Definizione
Il Panteismo è quella dottrina secondo cui tutto ciò che esiste sarebbe Dio, dal greco “pàn” (tutto) e “Teòs” (Dio). Il primo filosofo che utilizzò tale nome fu J. Toland nel suo libro Socinianism Truly Staded (Londra, 1705), ma la idea o dottrina panteistica è antichissima.
Panteismo estremo-orientale
Le religioni, o meglio, le filosofie orientali (soprattutto indiane con i testi Veda), non hanno il concetto di un Dio personale, trascendente e distinto dal mondo. Esse intendono Dio o meglio la “Divinità” come l’unica realtà o sostanza, di cui il mondo e l’uomo sono un’apparenza o un accidente che è riassorbita dal Divino come le onde, le increspature e gli spruzzi sono parte del mare e vengono riassorbite in esso.
Panteismo greco
Parmenide ed Eraclito pur avendo due filosofie opposte (il solo “essere”/monismo statico e il solo “divenire”/monismo dinamico) hanno una comune tendenza panteistica (monismo fissista il primo ed evoluzionista il secondo).
Essi distinguono erroneamente l’Essere e gli enti particolari, ma il primo non è mai concepito come un oggetto che sta di fronte ai secondi, come una sostanza realmente esistente e distinta da essi, ma è la loro stessa sostanza.
Tuttavia Platone, col concetto di partecipazione e di trascendenza del mondo dell’iperuranio, apre la strada alla reale entità subordinata degli enti particolari e sensibili, rispetto alla Divinità o “Mondo delle Idee”.
Aristotele aggiunge alla partecipazione il concetto di analogia dell’ente e quindi distingue realmente tra il mondo dell’Essere divino o Atto puro e quello degli enti individuali che sono atti misti a potenza e quindi realmente distinti dall’Atto puro.
Tuttavia, anche lo Stagirita non sfugge al dualismo, poiché accanto a Dio ammette l’eternità e non-creazione del mondo e Dio è solo “Pensiero di pensiero” e non agisce ad extra sul mondo, Egli non conosce le cose fuori di Sé, poiché inferiori a Lui sarebbero indegne del Suo Pensiero che pensa solo Se stesso.
Certamente, il Deismo moderno aggrava la posizione dualistica aristotelica, che non poteva avvalersi senza sua colpa della Rivelazione, rifiutata dai deisti rinnegatori della Provvidenza.
Infine, il Mosaismo perfezionato dal Cristianesimo con la rivelazione della creazione ex nihilo da parte di un Dio personale e trascendente (“Ego sum qui sum”) la cui essenza è l’essere stesso (“Ipsum Esse subsistens”) offre alla filosofia patristica (agostinismo) e scolastica (tomismo) la base su cui fondarsi per confutare con la ragione aiutata dalla fede ogni tipo di panteismo.
Il Neoplatonismo assume una tinta di panteismo emanazionista di origine orientaleggiante, in cui v’è una gerarchia o gradualità di enti o “eoni” che emanano dall’Uno, il quale è della loro stessa natura. Il neoplatonismo non ha gli strumenti concettuali per concepire la realtà del mondo e degli enti individuali, distinta realmente dalla Divinità, al massimo può parlare di diversità di gradi o di essenze (tra i vari “eoni” che emanano dall’Indefinito), ma non di essere sostanzialmente distino (creato e Creatore).
Invece, la Rivelazione biblica grazie alla creazione ex nihilo e la filosofia patristico-scolastica tramite l’analogia, la causalità e la partecipazione, riescono ad elaborare una teologia e una filosofia della distinzione reale e sostanziale tra Dio (Causa infinita e incausata) e il mondo (effetto finito). Solo la Rivelazione e la retta filosofia platonico-aristotelica, perfezionata da quella agostiniana-tomistica ci porgono una dottrina capace di sfuggire totalmente al pericolo panteistico.
Il Neoplatonismo ha una forma di panteismo: a) acosmistico: che assorbe tutto il mondo in Dio, ossia il mondo è uno sviluppo o manifestazione del Divino; mentre lo Stoicismo è panteismo b) pancosmistico o ateistico: che riduce la Divinità al mondo e quindi nega implicitamente l’esistenza di Dio; esso è materialistico, immanentistico e naturalistico, “Dio è immanente al mondo e lo vivifica dal didentro”. Esso pur tendendo all’ateismo è leggermente sfumato o diverso da esso, oppure è un ateismo mascherato da una bugia panteistico-immanentistica. “Il panteismo pancosmista è una negazione non di Dio sic et simpliciter ma della vera nozione di Dio. Onde è un’affermazione surrettizia e nascosta di ateismo”[1].
Panteisti detti “cristiani”
a) medievali
La forma panteistica medievale è quell’emanazionista o neoplatonica, essa la si trova soprattutto in Giovanni Scoto Eriugena ripropone una concezione panteistica neoplatonica o emanazionista, nel suo libro De divisione naturae (I, 3) chiamando Dio “omnium essentia” e “totum omnium” (ivi, I, 74). Le stesse espressioni le ritroviamo del falso misticismo renano di Meister Eckart.
b) rinascimentali
Mente il panteismo rinascimentale è piuttosto materialista, immanentista e tendenzialmente ateistico. Dio sarebbe un’emanazione della Natura (come per Teilhard de Chardin). Il maggior rappresentante di questa corrente è Giordano Bruno che qualifica Dio come “monas monadum”.
Panteismo moderno e contemporaneo
«A partire dal Cartesianesimo, una vena vagamente panteistica può trovarsi in quegli sviluppi occasionalistici [Malebranche, ndr], che negano ogni capacità di agire alle creature»[2].
La teoreticizzazione esplicita e completa del panteismo intellettualista la si ha con Spinoza[3] (“habens satanam suggerentem, R. Garrigou-Lagrange”) «in lui confluiscono tutti i motivi panteistici precedenti, e particolarmente neoplatonici, attraverso la Cabala: ma da tutti egli si distingue per il rigore razionale con cui vuol fondare la sua dottrina»[4].
Il cardinal Pietro Parente lo chiama “Monismo spiritualistico o Sostanzialismo, in cui la realtà è una sola sostanza, che si manifesta in due modi: estensione e pensiero, e quindi sia come materia sia come spirito, che è assieme Dio e mondo. Poi si presenta come Idea in perenne divenire con Hegel, come Io assoluto in Fiche e come Atto pensante in Giovanni Gentile”[5].
Spinoza ricerca e compendia i concetti che condurrebbero all’identificazione di Dio col mondo. Dopo aver posto un’unica Sostanza infinita e aver assorbito il mondo in Essa, Spinoza nega l’analogia per sposare solo l’univocità dell’essere di stampo parmenideo, conformemente al suo monismo. Così egli nega il concetto di Dio come Persona, il fatto che Egli agisca sul mondo come su un oggetto posto “di fronte” a Lui, e pure la distinzione reale di sostanze finite e create accanto ad un’unica Sostanza infinita e increata.
La conclusione cui Spinoza giunge è che ogni ente finito è un semplice modo d’essere dell’unica Sostanza infinita. Onde, panteismo e spinozismo son diventati sinonimi e per confutare scientificamente il panteismo bisogna fare i conti collo spinozismo.
Hegel, invece, ha apportato una variante dialettica o diveniristica (di stampo eracliteo) allo spinozismo panteistico. Il principio spinoziano secondo cui occorre vedere le cose dal punto di vista dell’Infinito è il punto di partenza dell’hegelismo, che poi lo sviluppa dialetticamente in quanto la Divinità è l’Idea che si attua logicamente (“pan-logismo”) attraverso uno sviluppo dialettico (tesi, antitesi e sintesi).
“Dopo Hegel la dottrina panteistica non ha più compiuto progressi sostanziali”[6]. Per Hegel la realtà è una costruzione logica dell’uomo. «Non più Dio, ma l’uomo è contemplato come creatore della realtà. Hegel è il punto culminante e insuperabile della cultura moderna: epoca che si consuma nell’ateismo o nichilismo assoluto, come esito dell’antropocentrismo o umanesimo assoluto; o Dio s’identifica panteisticamente col mondo, oppure è negato [ateisticamente] o “ucciso” [nichilisticamente] come realtà oggettiva in sé e per sé esistente»[7].
La modernità morì uccisa dalla postmodernità, che era la sua figlia più legittima e primogenita, tramite l’umanesimo antropocentrico, la secolarizzazione, il nichilismo e il sentimentalismo animalesco. «Il fallimento di Hegel è il fallimento di un’epoca, l’epoca moderna dell’immanentismo; è il fallimento dell’antropocentrismo prometeico, del tentativo di dare la scalata al Cielo»[8].
don C. Nitoglia
[1] R. Garrigou-Lagrange, La distinction réelle et la réfutation du panthéisme, in “Revue tomiste”, 1938, p. 700. Cfr. anche A. Zacchi, Dio, Roma, 2 voll., 1925; C. Fabro, L’uomo e il rischio di Dio, Brescia, Morcelliana, 1967; Id., Introduzione all’ateismo, Roma, Studium, 2 voll., 2a ed., 1969; R. Garrigou-Lagrange, Dieu, son existence et sa nature, Parigi, 2 voll., 1914 [→ traduzione Effedieffe, ndr].; M. Daffarra, Dio, Torino, 1938.
[2] A. Guzzo-V. Mathieu, voce “Panteismo”, in “Enciclopedia Filosofica”, del “Centro Studi Filosofici di Gallarate”, Firenze, Le Lettere, 2a ed., 1982, vol. VI, col. 243.
[3] Cfr. A. Guzzo, Il pensiero di Spinoza, Firenze, 1980; P. Di Vona, Studi sull’ontologia di Spinoza, Firenze, 1969; P. Siwek, L’ame et le corps d’après Spinoza, Parigi, Alcan, 1930; Id., Spinoza et le panthéisme religiuex, Desclée de Brouwer, Parigi, 1937; S. Zac, Spinoza et l’inteprétation de l’Écriture, Parigi, Puf, 1965; A. Dalledonne, Il rischio della libertà: S. Tommaso - Spinoza, Milano, Marzorati, 1990.
[4] A. Guzzo-V. Mathieu, voce “Panteismo”, in “Enciclopedia Filosofica”, ivi; cfr. anche M. F. Sciacca, voce “Panteismo”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1952, vol. IX, coll. 686-693.
[6] A. Guzzo-V. Mathieu, ibidem, col. 245.
[7] B. Mondin, Storia della metafisica, Bologna, ESD, 1998, 3° vol., p. 373.