IL FALLIMENTO DELLA PLUTOCRAZIA liberale
Il liberismo fa della ricchezza il fine dell’uomo; infatti, la crematistica o finanziaria è l’arte di arricchirsi ed essa è l’anima della filosofia liberistica, la quale ritiene (come il sensismo o il pragmatismo) che l’uomo sia un animale solo sensibile e non razionale e spirituale. Perciò, i suoi bisogni e il suo fine sono d’ordine puramente materiale, temporale e finanziario.
Invece, la sana ragione e l’esperienza ci dimostrano che l’uomo è essenzialmente diverso dall’animale, che non è solo materia o sensibilità, ma che ha un’anima spirituale, un intelletto fatto per conoscere la verità e una volontà fatta per amare il bene.
Perciò, la sola ricchezza economica e il solo benessere materiale non possono soddisfare l’uomo nella sua parte spirituale o metafisica, che trascende l’ordine puramente fisico.
Ecco perché Aristotele e San Tommaso hanno ben definito l’economia, che è la virtù di governare il focolare domestico 1°) regolando i rapporti tra moglie-marito-figli e 2°) insegnando l’arte di mantenere materialmente (mezzo) i suoi membri per vivere dignitosamente e poter avanzare spiritualmente (fine). Inoltre, hanno distinto l’economia dalla sua degenerazione che è la finanziaria, affaristica, crematistica o pecuniativa cioè l’arte di arricchirsi come fine ultimo. Il liberismo ha distorto la concezione di economia e l’ha fatta diventare finanziaria o affaristica.
Il liberismo è una filosofia materialistica di “destra” o per “super ricchi”, che abbassa l’uomo al livello dell’animale e ha come fine solo il benessere fisico, naturale, materiale. In ciò è simile al marxismo, anche se ne differisce accidentalmente (volendo il liberismo sfruttare il povero come fosse una macchina; mentre il comunismo vuole innalzare la classe operaia a nuova divinità del mondo moderno, tramite la rivolta cruenta e l’odio di classe) come vedremo meglio innanzi.
Per la sana filosofia classica (Aristotele) e scolastica (San Tommaso) la ricchezza è un mezzo che deve bastare a far vivere dignitosamente l’uomo, affinché possa avere il tempo e i mezzi di perfezionarsi in ciò che lo rende uomo, ossia la conoscenza della verità e di Dio summum Verum e l’amore del bene e di Dio summum Bonum. Essa va usata tanto quanto ci aiuta a conseguire il fine né più né meno. Non bisogna disprezzarla, ma neppure idolatrarla. Ora il mondo moderno ha l’idolatria della ricchezza. Il liberalismo la desidera disordinatamente per i borghesi a scapito degli operai, il comunismo la vuole unicamente per il proletariato a scapito dei borghesi.
L’agente principale di questo ribaltamento dei valori è stato il giudaismo talmudico, che in America[1] ha preso apparenze superficiali di “cristianismo” con il puritanesimo, in cui non vi sono tracce di Nuovo Testamento, ma solo di Vecchio Testamento[2], e, mediante la massoneria ha imposto questo nuovo stile di vita[3]. Il mondo americano è caratterizzato dal primato dell’azione, dell’affaristica, della massima produzione per il consumo estremo senza bisogni reali, dal pragmatismo. Il puritanesimo statunitense ha ribaltato il principio del Vangelo: “Una sola cosa è necessaria: salvarsi l’anima”, con il principio di mammona: “Una sola cosa è necessaria: produrre e consumare per poter produrre ancora”. Il culto del “vitello d’oro” degli ebrei nel deserto al tempo di Mosè (1300 a. C.) è rientrato dalla finestra del puritanesimo statunitense dopo essere stato cacciato dalla porta da Gesù Cristo e dalla Cristianità europea. La crisi contemporanea non è una crisi passeggera dovuta a circostanze economico/sociali sfavorevoli, ma è una crisi dottrinale, filosofica e teologica[4].
“Il liberismo, pur vicino all’anarchismo individualistico, se ne distacca nettamente: l’anarchico sembra attribuire poco peso all’economia, quasi che la natura provvida bastasse a soddisfare l’uomo non appena si rimuovessero i danni artificiosi del governo; non così il liberista, che guarda alla natura come a qualcosa da conquistare prometeicamente[5]. A differenza dell’anarchismo il liberismo non pensa alla soppressione di ogni organizzazione statale, ma esige uno Stato minimo” (A. Chilosi, Enciclopedia dell’Economia, Milano, Garzanti, 1992, pp. 643-645).
Il liberismo è una conseguenza economica di una filosofia chiamata sia soggettivismo cartesiano sia sensismo o empirismo, quest’ultima, asserisce che l’uomo - come l’animale - ha soltanto una conoscenza sensibile e non una conoscenza intellettuale, che, oltrepassando i fenomeni contingenti, arriva alla sostanza delle cose.
Per la dottrina liberale la libertà, intesa come licenza di fare tutto ciò che si vuole[6] (cfr. Leone XIII, Libertas praestantissimum, 1888) anche il male, non esistendo una legge naturale oggettiva che si impone all’uomo suo malgrado, è la soluzione sufficiente per risolvere tutti i problemi. Tale falso concetto di libertà, che è scambiata con il libertinaggio, è trasposto dal liberalismo: 1°) nel campo religioso, ove ha come conseguenza l’indifferentismo in materia di religione (tutte le religioni sono buone) e l’amoralismo (la “libertà di coscienza”, chiamata da S. Agostino e poi da Pio IX “Libertà di perdizione”); 2°) nel campo intellettuale, in cui ci offre la libertà di pensiero, illudendosi che la ragione umana, ferita e non distrutta dal peccato originale, lasciata libera e in balìa di se stessa, possa facilmente e senza alcun pericolo cogliere il vero; 3°) nel campo politico, ove rifiuta ogni autorità e scivola gradatamente verso una sorta di “anarchismo di destra”, che propugna la totale e assoluta libertà dell’individuo (droga libera, libero amore, libertà per le coppie omosessuali) sino ad arrivare a ridurre lo Stato a un ente di ragione; 4°) infine, il liberalismo conduce al modernismo e questi al social/comunismo, pur essendo - apparentemente - in aperto contrasto con esso.
Occorre essere obiettivi, intellettualmente onesti e riconoscere che il liberismo ha realizzato tre dei suoi intenti: 1°) quello di aver salvaguardato la libertà individuale; 2°) quello di aver raggiunto l’abbondanza della produzione dei beni materiali; 3°) quella dello sviluppo dei capitali. Tuttavia, il liberismo ha fallito nello stabilire l’equilibrio tra la domanda e l’offerta, tra il proprietario e l’operaio, tra capitale e lavoro. Anzi dirò di più, il liberismo ha stabilito uno squilibrio assai forte tra capitale e lavoro, provocando così la lotta di classe (lavoro contro capitale) e generando (indirettamente e suo malgrado) il social-comunismo come movimento ben strutturato e organizzato. Il cancro divoratore del liberismo è la libera concorrenza. Infatti, per vincere la concorrenza, l’impresario è costretto ad abbassare il prezzo della merce mediante la riduzione del salario e il prolungamento delle ore di lavoro (nell’Ottocento si era giunti alle 16 ore giornaliere). Per abbassare i salari, i datori di lavoro ricorsero alla mano d’opera delle donne e dei bambini, pagati molto meno degli uomini. Si stabilì così la parola d’ordine del liberista: il massimo di lavoro e il minimo di salario. Sua conseguenza logica fu che il contratto di lavoro tra l’imprenditore e l’operaio divenne un qualsiasi contratto di compra-vendita, e, siccome il lavoro era merce (forza lavoro), l’imprenditore l’acquistava al suo “giusto valore” (cioè il prezzo fissato sul mercato dalla concorrenza tra capitalisti e lavoratori), ma in forza del suo maggior potere contrattuale fissava una giornata lavorativa nella quale l’operaio era costretto a prestare lavoro per un tempo maggiore a quello che era necessario alla determinazione del suo salario. Il datore di lavoro non aveva nessun bisogno urgente dell’operaio per vivere agiatamente, mentre l’operaio per vivere sic et simpliciter aveva urgente bisogno del datore di lavoro, poiché senza lavoro l’operaio non mangia. Perciò, la libertà dell’imprenditore era vera “libertà”, mentre quella dell’operaio era la libertà di morir di fame o di accettare il cosiddetto salario da fame. Gli operai, perciò, dovettero ricorrere all’unico mezzo di difesa e di sopravvivenza, che era ritenuto dai liberali un delitto contro la loro proprietà: la coalizione. Impotente da solo, l’operaio divenne forte unendosi agli altri operai. Infatti, il datore di lavoro poteva fare a meno di Tizio o Sempronio, ma non di tutti gli operai della sua impresa.
Principio fondamentale del liberalismo economico o liberismo di Adam Smith è anche l’utilitarismo di Geremia Bentham. Infatti, se non esiste un valore morale oggettivo e assoluto, l’atto umano non è buono o cattivo in sé, ma tutto dipende dall’utilità e dalle conseguenze pratiche di esso, ossia, se l’atto produce conseguenze positive o mi è utile, allora è buono per me; altrimenti è cattivo per me: “Ciò equivale a dire che l’omicidio di un innocente […], la bestemmia ecc., non sono atti semper et pro semper (sempre e in ogni circostanza) malvagi, ma possono acquisire di volta in volta una qualificazione morale diversa (semper sed non pro semper, ossia non sono cattivi in ogni luogo né in ogni circostanza)”[7].
La conseguenza del liberismo utilitarista è il cosiddetto “principio di Caifa”[8], secondo il quale è meglio che un solo innocente muoia per la salvezza di tutto il popolo. Non esiste il bene o il male in sé, ma solo “per me /noi”. L’utilitarismo comporta l’edonismo psicologico[9], ossia la ricerca del piacere e la fuga dal dolore. Secondo il londinese d’origine israelitica Geremia Bentham (†1832) il piacere coincide con ciò che mi è utile. L’edonismo ricerca il piacere non nel futuro o nell’aldilà, ma nel presente in atto. La “massimizzazione” del piacere e la “minimizzazione” del dolore, vanno fondate, per Bentham, non sulla religione, la morale o la metafisica, ma sull’egoismo psicologico, onde l’uomo cerca sempre il suo vantaggio, interesse o utilità. Il bene o la felicità, per Bentham, non è l’Atto Puro, ma l’interesse proprio. Questo è l’errore “capitale” del liberalismo: far coincidere il Bene sommo o Fine ultimo con la creatura (libertà, utilità, piacere…).
Appare evidente che l’etica naturale e cristiana[10] è assolutamente inconciliabile con l’etica soggettivistica e relativista dell’edonismo e dell’utilitarismo e perciò il liberalismo e il modernismo son stati ripetutamente e costantemente condannati dai Romani Pontefici (Pio IX, Leone XIII, Pio X, Pio XI e Pio XII).
Come non si può essere marxisti o collettivisti in economia senza essere materialisti dialettici e storici in filosofia così non si può essere neppure liberisti in economia senza essere liberali in filosofia. Infatti, il liberismo è una conseguenza nel campo economico di una filosofia chiamata sia soggettivismo cartesiano sia sensismo o empirismo, la quale ultima asserisce che l’uomo – come l’animale – ha una conoscenza soltanto sensibile e non intellettuale, che, oltrepassando i fenomeni contingenti, arrivi alla sostanza delle cose. Tale filosofia è nata in Inghilterra con Hume, Stuart Mill, Spencer verso la fine del XVIII secolo e si è sviluppata nel corso del XIX; essa vorrebbe segnare la fine della metafisica e ci ha condotto, attraverso il pragmatismo americano di James, al “pensiero debole” di Popper.
Anche questa filosofia, come il materialismo marxista, nega la spiritualità dell’anima umana, il suo potere di conoscere la realtà sopra-sensibile e rende l’uomo simile all’animale, per cui la conseguenza logica in economia è che bisogna lavorare, produrre e arricchirsi. L’unica grande differenza che si scorge tra liberal-liberismo e materialismo storico-dialettico socialcomunista è che vi sono due tipi di materialismo: l’uno più grossier per i poveri e l’altro più radical-chic, per i ricchi; ma entrambe le filosofie sono false e conseguentemente lo sono anche le loro conclusioni economiche: il più non viene dal meno. Inoltre, mentre il liberismo, fondandosi sull’egoismo individualista, è animato da una forte propensione all’ingiustizia sociale, il social-comunismo dice di voler la giustizia sociale ma, in realtà, produce la miseria più nera, basandosi sull’odio, l’invidia e la gelosia tra le classi sociali. I due sistemi hanno una diversità e opposizione relativa (individualismo e collettivismo); ma una sostanziale somiglianza nel primato dell’economia e del benessere materiale.
Ancor oggi, benché le condizioni della classe operaia siano notevolmente migliori rispetto a quelle dell’Ottocento, il social comunismo e il liberismo si combattono e si spartiscono il mondo, anche se essenzialmente mirano quasi allo stesso risultato: la dittatura materialistica dell’economia e lo Stato Assoluto come unico proprietario da parte socialista e la “repubblica democratica-dittatoriale” ed edonistica della plutocrazia liberista, in cui poche persone (i burocrati del “Partito” unico) hanno il monopolio delle ricchezze e dello Stato, che è ridotto al minimo dal liberismo.
Questo conflitto, apparente e non sostanziale, danneggia soprattutto l’uomo comune e i piccoli risparmiatori, rendendo la vita umana, una sorta d’impiego permanente in una grande banca, ove l’uomo non ha più il tempo né i mezzi per vivere la sua vita, per realizzare quello che è: un animale razionale e libero, fatto per conoscere il Vero e amare il Bene.
Il mondo moderno; infatti, l’ha trasformato in un animale economico fatto per produrre, ammassare denaro (per sé o per lo Stato), per “pensare” a pagare le imposte o a evadere il fisco, a pagare le numerose bollette che tolgono il respiro all’uomo e ne fanno una macchina calcolatrice (una sorta di “epilettico-agitato” della Borsa di Milano) o una gallina da pollaio-fabbrica, che, a forza di ormoni e luce artificiale, produce uova d’oro.
Questo primato dell’economia sulla metafisica è all’origine dell’imbarbarimento in cui siamo piombati in questi tristissimi anni, i quali hanno abbrutito l’uomo e l’hanno reso incapace di risolvere i problemi fondamentali, che hanno sempre agitato il pensiero umano: l’aldilà, l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima. Domenico Giuliotti diceva: “Il liberismo ci fa vivere da maiali, per farci morire da disperati”.
Come uscire da questo stato di cose? Ritornando a Dio, a una Società più umana, perché fondata sui princìpi della filosofia perenne o del buon senso che ridà il primato alla scienza speculativa (conoscere per sapere) o metafisica; subordina a essa la filosofia pratica (conoscere per fare o per agire) e infine rimette la tecnica (conoscenza sperimentale o empirica) al suo giusto posto, che è il più basso, mentre oggi occupa abusivamente quello più alto, rendendo l’uomo, una macchina di produzione, che corre affannato e disperato verso un termine che neanche lui sa bene quale sia, verso un arricchimento materiale sempre maggiore, che lascia insoddisfatto il cuore umano, poiché è pur sempre un bene finito e creato (anzi “stampato” o “coniato”) mentre “il nostro animo è infelice sino a che non riposa nel Signore” (S. Agostino), che solo, essendo il Summum Bonum, può lenire le ansie e i problemi dell’uomo, il quale è aperto all’infinito e non è limitato al problema economico, visto da “destra” o da “sinistra”.
IL FALLIMENTO DEL BOLSCEVISMO
Il democraticismo è una tappa della Sovversione e il moto del disordine non si ferma a mezza strada ma, tende all’estremo che è rappresentato dal comunismo sovietico.
Tra plutocrazia liberistica, democraticismo e bolscevismo vi è una differenza accidentale, quantitativa e non sostanziale. Sono tre tappe del medesimo cammino sovversivo: il materialismo industrialistico, il materialismo della quantità numerica delle masse e il materialismo del proletariato; è il potere della quantità materiale prodotta dalla tecnologia, dal suffragio universale e dalla lotta di classe.
Come si vede, la sostanza è la medesima, ossia il materialismo; esso differisce soltanto quanto all’accidentale: industria, suffragio, proletariato. Tutti e tre vogliono il paradiso su questa terra, ma per il primo deve provenire dall’industrializzazione della borghesia, per il secondo dalla volontà delle masse espressa dal suffragio universale e per il terzo dalla guerra di classe.
Apparentemente può sembrare che tra i tre sistemi vi sia contrapposizione, ma in realtà se si va al fondo delle cose una volta ammesso il primato del benessere materiale e della volontà popolare si può giungere senza contraddirsi al primato del proletariato, che tende ultimamente all’anarchia o al regno dell’«uomo nuovo» su questa terra.
La rivoluzione studentesca del 1968 non è la contraddizione del bolscevismo, ma il suo sapersi rinnovare a seconda, del mutar dei tempi. Infatti, se nel 1917 era il proletariato, la forza propulsiva della rivoluzione comunista, nel 1960 esso doveva essere rimpiazzato dalla gioventù “studentesca” sfrenata dal freudismo e dal nichilismo filosofico della Scuola di Francoforte e dello Strutturalismo francese. Il termine del bolscevismo è l’anarchia o la libertà assoluta in ogni campo ed è quello che ha prodotto il XXI secolo, un miscuglio di liberal/socialismo tendenzialmente anarcoide che ha annichilato ogni valore e la natura dell’uomo rendendolo un animale istintivo e passionale.
Sembrerà una contraddizione, ma il social-comunismo è figlio “naturale” (anche se non desiderato, ma neppure abortito) del liberismo.
Infatti, furono alcuni liberali che “verso il 1820, per reagire contro le palesi ingiustizie del liberismo nei confronti degli operai, iniziarono il movimento socialistico, nell’intento di porre un rimedio a tali ingiustizie. Loro punto di partenza fu la costatazione del fatto che la libertà, quale l’aveva concepita il liberalismo, impediva l’uguaglianza tra gli uomini, asservendo il proletario al proprietario. Per questo concentrarono l’attenzione più sull’uguaglianza (equa ripartizione dei beni) che sulla libertà”[11].
Ma, il vero fondatore del socialcomunismo scientifico fu Carlo Marx. Vediamo ora quale fosse il fondamento filosofico dell’economia marxista.
La filosofia del socialismo
Secondo la filosofia della storia di Hegel il pensiero (‘Idea’) è in continuo movimento, creando oggetti attraverso un’evoluzione e un’attività senza posa. Ogni Idea (tesi) contiene il suo contrario (antitesi) e dal loro “equilibrio instabile” (tesi-antitesi) nasce una nuova composizione, una nuova idea (sintesi), che a sua volta sarà travolta da un nuovo vortice “creativo” verso una nuova sintesi e così all’infinito.
Mentre Hegel applicò quest’evoluzione al campo dello spirito (Idee: è il cosiddetto evoluzionismo dialettico), Marx l’applicò alla Materia (materialismo dialettico) e alla storia (materialismo storico). Marx s’appropriò del metodo di Hegel e l’adattò alla Materia: essa è la prima e fondamentale realtà, tutto ciò che esiste è Materia, che è in continuo processo evolutivo. Poi Marx passò ad applicare la sua teoria materialistica anche alla storia e ne è venuto fuori il materialismo storico, ossia la lettura materialistica della storia, vale a dire: l’economia (mangiare, bere, aver di che vestire e un tetto sotto il quale ripararsi) è l’elemento più importante per l’uomo; solo dopo, l’uomo potrà pensare allo Stato, alla Religione, alla Scienza, all’Arte. Il fine dell’uomo è soltanto di produrre nel mondo economico e la forza che lo stimola a far tutto questo, è la lotta di classe la quale è finalizzata a liberare la classe operaia dal suo oppressore, il capitale. Onde si deve combattere tutto ciò che ostacola la lotta di classe, cioè la Patria, la Famiglia e la Religione.
Infatti, la Patria divide i proletari che invece devono unirsi nell’internazionale, la Religione si fonda sullo spirito, su Dio, mentre per il marxismo esiste solo la materia e la Morale insegna a rispettare l’altrui proprietà, mentre il marxismo la vuol fagocitare.
L’economia socialista
Secondo il marxismo bisogna togliere tutti i mezzi di produzione ai capitalisti e darli allo Stato. Per Marx il destino ultimo del capitalismo è il suo collasso per cause interne a esso, cioè per le contraddizioni che lo caratterizzano. Tuttavia dopo Marx si formarono due fazioni marxiane: a) il Socialismo riformista o evoluzionista (il Socialismo), che ripudia la rivoluzione cruenta e propugna la trasformazione della Società mediante riforme e leggi e la statalizzazione della proprietà; b) il Socialismo rivoluzionario o Comunismo (che nel 1917 sfociò nel bolscevismo sovietico) e che vuol cambiare la Società mediante la rivoluzione cruenta. Il comunismo, perciò, si distingue dal socialismo solo quanto ai mezzi da adoperare per cogliere il proprio fine e non quanto alla sostanza. Ecco perché Pio XII ha scomunicato sia il comunismo sia il socialismo.
Il suo fondamento è il Materialismo, esso perciò ne dipende e ne è falsato. Certo, nella storia - bisogna riconoscerlo - l’economia è uno degli elementi principali: occorre un certo benessere materiale per occuparsi di scienza, arte, virtù. Primum vivere, deinde philosophari. Ma, ammesso ciò, è del tutto esagerato asserire, con Marx, che il fattore economico domina completamente la vita sociale dell’uomo, e che esso è il fine di ogni azione umana e che pertanto basta da solo a spiegare tutta la storia.
“L’uomo non è solo un tubo digerente, un sacco da riempire, ma è anche e soprattutto spirito. E la questione sociale non è soltanto una questione materiale [...] ma soprattutto è una questione spirituale, morale. Credere che, accomodato il corpo, riempito lo stomaco, tutto sia messo a posto, significa non conoscere l’uomo, significa [...] professare il più ributtante materialismo, condannato non solo dalla Fede ma anche dalla ragione” [12]. Tale materialismo non è conseguenza del solo socialismo (di cui è la sostanza), ma anche del liberismo, secondo il quale il fine dell’uomo è capitalizzare, produrre, arricchirsi onde ha trasformato l’economia in ‘crematistica’.
Come il liberalismo scambia il mezzo (libertà) per il fine (il Sommo Bene), così il liberismo scambia la ricchezza per il Bene infinito, mette Mammona al posto di Dio, il dio “Quat-Trino” al posto del Dio Trino e Uno. Ora, mettere il mezzo al posto del fine (o scegliere la creatura [£/$/€] al posto del Creatore), è la definizione stessa del peccato: “Aversio a Deo et conversio ad creaturas”. Perciò, il liberalismo filosofico e il liberismo ‘economico’ sono un peccato grave, anzi una sorta d’idolatria, che adora la libertà assoluta e la ricchezza materiale al posto di Dio. Questo è il grave e tragico errore del liberal-liberismo (libertario e libertino).
La teoria marxiana del plus-valore è insostenibile. Essa, essendo materialista, vede solo la quantità del lavoro non la qualità, vede solo il lavoro manuale e materiale, non quello intellettuale e direttivo. La teoria del plus-valore nega ogni valore morale al capitale e al lavoro del datore di lavoro, che è equiparato al furto. Invece il capitale (= guadagno “sudato col lavoro della propria fronte”, messo da parte e risparmiato perché produca altra ricchezza), data la sua produttività, va remunerato. È inammissibile anche la teoria socialista secondo cui il valore delle cose deriva soltanto dal lavoro. Infatti, esso dipende anche da altre condizioni e dalla loro diversa utilità; per esempio il vino migliore è pagato giustamente più del vino scadente, anche se il produttore ha impiegato la stessa fatica e lo stesso lavoro per produrre entrambi, così come l’affresco della cappella Sistina verrà remunerato di più di una mano di vernice bianca, passata da un solerte imbianchino su una superficie pari a quella della volta della Sistina. È altresì falso sostenere, come fanno i socialisti, che il proprietario non debba ritenere per sé una parte del bene prodotto dagli operai col lavoro manuale. Infatti, nel produrre una cosa, il proprietario coopera assieme all’operaio, anche se in modo diverso. Coopera mettendo a servizio e a rischio il suo capitale, offrendo all’operaio le materie prime e gli strumenti di lavoro. Compiuto poi il lavoro, l’unica preoccupazione dell’operaio è di riscuoter la giusta paga, mentre il proprietario deve pensare a vendere il bene prodotto e tutto ciò a suo rischio e pericolo, nel caso che esso rimanga invenduto o sia venduto a un prezzo inferiore, che non eguaglia il salario complessivo che deve erogare ai suoi dipendenti. Perciò, è del tutto falso asserire, come fa Marx, che tutta la produzione appartiene al lavoro o all’operaio e per nulla al capitale o al datore di lavoro.
Léon de Poncins nota come all’origine del liberismo vi sia stato David Ricardo “un banchiere ebreo inglese, figlio di un banchiere ebreo olandese emigrato a Londra alla fine del XVII secolo”[13] e all’origine del comunismo scientifico vi sia “Karl Marx un ebreo tedesco, che si poneva sullo stesso terreno di Ricardo: il concetto puramente economicistico del mondo, il mercantilismo e l’affaristica”[14]. Perciò, se liberismo e comunismo arrivano a conclusioni diverse, hanno come principio e fondamento la stessa filosofia del mondo che li accomuna: il primato dell’affaristica e il materialismo[15].
L’idolatria della macchina produttrice come mezzo, per ottenere il paradiso in terra, che però schiaccia l’uomo sotto l’inferno dell’industrializzazione e dell’affaristica, accomuna ulteriormente bolscevismo sovietico[16] e plutocrazia americanista.
Secondo queste ideologie la macchina è riuscita, dove Dio avrebbe fallito: dare il benessere e la felicità già su questa terra. L’uomo faber è il padrone o il “dio” del mondo nuovo. Tuttavia, questo mondo è entrato in una paurosa crisi dei suoi valori fondamentali: le ricchezze materiali. L’uomo contemporaneo si trova, così, senza Dio e senza benessere temporale, il suo stato è simile alla pena del danno dell’inferno. Questo è il coma della modernità. Solo Dio può farci uscire da questo letargo con la sua giustizia e la sua misericordia.
Il vero e unico antidoto al veleno della modernità è il cattolicesimo, il quale nonostante tutti i limiti degli uomini che ne fanno parte (in membris) e lo rappresentano (in capite), è la religione che meglio di tutte riesce a equilibrare azione e contemplazione in subordinazione gerarchizzata. Il cattolicesimo non conduce solo in cielo, ma ha suscitato la cultura, la civiltà, le opere caritative, la bellezza artistica, la poesia, la filosofia e la teologia già su questa terra. La modernità all’inizio ha prodotto qualche cosa di apparentemente “geniale”, ma oggi (a partire dai primi decenni del Novecento) si constata una mancanza totale di valori umani e nello stesso tempo non si hanno più quelli ultra terreni.
Questo è il paradiso in terra promesso dalla plutocrazia liberista, dal democraticismo progressista, dall’industrialismo borghese o proletario. Il nichilismo è il termine della folle corsa della locomotiva del mondo moderno, la quale si va inabissando nel nulla ove tutto sprofonda. Occorre bere l’amaro calice sino alla feccia per risorgere sino alle stelle.
CONCLUSIONE
Al punto in cui ci troviamo dobbiamo cooperare con l’onnipotenza divina, che sola può porre rimedio a uno sfacelo talmente profondo e universale, 1°) lottando contro la Sovversione a) e le sue forze visibili: materialismo, antropolatria, mercantilismo crematistico, democraticismo, plutocrazia, progressismo, comunismo, anarchismo, b) e le sue forze nascoste: massoneria, esoterismo, giudaismo talmudico, modernismo[17], occultismo, satanismo; 2°) proponendo un ideale positivo di restaurazione dell’ordine tradizionale rivoluzionato dalla modernità: la civiltà greco/romana informata dalla spiritualità cattolica. “La civiltà tradizionale non è da inventare, ma da restaurare incessantemente contro gli assalti dell’empietà moderna e contemporanea” (san Pio X).
O ritorneremo alla pura Tradizione cattolica o scompariremo inghiottiti dal nulla del caos nichilistico contemporaneo, tertium non datur!
Attenzione! Se rifiutiamo di ritornare al reale, alla sana ragione e alla retta ‘Dottrina sociale’[18], continuiamo a correre verso il baratro che si aperto sotto i nostri piedi in maniera chiara ed evidente a tutti specialmente a partire dal 1968 e che ha preso il potere globale nell’universo col ‘Nuovo Ordine Mondiale’ (1991/2001), le cui manifestazioni recenti sono la crisi economico/finanziaria e quella delle guerre in Africa mediterranea, in Medio Oriente e nel Vicino Oriente, in Ucraina e Russia che potrebbero avere conseguenze inimmaginabile e umanamente irreparabili.
La modernità, che da Cartesio a Hegel, si proponeva di divinizzare l’Io e renderlo Assoluto, è poi sfociata nell’effetto opposto: la post-modernità nichilistica (Nietzsche, Marx e Freud), che si prefiggeva la distruzione della ragione, della morale e dell’essere stesso. Essa ha avuto il suo exploit con la ‘Scuola di Francoforte’ (Marcuse e Adorno) e lo ‘Strutturalismo francese’ (Lévy-Strauss, Sartre, Ricoeur) negli anni Sessanta e oggi (2011/2023) sta raggiungendo il suo avveramento terminale col pericolo di una guerra nucleare dai risultati apocalittici. Ora quando ci si accorge di aver sbagliato strada occorre ritornare indietro per andare avanti, ma nel verso giusto. Perciò, se la modernità è fallita ed è stata uccisa dalla sua figlia la post-modernità, occorre ritornare ai princìpi della metafisica dell’essere e della filosofia politica che ne consegue.
La “politica” odierna che vorrebbe uccidere Dio (marxismo, niccianesimo, psicanalisi, teologia della morte di Dio) va combattuta non con l’idealismo soggettivista (che voleva divinizzare l’uomo e metterlo al posto di Dio), ma con la metafisica e la filosofia politica perenne e tradizionale, classica, scolastica e canonica. Attenzione! “Tertium non datur”. O si ritorna al realismo aristotelico/tomistico, all’armonia e alla collaborazione nella subordinazione gerarchica dei fini tra potere temporale e spirituale; oppure si sprofonda nel mare del nulla nichilista ove tutto affonda e niente si salva.
Viviamo oggi una crisi politica ed etica senza pari; v’è un’involuzione di cultura, civiltà e moralità che ci sta riportando verso la barbarie e il paganesimo. Purtroppo la modernità ha cercato la sua perfezione, felicità e fine in se stessa, nelle proprie opere, già a partire dall’Umanesimo. Mentre il Vangelo ci insegna: “Chi vuol salvare la sua vita la perderà e chi la perderà per Gesù Cristo, la troverà” [19]; l’uomo moderno cerca se stesso, non accetta il Vangelo integrale e non addolcito, anzi s’irrita e fugge via, ma tutto ciò non prova che le semi-verità possano salvare l’uomo; prova soltanto che la salvezza dell’uomo non è opera umana ma divina e che solo la verità integra e totale, unita alla carità, può salvare gli uomini di buona volontà. Gli altri rifiuterebbero il Vangelo anche se annacquato; “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire” dice il proverbio. È illuminante l’esempio che ci ha lasciato Gesù quando annunziò l’Eucarestia: la maggior parte dei discepoli s’irritò e L’abbandonò, ma Lui non addolcì, non annacquò nulla, anzi chiese agli Apostoli se anche loro volevano abbandonarLo.
Occorre cercar di capire cosa sta succedendo per porvi rimedio e non scivolare nel caos anarchico e nella barbarie che sembra stia inghiottendoci. Davanti al pericolo di disintegrazione che corre il mondo intero e il mondo cristiano in particolare, bisogna riscoprire i princìpi fondatori dell’Ordine e della Società, che possono dare all’uomo la tranquillità, il benessere temporale, permettendogli di coltivare il suo spirito e cogliere il fine suo ultimo che è il Cielo.
Se la crisi attuale ci porta al modernismo, al nichilismo, al caos e all’anarchia, essa viene da una sorta di dualismo manicheo e gnostico. “L’ossessione separatista e dualista propria del laicismo”, scrivevano i vescovi italiani cinquantadue anni fa (“Episcopato italiano”, Il Laicismo, 1960). Secondo il dualismo manicheo esistono due princìpi, uno buono, creatore dello spirito; l’altro malvagio, creatore della materia che sarebbe intrinsecamente cattiva. Ebbene, il laicismo o liberalismo, figlio del dualismo gnostico manicheo, ha peggiorato l’errore e l’ha applicato nel dominio socio-politico. Infatti, per il liberalismo lo spirito o la Chiesa è il male, mentre la materia o lo Stato è il bene; quindi, occorre tenerli assolutamente separati, secondo il manicheismo gnostico: “Il singolo - scriveva Erik Peterson - deve creare in se stesso il dualismo [ o la separazione di Stato e Chiesa, di materia e spirito] per mezzo della gnosi” [20]. Qualcuno per evitare l’anarchia rivoluzionaria sarebbe tentato di far ricorso al totalitarismo, ma il totalitarismo non è la soluzione del problema politico, anzi ne è una distorsione. Ogni eccesso è un difetto e si può errare sia per difetto sia per eccesso; il totalitarismo rappresenta l’eccesso, mentre la virtù politica consiste nel giusto mezzo della prudenza sociale, tra temerarietà e pavidità.
La modernità, invece, ha concepito lo sviluppo dell’umanità in una sorta di progresso costante all’infinito, diviso in tre epoche (una sorta di “trinità” laica che avrebbe dovuto rimpiazzare la SS. Trinità), delle quali la terza è la più perfetta e definitiva, che tocca l’infinito e l’auto-divinizzazione dell’umanità.
Queste tre epoche sono religione, metafisica e positivismo per Comte; antichità, medioevo ed età moderna per Hegel; nobiltà, borghesia e proletariato per Marx. Tale tripartizione la ritroviamo già in Gioacchino da Fiore: età del Padre (Antico Testamento), età del Figlio (Nuovo Testamento) ed età dello Spirito Santo (Nuovissimo Vangelo), ma essa fu condannata dalla Chiesa.
Infatti, se la terza età è definitiva, la seconda, ossia il cattolicismo, è tramontata, finita, passata e per lei non vi è più speranza (cfr. New Age).
Perciò, “Dopo l’Incarnazione, la storia ruota attorno a questo dilemma: o con Cristo o contro Cristo tertium non datur. Le epoche della storia sono solo due: quella anteriore a Cristo e quella da Cristo in poi. [...] Il Verbo Incarnato non può essere sconfitto dai suoi nemici e il regno di Dio giungerà al suo compimento ultraterreno nonostante i tradimenti e le sconfitte. In una prospettiva del genere, l’epoca moderna e contemporanea può essere compresa solo come un periodo nel quale il principio ostile a Cristo ha pro tempore prevalso (Dio l’ha permesso), ma non ha affatto riportato una vittoria decisiva, nonostante le apparenze, ed anzi, un giorno, quando Dio vorrà, scomparirà [...]. Dal punto di vista della teologia della storia, il tramonto dell’epoca presente è quindi un fatto certo quanto la legge di gravità, se così possiamo esprimerci. [...]. La costellazione che sempre si ripete è la seguente: ribellione, castigo, purificazione, pentimento, vita nuova. Il castigo di Dio è categoria essenziale nella teologia della storia. Egli punisce e salva, nella misura in cui induce gli individui e i popoli al pentimento. Sempre che Dio conceda loro il tempo. [...]. È sicuro, quindi, che su questo mondo così corrotto, si abbatterà un giorno il castigo di Dio. [...]. La decadenza di tutto un mondo comporta un castigo che può essere stornato solo col pentimento e la conversione” [21].
Ma, ci si domanda: è ancora possibile ritornare alla vera Civiltà, a una sana Società, a una Politica morale, a un’Autorità giusta? Se - umanamente - la cosa sembra molto difficile - soprannaturalmente - Gesù ha detto: “Non temete, piccolo gregge, Io ho vinto il mondo!” e ancora: “Le porte dell’Inferno non prevarranno” e San Giovanni: “Questa è la nostra vittoria che vince il mondo: la nostra Fede! ” (1a Gv., V, 4). Allora, con la ferma fiducia che il braccio di Dio non si è accorciato, studiamo il problema e viviamo coerentemente con i nostri princìpi, perché l’Ordine e la distinzione nella collaborazione e subordinazione tra Stato e Chiesa, ritornino a vivere non solo nelle nostre intelligenze, ma nella Società.
Infatti, l’unica alternativa è la cooperazione dei due poteri, ossia la Regalità sociale di Cristo. In essa soltanto v’è l’Ordine e la sana Restaurazione. Come il corpo è sottomesso all’anima e l’uomo (anima e corpo) è sottomesso a Dio, così - socialmente - lo Stato deve essere sottomesso al Potere spirituale, ed essi entrambi (i due poteri: Stato e Chiesa), sottomessi a Dio, indirizzano l’uomo al suo fine ultimo. Dalla loro cooperazione, deriva la maggior facilità di poterlo conseguire, mentre dalla loro separazione deriva la lotta, il caos, il disordine, la Sovversione, che rendono difficile all’uomo vivere secondo la fede, la speranza e la carità, come sperimentiamo oggi.
La Regalità sociale di Cristo rappresenta, perciò, la Resurrezione del mondo moderno, che ha apostatato ed è ricaduto nel pandemonio del paganesimo e può essere salvato solo da Chi per primo ci sollevò dalla rovina del peccato originale, e desidera ancora attrarci a sé, dopo la rovina dell’apostasia laicista della modernità.
Leone XIII ha detto: “Se qualcuno vuole restaurare una Società in decadenza, gli si prescrive di ricondurla alle sue origini” [22]. Il cristianesimo ci offre delle risorse che il paganesimo non conosce, e, se noi lo vogliamo, potrà restaurare la vita individuale e sociale. “Certo - scrive monsignor Delassus - non si può ritornare alle forme sociali del passato” [23].
Leone XIII ha scritto anche che “Come, nel passato, contro le orde barbariche nessuna forza materiale ha potuto resistere, ma solo la virtù della religione cristiana che, penetrando i loro spiriti, fece scomparire la loro ferocia [...]; così contro i furori delle moltitudini sfrenate, l’unico ostacolo sicuro è la virtù della religione, che, diffondendo negli spiriti la luce della verità, introducendo nei cuori i precetti della morale cristiana, farà sentire loro la voce della coscienza e porrà un freno alle loro bramosie e spegnerà l’impeto delle loro passioni malvagie” [24] .
Occorre non dimenticare che la Società non sarà mai rigenerata se prima non lo è la famiglia, “Nessuno ignora che la prosperità privata e pubblica dipende principalmente dalla costituzione della famiglia” [25]. Ma, ammonisce Dom Chautard, “Finché non si sarà capito che i capi famiglia devono diventare, non solo cristiani, ma apostoli, l’influenza pur tanto apprezzabile della madre cristiana sarà paralizzata ed effimera e non giungeremo mai ad assicurare il Regno sociale di Cristo” [26]. Infatti, le passioni, scatenate dal liberalismo e dalla democrazia moderna, sovvertiranno ogni gerarchia e autorità e con esse la Restaurazione della Società.
Mali infiniti ci minacciano e li eviteremo solo se arresteremo la Sovversione liberal-democratica, e ritorneremo nell’Ordine della verità economica, sociale e religiosa, dal quale ci ha fatto uscire l’errore dell’immacolato concepimento dell’uomo. La Restaurazione deve avvenire nello spirito; l’opinionismo ha perso il mondo, e prima che un’altra idea contraria all’opinione rivoluzionaria non sia stata accettata dagli uomini, non vi sarà salvezza per la Società. L’uomo non è il sovrano assoluto come insegna il liberalismo; egli ha un Padrone: Dio, creatore del cielo e della terra. L’uomo tende al male, ferito dal peccato originale, in lui la Sovversione non è vinta, il bene è promosso solo grazie ad un’azione restauratrice dell’autorità paterna, civile e religiosa. La liberal-democrazia nega Dio, il fine ultimo e la legge morale che è la strada per giungervi; nega il peccato originale, afferma la sovranità dell’uomo, la sua perfetta assoluta libertà. Mentre la democrazia-cristiana riconosce Dio e il peccato originale, ma si rifà a uno Stato sociale fondato sulla libertà, sull’uguaglianza e sulla sovranità del popolo. L’unica regola di riforma è la ricerca della verità e confessarla, quando è necessario, qualsiasi cosa succeda. Bisogna riordinare le idee, riformare l’intelligenza e la morale. Più che mai bisogna dire la verità, senza sotterfugi né strategie abili. La lezione è che le verità diminuite non sono la Verità e solo la Verità porta con sé la vita; e solo lei può darci la risurrezione a partire dallo stato comatoso in cui ci troviamo. Gesù ha confessato la Verità e con ciò ha vinto il mondo, anche se ciò gli è costato la morte di Croce.
Bisogna tornare alla sana filosofia perenne, alla Teologia scolastica e tomista al Dogma come lo presenta il Magistero autentico. Colui, che oggi, proclama la verità a metà, fa più danni di chi la nega risolutamente; abbiamo bisogno di Verità integrale. O la Fede, o l’Io. O il cristianesimo nelle anime e nella Società; o l’orgoglio, l’invidia e tutte le passioni disordinate, che l’egoismo nasconde in sé, e che la Sovversione scatena [...], tutto ciò che non è la piena, franca e intera Verità religiosa non può nulla sul cuore dell’uomo, né può rimettere la Società civile sulla carreggiata” [27]. Gesù ci ha insegnato: “Il vostro parlare sia sì sì, no no; quel che è di più viene dal Maligno!”
Consigli pratici per la Restaurazione
1°) Innanzitutto, per riformare la Società occorre prima riformare se stesso (“nemo dat quod non habet”): “Ogni cambiamento nella Società deve avere il suo primo principio nei cuori di ogni uomo”[28].
2°) Ritornare a un linguaggio sincero, fuggendo le parole ambigue. La parola esprime l’idea e l’idea la cosa. Quindi, se vogliamo parlare di cose reali, e non di chimere astratte, dobbiamo usare parole che esprimano l’essenza delle cose. Dobbiamo adeguare il nostro linguaggio e la nostra mente alla realtà, dare alle parole il loro vero significato, solo così arriveremo alla verità (Veritas est adaequatio rei et intellectus), senza ricadere nell’errore nominalista. Quindi, sarà necessario rifiutare la ‘fraseologia corruttrice e confusionaria’ della filosofia moderna e idealista, che confonde le idee e corrompe la verità. I sovversivi “hanno fatto adottare le parole corruttrici; per mezzo di esse insinuano idee false e corrotte, e le idee preparano la via ai fatti sediziosi e rivoluzionari” [29].
3°) Occorre ritornare alla verità filosofico-teologica. L’errore attuale è la negazione del peccato originale. L’Uomo è Immacolato, quindi non ha bisogno di redenzione, di Cristo, di Chiesa, di Sacerdozio, di Grazia; gli basta la sola natura che è semi-deificata. Invece occorre diffondere “il catechismo nelle masse, la filosofia perenne e la teologia scolastica nelle classi istruite: soltanto a questo passo si può ottenere la salute [...] O la Fede o l’Io. O l’impero del cristianesimo; o l’orgoglio, l’invidia e tutte le passioni che l’egoismo racchiude e la Rivoluzione scatena” [30].
4°) Occorre incoraggiare l’uomo allo sforzo: la stasi debilita, lo sforzo vivifica! La pigrizia è un vizio funesto perché arresta lo sviluppo dell’individuo, della famiglia e della Società umana: “L’uomo che non ha più da lavorare e combattere si corrompe, e così la Nazione” [31]. In breve: “L’ozio è il padre dei vizi” e “Bacco, Tabacco e Venere, riducono l’uomo in cenere”, come dice il proverbio.
5°) “Chi può - dopo Dio, o meglio, per mezzo di Dio - riprodurre tutto ciò? Colui, che è stato chiamato una prima volta a ristabilire sulla verità l’ordine sociale: l’uomo della teologia, il prete. Ma, per essere all’altezza di quest’opera, bisogna che il prete riprenda confidenza in se stesso, o meglio, nella virtù soprannaturale che la S. Ordinazione ha deposto in lui” [32].
In breve se non si lascia il modernismo attuale, non si può sperare di uscire dalle sabbie mobili del fallimento del mondo moderno.
d. Curzio Nitoglia
[1] Cfr. G. Iurlano, Sion in America, Firenze, Le Lettere, 2004.
[2] Cfr. E. Malynski, La grande conspiration mondiale, Parigi, Cervantès, 1928 ; Id., Eléments de l’histoire contemporaine, Parigi, Cervantès, 1928.
[3] Cfr. J. Marquès-Rivière, La trahison spirituelle de la Franc-Maçonnerie, Parigi, Portiques, 1930.
[4] F. Fried, La fin du capitalisme, Parigi, Grasset, 1932.
[5] “Prometeismo è tutto ciò che esprime una sfida contro un’autorità o un’imposizione superiore. Le caratteristiche proprie di Prometeo sono, soprattutto, la superbia e il coraggio indomito, che lo sostengono contro la divinità” (N. ZINGARELLI, Enciclopedia Italiana, vol. XXVIII, col. 322).
[6] Cfr. R. SPIAZZI, Enciclopedia del pensiero sociale cristiano, ESD, Bologna, 1992, pp. 527-562.
[7] G. Samek Lodovici, L’utilità del bene, Jeremy Bentham, L’utilitarismo e il conseguenzialismo, Milano, Vita e Pensiero, 2006 p. 21.
[8] G. Samek Lodovici, op. cit., p. 109.
[9] Ivi, p. 6, 9 e 204. Cfr. J. Bentham, Introduction to the Principles of Morals and Legislation, Londra, 1789, pp. 89-90.
[10] Vedi Aristotele, Etica Nicomachea, 1106b 36 / EN, 1099a 6 / EN, II, 1107a 22-23 / EN, X, 1174a2-8 e S. Tommaso, S. Th., I-II, q. 58, a. 5 / q. 64. a. 1 / q. 2, a. 6, q. 19, a. 7 / q. 107, a. 1. / q. 4, a. 4 /,q. 19, a. 10. / q. 59, a. 4. / q. 56, a. 2. / q. 62, a. 2 / Summa c. Gent., IV, c. 19 / IV, c. 95 / In II Ethic., lib. 4, c. 4 / l. 6 / l. 6, c. 6 / 9, c. 9.
[11] G. M. Roschini, La questione sociale e le sue soluzioni. Alla luce delle encicliche papali, Rovigo, Istituto Padano di Arti Grafiche, 1953, pag. 38.
[12] G. Roschini, op. cit., pagg. 54-55.
[13] Tempete sur le monde moderne, cit., p. 167.
[15] Ibidem, p. 168; cfr. G. Batault, Le problème juif, Parigi, Plon, 1921, p. 41.
[16] Cfr. il ‘piano quinquennale’ di sviluppo industriale dell’Urss di Stalin ottenuto grazie alla collaborazione del capitale americano e della mano d’opera russa.
[17] Il modernismo è stato definito da San Pio X “una setta segreta/ foedus clandestinum” (motuproprio Sacrorum antistitum, 1° settembre 1910).
[18] E. Welty, Catechismo sociale, Chieti, Paoline, 1967, 3 voll.
[20] Enciclopedia Cattolica, vol. VII, coll. 1959-1963, Città del Vaticano, 1951.
[21] P. Pasqualucci, Politica e Religione. Saggio di teologia della storia, Pellicani, Roma, 2001, pagg. 79-83.
[22] Rerum Novarum, 15 maggio 1891.
[23] H. Delassus, L’esprit familial dans la famille, dans la cité et dans l’etat, Desclée, De Brouwer, Lille, 1910, pag. 97.
[24] LEONE XIII, Lettera agli Italiani.
[25] LEONE XIII, Lettera sulla famiglia cristiana, 11 luglio 1892.
[26] Dom J. B. CHAUTARD, L’anima di ogni apostolato, Paoline, 8ª ed, Roma, 1958, pag. 182.
[27] Ibidem, pagg. 399-400. Cfr. H. DELASSUS, Il problema dell’ora presente, Roma, Desclée, 1907, vol. I, p. 156.
[30] Ibidem, pag. 304 e 324.
[32] Ibidem, pag. 629 e 624.