi dell’IDF è stato il generale Daniel Rothschild, ex braccio destro di Moshe Levy, l’attuale Direttore dell’Istituto di Politica e Strategia (IPS) del Ministero della Difesa Israeliano.

Queste sono le notizie che ci portano all’attualità delle vicende della famiglia Rothschild che abbiamo seguìto – in circa due anni per quaranta puntate – a partire dalla sua nascita bancaria a Francoforte nel 1744.

Ora lascio il lavoro ad altri molto più competenti di me nelle questioni attuali di finanza e di politica.

Io ho cercato semplicemente di studiare quale influsso abbia esercitato la famiglia Rothschild e con essa l’Alta Finanza sulla storia europea negli ultimi due secoli.

Prima di chiudere definitivamente il ciclo cerco di riassumere quanto visto sino a ora.

Seconda parte

Conclusione ricapitolativa

La guerra occulta  

Spesso, 1°) da una parte si tende a negare ogni influsso dell’alta finanza sulla storia moderna, mentre 2°) dall’altra parte si cerca di vedere solo quest’influsso, trascurandone ogni altro, ad esempio quello delle idee; ossia, dei filosofi e dei teologi, che sono all’origine delle rivoluzioni politiche e socio/economiche.

Ora la modernità certamente ha conosciuto un influsso sempre più forte della finanza sulla vita umana sia sociale, sia familiare, che individuale (si vedano ad esempio il liberismo e il socialismo). Tuttavia, le idee che stanno alla base di ogni movimento filosofico hanno fortemente determinato grandi cambiamenti nella storia. I gravi errori o le grandi conquiste in campo teologico, politico e morale sono spesso preceduti da errori o verità filosofiche, che la ragione umana ha sempre cercato di investigare e di mettere a fuoco.

Padre Gabriele Roschini scriveva: «L’età moderna, iniziatasi con l’umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’Io, che il Medio Evo aveva mortificato in omaggio a Dio. Per riconquistare quest’Io, mortificato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’Io dall’autorità religiosa. Venne Cartesio e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’Io dalla filosofia tradizionale, ossia dalla filosofia perenne che è l’unica vera; emancipazione filosofica poi agli ultimi termini da Kant, da Hegel, ecc… . Venne Rousseau e con i suoi principi sociali rivoluzionari segnò l’emancipazione dell’Io dall’autorità civile. Questa continua, progressiva emancipazione dell’Io ha poi culminato nella divinizzazione dell'io medesimo e nella conseguente umanizzazione, o meglio, distruzione di Dio. Si è avuta così l’uccisione nicciana di Dio in omaggio all’Io. Dio è luce, amore, letizia, ha cantato il Poeta: “Luce intellettual, piena d’amore; / amore di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogni dolzore” (Paradiso, XXX, 40-42). Tolto di mezzo Dio, si son tolti di mezzo pure la luce, l’amore e la letizia; e si è avuto tutto l’opposto, vale a dire: tenebre, odio, tristezza. Si è avuto, così, l’uomo finito, ossia un cadavere ambulante.

Certamente, l’Umanesimo e il Rinascimento hanno influito sulla cultura filosofica, teologica, letteraria e artistica dell’Europa del XIV-XVI secolo, ma non si può dimenticare che senza l’oro dei Medici, Ficino e Pico non avrebbero potuto filosofeggiare così tranquillamente come fecero. Perciò è bene vedere le due facce della medaglia, quella culturale e quella finanziaria, che sino a qualche tempo fa, andavano ancora a braccetto, mentre oggi sembrerebbe che l’oro abbia occupato quasi completamente il posto lasciato libero dallo spirito e dalle idee.

È innegabile che da una certa filosofia (ad esempio, il materialismo) ne segua immancabilmente una certa forma politica, sociale e teologica (il marxismo, il bolscevismo e l’ateismo di Stato). Tutte le eresie teologiche son precedute da sofismi filosofici e dopo di esse si arriva fatalmente alle rivoluzioni politiche più o meno cruente in cui agisce il boia (Donoso Cortes).

Perciò, mi sembra molto opportuno cercare di cimentarci con lo studio dell’influsso dell’alta finanza sulla storia umana, che si è sviluppato soprattutto negli ultimi tre secoli.

In questo studio sui Rothschild, che termina con questo capitolo, ho cercato di evitare ogni semplificazione e generalizzazione, ma nello stesso tempo non ho chiuso gli occhi davanti a una realtà (quella dell’alta finanza), la quale ha avuto anch’essa il suo ruolo nella nostra storia. Purtroppo con la fine del Novecento, è morto il primato (anche se non totalmente) della cultura (filosofica, teologica, artistica, musicale) soprattutto nella nostra cara Europa ed esso è stato rimpiazzato quasi completamente dallo sviluppo tecnologico, finanziario che, nella maggior parte dei casi, è diventato inversamente proporzionato a quello raziocinativo.

Notiamo, soprattutto oggi, in occasione del post-Covid/19, come la scuola, la politica e anche gli uomini di Chiesa siano quasi totalmente “vacanti”, assenti, eclissati e abbiano lasciato il campo alla farmacologia o meglio alla speculazione dell’industria farmaceutica su un virus, che sembra essere diventato la nuova “divinità” dell’umanità del 2020/23. Tuttavia, sarebbe errato non vedere che all’origine e alla fine di quest’«affaristica farmaceutica» vi è una concezione filosofica: il Trans/umanesimo (“fa il male, evita il bene, questo è il meta/umano”), che è una forma di panteismo meccanicizzato, robotizzato e farmacologicamente ottenuto, tramite l’eugenetica delle nano/particelle e il ribaltamento della sinderesi (“fa il bene, evita il male, questo è tutto l’uomo”). Perciò, il ruolo dell’alta finanza, in questa tristissima era di profonda crisi logica e teologica, è senz’altro enorme, ma non va sottovalutato neppure quello se non filosofico/teologico, almeno ideologico. Inoltre, anche gli affaristi hanno una loro filosofia più o meno materialistica, sia essa liberista e individualista o socialista e collettivista. Non dimentichiamo i vari “imprenditori/mecenati”: Mattioli, Cuccia, Beneduce, La Malfa, De Benedetti, Berlusconi… che hanno influito sull’economia dell’Italia, ma non meno sulla sua cultura, però… erano altri tempi… oggi ci troviamo difronte Bill Gates, Klaus Schwab, Noah Harari… .

Comunque è innegabile che senza conoscere delle realtà come il Bilderberg, la Trilateral, il CFR o la Mont Pélerin Society è molto difficile poter appurare quello che succede nel mondo almeno a partire dagli anni Cinquanta.

L’Alta finanza e la storia dell’umanità

Studiando i comuni libri di storia moderna raramente s’incontra il nome delle famiglie Rothschild[1], Warburg[2], Rockefeller[3], Elkann, Lazard[4]. Eppure, dalla fine del Settecento, esse hanno esercitato un’influenza enorme sulla storia umana, sia quanto al punto di vista finanziario che politico.

Queste dinastie di banchieri appartenenti all’alta finanza, soprattutto dal XVIII secolo, si sono quasi tutte imparentate tra di loro, quando i loro capifamiglia capirono l’importanza di non farsi la guerra o la concorrenza, ma di unire le loro forze per ottenere il dominio del mercato finanziario sul mondo intero e quindi, indirettamente, anche del potere politico e sociale.

Così facendo queste famiglie hanno saputo prestare soldi ai sovrani di quasi tutto il mondo per diventare poi, pian piano e sempre di più, i padroni monetari dei loro stessi sovrani politici, che si erano fatti loro creditori economici.

Col predominio della borghesia sull’aristocrazia (XVIII secolo) queste famiglie di banchieri divennero, man mano, il potere nascosto, lo Stato profondo e più forte delle nazioni, che venivano ancora apparentemente dirette con le leggi e con la forza dai monarchi, ma che in realtà dipendevano dal denaro degli “gnomi” dell’alta finanza con i quali i prìncipi si erano indebitati.

Oramai i regni e i principati non erano più sostanzialmente territoriali, politici, giuridici e legislativi, ma iniziavano a essere soprattutto economico/finanziari; essi iniziarono a nascere in Europa per trasferirsi poi nel “Nuovo Mondo”. I finanzieri europei dopo aver conquistato economicamente le corti del “Vecchio Continente” si spostarono nelle Americhe (e soprattutto nel nord-America) non senza avere lasciato alcuni loro congiunti a continuare l’opera iniziata in Europa e avendo già un occhio puntato anche sul Medio, Vicino ed Estremo Oriente.

Non si riesce a capire pienamente ciò che sta sotto le vicende della storia umana, se non si studia anche (ma non esclusivamente) la storia delle famiglie di questi banchieri apolidi, che si spostano da una parte all’altra del mondo per dominarlo tutto intero finanziariamente e conseguentemente anche politicamente e militarmente. Costoro, infatti, avevano capito che questa è la conditio sine qua non per dirigerlo, senza dare nell’occhio, anche politicamente nascondendosi dietro le apparenze dei politici (siano re o presidenti repubblicani), essendo il denaro finalizzato per lo più al potere, come l’avarizia è dipendente dall’orgoglio e relativa a esso.

I banchieri sono i veri i registi che dirigono gli attori (i governanti politici) e fanno far loro quello che è più utile per le loro finanze e per la loro smisurata smania di potere. In breve, sono i burattinai che dirigono i fili, che fanno muovere le comparse sul palcoscenico, che è molto simile alla scena di questo mondo in cui si gioca una commedia, un dramma o una tragedia, della quale noi vediamo, studiamo – superficialmente – specialmente gli attori o le comparse, ma della quale – sostanzialmente – ci sfuggono in gran parte i registi, che nella maggior parte dei casi rimangono nell’ombra e non vengono citati neppure nei migliori libri di storia moderna e contemporanea, se non en passant.

Certamente non si può ridurre tutta la storia solo allo studio di queste entità dell’alta finanza, ma neppure si possono ignorarle completamente come se non avessero diretto, tramite i politici, le sorti del mondo almeno dalla metà del Settecento.

Il denaro, l’economia e l’affaristica bancaria

Economia significa “governo della famiglia o del focolare domestico” (dal greco “òikos, casa” e “némein, governare”). La famiglia – secondo Aristotele (Polit., A, 3, 1253b, 8-14) e san Tommaso d’Aquino (S. Th., II-II, q. 47, aa. 11-12; ivi, q. 50, aa. 1-3) – è la cellula che forma lo Stato, il quale è un insieme di più  famiglie.

L’economia innanzitutto è la virtù del buon ordinamento familiare, quindi essa si occupa delle relazioni tra i membri di una famiglia o della convivenza nell’ambito del focolare domestico, cioè tra moglie e marito, genitori e figli, padroni e servitù (la pace e l’armonia interna alla famiglia).

In secondo luogo l’economia si occupa di tutto ciò che può essere posseduto e governato dalla famiglia, ossia delle relazioni, che derivano dalle condizioni di sussistenza della famiglia, cioè le relazioni tra le persone in ciò che concerne i loro bisogni di beni esterni o ricchezze reali (benessere comune temporale familiare).

La ricchezza o il benessere materiale ha rapporto con la prudenza economica non come fine ultimo, ma come causa strumentale, in ordine al raggiungimento del fine ultimo, ossia la ricchezza è un mezzo di cui la famiglia si serve per vivere virtuosamente e unirsi a Dio (S. Th., II-II, q. 50, a. 3, ad 1; ivi, q. 47, a. 12). Sempre per l’Angelico è del tutto lecito avere un’ordinata sollecitudine per procurare il necessario per sé e per la propria famiglia e anche in previsione delle necessità future (S. Th., II-II, q. 55, a. 6, ad 2; ivi, a. 7). Solo la preoccupazione disordinata dei beni materiali è riprovevole poiché antepone i beni terreni a quelli ultraterreni.

L’economia classica studia prima la famiglia in sé considerata e poi il benessere comune materiale di essa (cfr. S. Th., II-II, q. 47,5 a. 11; ivi, q. 50, a. 3; Commento all’Etica di Aristotele, lez. 1). Il suo rovesciamento è l’affaristica moderna, che è l’arte di arricchirsi come fine ultimo dell’uomo e delle famiglie. Se alla sana economia familiare segue l’ordine sociale o la politica tradizionale, che si fonda sul diritto naturale, all’affaristica segue la plutocrazia, che è il governo della finanza bancaria su questo mondo in vista dei beni di questo mondo et non plus ultra.

Studiando l’esordio della storia della famiglia Rothschild si costata che, con il predominio della borghesia super/capitalistica e soprattutto dell’alta finanza bancaria, il denaro divenne l’arma più potente per governare – da “dietro le quinte” – il mondo, tramite l’intermediario dei politici che apparivano sulla scena, ma che oramai dipendevano dagli ordini dei banchieri dei quali erano diventati debitori.

Secondo san Tommaso d’Aquino (Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, capp. 5-6; S. Th., II-II, q. 47, a. 11; ivi; q. 50, a. 3) la moneta è una parte ausiliatrice dell’economia (prudenza familiare) e della politica (prudenza sociale), cioè essa fornisce all’economia (famiglia) e alla politica (Stato) lo strumento di cui esse hanno bisogno, poiché è finalizzata ad aiutare le famiglie per acquistare i beni materiali richiesti, mediante un semplice scambio monetario, e poter pensare meglio alla vita virtuosa. Insomma, la ricchezza è un mezzo subordinato al bene comune temporale politico (fine intermedio), che deve aiutare gli uomini a conseguire quello spirituale (fine ultimo).

Invece, nella crematistica bancaria odierna (nata con il monopolio delle grandi banche ebraiche del XVIII secolo) l’uomo è subordinato alla produzione di beni reali e questi sono subordinati alla ricchezza “simbolica” o “rappresentata” dal denaro. Col dominio dell’alta finanza il fine ultimo dell’uomo diviene, perciò, la ricchezza, che rimpiazza gli Stati i quali dovevano assicurare il benessere comune temporale ai cittadini, subordinatamente a quello spirituale.

Nel De regimine principum (lib. I, cap. 15) l’Angelico spiega ancor meglio che affinché l’uomo possa vivere virtuosamente son richieste due cose: “L’azione virtuosa in sé e una presenza sufficiente di beni materiali il cui uso è necessario per vivere bene”.  Inoltre, insegna che “per ottenere la felicità imperfetta in questa vita, sono necessari anche dei beni materiali, non come essenziali alla felicità, ma in quanto servono come strumenti per ottenere la felicità di una vita virtuosa; infatti in questa vita l’uomo che è composto di anima e corpo deve poter provvedere anche al mantenimento dei suoi bisogni materiali” (S. Th., I-II, q. 4, a. 7).

L’Angelico aveva già previsto il lato pericoloso del denaro scrivendo: “La moneta o ricchezza simbolica e non reale perde ogni valore e utilità per la soddisfazione dei bisogni umani, se cambia il concetto che l’uomo ha sulla misura di valore della moneta, ossia se coloro che la maneggiano, cambiano il loro parere sulla di lei capacità di misurare il valore delle cose reali. Le monete divengono, allora, senza alcun valore per gli scambi della vita, se i dirigenti della Società decretano la loro svalutazione” (Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, lez. 7), negando il loro carattere di misura stabile del valore dei beni reali.

San Tommaso (Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, lez. 7) spiega che l’arte di coniar moneta aiuta come causa strumentale (come il pennello aiuta il pittore) l’economia, dandole  gli arnesi o gli strumenti di cui ha bisogno e non l’aiuta come causa materiale (come il marmo aiuta l’artista per fare una statua). La moneta, come misura stabile del valore dei beni di natura, perciò è lo strumento e non la materia dell’economia.

La causa materiale dell’economia sono le relazioni mutue degli uomini riuniti in una famiglia, che usano i vari mezzi di ricchezza artificiale di scambio, simbolica o monetaria per ottenere il benessere comune. Ora il possedere la ricchezza reale è connaturale all’uomo, poiché il nutrimento, il vestito, il terreno e l’abitazione sono cose necessarie alla vita umana; invece il possesso della moneta, come misura stabile del valore dei beni di natura, non proviene direttamente dalla natura dell’uomo, poiché la moneta è stata inventata dall’uomo per sovvenire alle necessità della vita.

In effetti, possedere la moneta somiglia ma non è identico al possedere una ricchezza reale poiché è grazie a questo mezzo che ci si può procurare facilmente ciò che è necessario alla vita umana individuale, familiare e sociale. Grazie alla moneta ci si può procurare i beni necessari alla vita più facilmente che con il baratto, inoltre aver sufficienti questi beni aiuta a condurre più facilmente una vita virtuosa.

Nel mondo moderno in cui lo scambio di beni reali avviene anche a grande distanza, la moneta come mezzo di scambio di beni tra due parti, è diventata indispensabile. All’inizio ci si è serviti di una determinata quantità di oro, argento o bronzo – utili dappertutto, non corruttibili e facilmente trasportabili – poi si è impresso un sigillo su di essi che indicasse il loro peso o quantità. Infine, si è giunti all’arte di cambiare le valute di un Paese con la valùta di un altro Paese. Questa seconda maniera di cambiare la valuta con un’altra, che si è sostituita alla prima maniera di cambiare una valuta con un bene naturale e reale, può contenere l’insidia di essere praticata non per le necessità della vita, ma per il profitto (cfr. San Tommaso d’Aquino, Commento alla Politica di Aristotele, lib. I, lez. 7; S. Th., II-II, q. 77, a. 4); ora, la cupidigia del profitto non conosce limite e tende a scambiare il mezzo con il fine e a fare della ricchezza lo scopo ultimo della vita umana. Perciò, è necessario moderare l’uso del cambio delle monete in un commercio finalizzato al mantenimento onesto di sé, della propria famiglia, del bene comune della Società o del proprio Paese, senza fare del guadagno il fine del commercio, ma si deve concepirlo solamente come la legittima ricompensa o salario del proprio lavoro.

Infatti, senza il cambio delle valute, molti Stati non potrebbero soddisfare certe necessità di avere merci naturali mediante il mercanteggiamento. Perciò, l’arte del cambio delle valute deve essere autorizzato dallo Stato, non per il profitto personale come fine, ma solo nella misura in cui aiuta i bisogni reali dell’economia e della politica. I cambiavalute possono tirare un certo profitto dal loro sforzo lavorativo poiché esercitano un mestiere che è legale e utile all’uomo, alla famiglia e allo Stato (cfr. Tommaso de Vio, De cambiis, cap. 5). L’essenziale è che il commercio e il cambio delle valute siano ordinati al bene comune della famiglia (economia) e dello Stato (politica) e non esclusivamente all’arricchimento personale concepito come il fine ultimo dell’uomo (crematistica) e alla “creazione” di ricchezza apparente mediante l’emissione di carta moneta alla quale non corrisponde una ricchezza reale.

In breve, per l’Angelico il commercio non è intrinsecamente vizioso poiché può essere indirizzato a un buon fine (bene comune della società); se, invece, è ordinato all’arricchimento in se stesso come fine, allora diventa un vizio che si chiama avarizia, mentre, la ricchezza deve essere finalizzata a sovvenire alle necessità di questa vita (cfr. S. Th., II-II, q. 30, a. 4).

Per l’Aquinate (S. Th., I-II, q. 9, a. 1) siccome la moneta è stata inventata per facilitare gli scambi, servendo da misura per la compra-vendita (S. Th., I-II, q. 9, a. 1), per natura essa è uno strumento (e non un fine) ordinato ad aiutare l’uomo a procurarsi i beni sufficienti richiesti per sé e per la sua famiglia affinché possano vivere virtuosamente. Perciò è contro la natura della moneta se la produzione e la distribuzione dei beni di natura dovessero conformarsi alle esigenze della produzione della moneta, mentre l’ordine naturale è tutto il contrario, ossia la moneta – come misura stabile del valore dei beni di natura – deve conformarsi a facilitare lo scambio dei beni prodotti. La moneta e la finanziaria sono serve o strumenti dell’economia. Invece oggi ne son diventate i padroni, mentre le famiglie (economia) e lo Stato (politica) son divenuti gli schiavi della crematistica o finanziaria.

Lo Stato deve vigilare affinché la finanziaria non s’impadronisca del controllo del governo. Infatti, la moneta, come misura stabile del valore dei beni di natura, è uno strumento al servizio della famiglia e dalla polis e non è la loro padrona. Se lo Stato non riesce a obbligare la finanziaria a praticare e osservare la giustizia sociale, che ha per oggetto il bene comune e non l’arricchimento del banchiere, la nazione ne soffrirà grandemente divenendo la schiava della finanziaria e non garantendo più il benessere comune sociale.

L’instabilità della moneta, la precarietà del lavoro, la disoccupazione costante e la svalutazione crescente sono le conseguenze ultime della crematistica bancaria, che ha sovvertito la sana economia. Da questo disordine finanziario alla Rivoluzione sociale il passo è breve.

I veri registi della storia umana a partire della fine del XVIII secolo sono stati, perciò, proprio quelle famiglie (tra cui “eccellono” i Rothschild) di cui non si parla nei libri di storia, limitandosi a studiare le gesta degli attori mossi dai registi o dei “pupi” mossi dai “pupari”.

Come si vede esistono due concezioni diametralmente opposte dell’uomo, della famiglia e dello Stato.

Da una parte la plutocrazia o il regno di Mammona, che fa della ricchezza materiale il fine ultimo dell’uomo e sottomette sia l’individuo sia lo Stato alla finanza. Il suo “dio” è l’oro. Essa è caratterizzata dal disordine delle passioni e specialmente dall’avarizia, che assieme all’orgoglio e alla sensualità è una delle tre concupiscenze, triste retaggio del peccato originale e forza propulsiva del male e dell’errore. L’instabilità, la smania e la ricerca frenetica del benessere materiale contraddistinguono la plutocrazia.

Dall’altra parte v’è la vera e sana economia, la quale dirige con prudenza la famiglia o il focolare domestico al suo fine prossimo (ordine interno e benessere temporale) subordinatamente al fine ultimo (Dio conosciuto, amato e posseduto). La famiglia in se stessa trova il suo ordine interno e la sua stabilità se si fonda sul matrimonio, in vista della generazione e dell’educazione della prole, in collaborazione gerarchica tra figli, madre e padre. Inoltre, la famiglia ha bisogno come ogni creatura di questo mondo di un certo benessere materiale, come mezzo, per vivere virtuosamente e cogliere il fine ultimo più facilmente. Di qui la necessità di scegliere i mezzi materiali o ricchezze reali e naturali che meglio si prestano a far cogliere alla famiglia il suo fine prossimo (benessere comune materiale/vita virtuosa) subordinato al fine ultimo (Dio).

La moneta è intesa solo come mezzo e misura di scambio dei beni naturali, per aiutare le famiglie a procurarsi ciò di cui i loro membri hanno bisogno per vivere nel campo materiale sufficientemente bene e moralmente in maniera virtuosa onde cogliere la Beatitudine eterna. La ricchezza monetaria e naturale è un aiuto alla sana costituzione e conduzione della famiglia e non il suo fine. La sana economia, al contrario della plutocrazia bancaria moderna, si fonda sull’ordine delle virtù, sulla stabilità e il risparmio in vista della ricerca del vero e del bene che in sommo grado è Dio.

L’avarizia indica un attaccamento disordinato ai beni di questa terra, specialmente al denaro e alle diverse forme di ricchezza materiale[5]. Essa è connessa con l’avidità, la bramosia, la cupidigia e l’invidia del bene altrui[6]. L’elemento più importante, quanto all’avarizia, è l’atteggiamento deviato dell’uomo nei confronti dei beni materiali e del denaro, che non sono cattivi in sé, ma, se ci si è attaccati esageratamente, diventano viziosi a causa della nostra cattiva e disordinata volontà. Perciò, è l’atteggiamento, normale o esagerato, della volontà umana riguardo ai beni materiali che è buono o cattivo a seconda che si faccia di essi un mezzo (virtù, che ordina i mezzi al fine, le creature al Creatore) o un fine (vizio, che scambia il fine per i mezzi, il Creatore per le creature).

Ora il fine dei beni materiali e specialmente del denaro è quello d’essere usati dall’uomo per riuscire a sussistere almeno sufficientemente. Dobbiamo servirci delle ricchezze e non servirle, averle nelle mani e non nel cuore!

L’avarizia porta, dunque, ad adottare nei riguardi dei beni perituri un atteggiamento disordinato e quasi patologico, conferendo loro un valore assoluto per se stessi e non relativo al fine dell’uomo, godendo non del loro uso, ma del loro possesso: li si ha nel cuore e se ne diventa schiavi[7]. Invece la definizione dei mezzi è: “Ea quae sunt ad finem (ciò che è ordinato al conseguimento del fine)”.

Dio e Mammona, economia e plutocrazia sono due “amori” incompatibili e si escludono l’un l’altro. “Nessuno può servire due padroni. O odierà l’uno e amerà l’altro, oppure preferirà l’altro e disprezzerà il primo. Non potete servire Dio e Mammona” (Lc., XVI, 13). San Giovanni Crisostomo commenta: «L’uomo quanto più si attacca al denaro si allontana da Dio, quest’amore vizioso dei beni finiti scaccia dall’anima umana ogni altro amore»[8].

Nella Somma Teologica (I-II, q. 84, a. 1) san Tommaso scrive che «L’avarizia è “radice di ogni peccato (v. San Paolo, I Epistola a Tim., VI, 10)”» e spiega il perché: “L’amore smodato delle ricchezze aiuta a far crescere ogni altro cattivo desiderio [compreso l’orgoglio]” (S. Th., I-II, q. 84, a. 1). Mentre «l’orgoglio è “inizio o principio di ogni peccato, come dice l’Ecclesiastico, X, 45”» (a. 2), in quanto l’orgoglio è un amore disordinato della propria eccellenza, che si ottiene soprattutto cercando il maggiore acquisto delle ricchezze temporali e così viene a coincidere con l’avarizia, che è la radice di tutti i peccati. Come si vede, avarizia e orgoglio, secondo san Tommaso, “vengono a coincidere”. Perciò la plutocrazia contiene in sé un orgoglio radicalmente luciferino.

Tutto ciò ci fa capire anche perché il mondo sia sprofondato sempre più verso “il pozzo dell’abisso” (Apoc., IX, 1). Infatti, esso a partire dal Settecento è stato dominato dal culto del denaro e del “vitello d’oro” (Ex., XXXII, 4). Studiando la storia delle famiglie dei banchieri, che hanno nei Rothschild, Rockefeller, Worms, Warburg i principali rappresentanti, abbiamo visto come questo potere dell’alta finanza diverrà man mano sempre più forte sino a dirigere completamente le nazioni e i governi.

La dottrina sociale della Chiesa propone come rimedio possibile a tanto sfacelo (plutocrazia/collettivismo) l’unica via che si deve e si può percorrere: la frugalità contro il consumismo che spinge a spendere e spandere, indebitarsi e rovinarsi l’esistenza.

Il liberalismo nasce dall’illusione prometeica del “progresso e sviluppo all’infinito”. Pio IX nella sua Enciclica Quanta cura e nel Syllabus (entrambi dell’8 dicembre 1864) aveva condannato sia l’illusione social/comunista sia quella liberal/liberista, e particolarmente la loro conclusione del “progresso all’infinito” o del “sol dell’avvenire”.

Secondo il buon senso (economia come “virtù della prudenza applicata al focolare domestico”, Aristotele/s. Tommaso) per essere nell’abbondanza basta avere solo pochi, essenziali bisogni, che possono essere soddisfatti normalmente e da tutti. La vita dell’uomo (e di sua moglie) non può e non deve essere assorbita al 60% dal lavoro. Essi devono essere presenti in se stessi, tra loro e con i figli nella famiglia, nella società civile e nella società religiosa, poiché l’uomo ha un’anima spirituale e deve nutrire pure e soprattutto anch’essa.

Il consumismo liberista vive e si regge sull’insoddisfazione dell’uomo borghese o “ricco”, proprio come il social/comunismo che si fonda sul proletario o povero. Senza povero, che odia il ricco, e senza borghese, che si sente insoddisfatto e cerca di ingozzarsi di beni consumistici del tutto superflui, scomparirebbero il social/comunismo, il liberal/liberismo e il potere della banca usuraia.

La “pubblicità” è un’arma di ossessione mentale che crea bisogni inesistenti nella mente del borghese, come la “propaganda” bolscevica creava l’odio di classe nella mente del povero. Sia il borghese liberale sia il proletario socialista si sentono scontenti di ciò che sono ed hanno e desiderano essere ciò che non sono e possedere ciò che non è necessario. Essi sono perennemente frustrati. In più, non avendo la Fede, poiché sia il liberalismo sia il socialismo sono materialisti e atei o almeno agnostici, non hanno la speranza soprannaturale che li aiuterebbe ad affrontare serenamente le difficoltà intrinseche alla vita umana.

Bisogna, dunque, liberarsi della schiavitù della legge del “mercato” di destra (liberismo) e anche di sinistra (socialismo), per poter tornare ad essere veramente uomo, ossia “animale razionale” che conosce e ama, ed “animale sociale”, che dona, riceve e ricambia. Solo la monastica (la prudenza nel singolo individuo), l’economia (la prudenza nella famiglia) e la politica (la prudenza nello Stato) genuine potranno rimettere l’ordine nell’uomo, nella famiglia e nello Stato.

Alla luce di quanto appena scritto si evince l’importanza di conoscere la storia della famiglia Rothschild, che ha diretto le redini degli accadimenti europei dall’Ottocento sino a oggi.

d. Curzio Nitoglia

Fine



[1] Cfr. J. Bouvier, I Rothschild, Roma, Editori Riuniti, Newton Compton, 1984; H. R. Lottman, I Rothschild, storia di una dinastia, Milano, Arnoldo Mondadori, 1994; P. Ratto, I Rothschild e gli Altri, Bologna, Arianna Editrice, 2015; Egone Conte Corti, La famiglia dei Rothschild, Milano, Arnoldo Mondadori, 1938.

[2] Cfr. R. Chernow, I Warburg, Milano, Rizzoli, 1993; P. Ratto, I grandi alleati dei Rothschild. Rockefeller e Warburg. Le famiglie più potenti della terra, Bologna, Arianna Editrice, 2019.

[3] D. Rockefeller, La mia vita, Milano, Arnoldo Mondadori, 2002; J. Abels, I Rockefeller, Milano, Dall’Oglio, 1968.

[4] Cfr. G. De Rougemont, Lazard Frères, banquiers des deux Mondes, Parigi, Fayard, 2010.

[5] S. MASSIMO IL CONFESSORE, Centurie sulla Carità, III, 17-18.

[6] Ibidem, 18.

[7] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a San Matteo, LXXXIII, 2; BASILIO DA CESAREA, Omelie contro i ricchi, VII, 2.

[8] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Discorso: A colui che non nuoce a se stesso, in Opere complete, PG 47-64, 11 voll., Bar-le-Duc, 1863-1867.


 
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