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Così la Chiesa guarirà
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Cosa unisce oggi gli irriducibili esponenti progressisti della c.d. «scuola bolognese» e gli avversari ultratradizionalisti di Mons. Fellay? Il Concilio Vaticano II inteso come «evento»: in una parola semplicemente «il Concilio», come entrambi curiosamente lo appellano.

Se per i primi esso fu una sorta di palingenesi in cui la Chiesa cattolica avrebbe rigenerato se stessa e che va celebrato come punto di partenza che la avrebbe trasformata da «Corpo mistico di Cristo» in agenzia universale dell’«Umanità che raggiunge una più completa consapevolezza di sé», per i secondi esso appare non già come un «pasticciaccio brutto» da cui è obbligatorio trovare una via d’uscita, ma come un’ossessione tale da attribuirgli una forza che esso in sé non ha.

Certo c’è voluto molto tempo perché «il superdogma» s’incrinasse, ma oramai le voci di critica pubblica non solo del c.d. postconcilio, ma della stessa assise vaticasecondista si moltiplicano.

Il tempo in cui l’«evento» non ammetteva che spasmi, gemiti e mugolii è irrimediabilmente finito: aumentano i silenzi, i colpi di tosse, i borbotii e, vivaddio, persino qualche pernacchio.

Il fatto è che i «frutti» di ciò che quell’assise ha provocato sono sotto gli occhi di tutti. Anche in Vaticano.

Paradossalmente gli ultimi difensori dell’«evento» non sono solo i seguaci di Martini e Küng, ma anche certi «ultrà del Tradizionalismo duro e puro», che invece di capire che esso si sta sgretolando, contribuiscono ad impedire che esso venga semplicemente derubricato a ciò che è: in realtà una modesta assise pastorale, usata come espediente per svellere le verità eterne, da parte di uomini che nella Chiesa si erano annidati senza che l’autorità fosse in grado di smascherarli ed anzi favorendone non di rado persino la carriera ecclesiastica. Questo per ribadire che «historia non facit saltus», che quello non è affatto l’«evento», ma semmai il bubbone che ha fatto venire a suppurazione quanto da tempo (anzi, diciamo da sempre) cova nella Chiesa: la zizzania. Certo questa volta, secondo «lo spirito dei tempi», in dose industriale.

Dunque in sé modesta assise conciliare, maldestramente pastorale, mediaticamente gonfiata per fini antiecclesiali, che certo segna un grave momento nella Chiesa e che va criticamente archiviato, senza neppure troppa enfasi, per non contribuire a rinsaldarne il mito. Insomma, riporre con cura e maneggiare con cautela.

L’«offensiva di pace» lanciata da Benedetto XVI verso la Fraternità San Pio X nasce da una duplice consapevolezza: da un lato che occorre reagire all’occupazione della Chiesa da parte della setta neomodernista, visto che l’attuale struttura ecclesiale non ha spesso più neppure la consapevolezza del male che l’affligge, chiamando «Bene il male e Male il Bene». Dall’altro impedire ciò che all’interno degli ambienti tradizionalisti si sta talvolta verificando: una «silenziosa deriva» verso il sedevacantismo, contro cui mi pare stia coraggiosamente combattendo (talvolta in splendida solitudine!) Mons. Fellay.

Quanto al primo problema, il Papa per primo è consapevole dei mali gravissimi (e non fosse per fede nel «non prevalebunt» dovremmo dire irrimediabili) che affliggono la Chiesa ed è altrettanto consapevole che vasti settori delle gerarchie, del clero e dei «fedeli» aderiscono orami ad uno «pseudocattolicismo», che ha raggiunto e superato le peggiori eresie sviluppatesi in ambito protestante, con l’aggiunta di nuove derive gnostiche. Ciò che il Papa vuole tuttavia evitare è che questa lebbra, abbandonata a se stessa, corroda definitivamente le membra della Chiesa staccandone anche formalmente le membra: insomma il Papa ritiene che una azione più decisa (che anch’io individualmente auspicherei, ma, siccome lo Spirito Santo c’è, io non sono il Papa!) provocherebbe ulteriori rotture, probabilmente uno scisma sul fronte progressista, una uscita cioè formale dalla Chiesa, sostenuta, alimentata, foraggiata da vasti e potentati economici e culturali. Il fatto è che molte anime, che già vivono nell’errore, ma ancora con un legame per quanto tenue con la Chiesa, rischierebbero di perdere irrimediabilmente persino la possibilità di interrogarsi su quell’errore e di guarirne.

Questo spiega l’infinita prudenza con cui egli si muove e l’alternarsi di «mosse» contraddittorie, in un tentativo di riequilibrare la situazione, per riportare su di una rotta diversa la deriva progressista della Chiesa.

Si obietterà che a questa deriva il Card. Ratzinger non è stato estraneo e che la sua biografia potrebbe anche stare lì a testimoniare che quella che appare come una strategia contingente è in realtà un metodo, conseguente (come si dice da parte di più d’uno in ambito ultratradizionalista) all’influenza su di lui esercitata dalla filosofia tedesca.

Secondo costoro l’offensiva di pace ratzingeriana altro non sarebbe che la «trappola dialettica», suggerita non già dallo Spirito Santo, ma dall’hegeliano «Spirito della Storia». Se così non fosse e le intenzioni di Benedetto XVI fossero sincere, al Papa toccherebbe fare un ulteriore «mea culpa», in senso questa volta antimodernista, dopo i molti che soprattutto il suo predecessore ha fatto in senso inverso. Se egli non  lo fa, egli non paleserebbe altro che la pervicacia nell’errore e quindi – possiamo dirlo? – nel peccato. Avvicinarsi significherebbe contaminarsi.

Ma se così stanno le cose, se si pretende qui ed ora che il Papa dopo averlo fatto a «sinistra» si genufletta specularmene « a destra» per gli errori della Chiesa, si evidenzia nient’altro che un riflesso condizionato proprio di quella cultura dei «mea-culpa» post-conciliari ed anche in chi dice di trovarsi «in una cum» sta in realtà silenziosamente scavando il tarlo sedevacantista: insomma nella mente degli ultratradizionalisti quello non sarebbe il Papa, non può essere il Papa... cioè sarà anche materialmente il Papa, ma non è il Papa!

Sia chiaro, dietro questo pensiero (o retropensiero, perché di questo spesso si tratta nella mente di molti fedeli!) c’è forse anche anche una logica, ma non il Logos, cioè il Cristo. Perché qui c’è il mistero della Croce.

Intendo dire che, senza che cada uno iota, occorre quella che San Paolo chiama una «metanoia», impropriamente tradotto come conversione, in realtà significando «cambiamento di pensiero».

Dobbiamo ragionare con Cristo. Intendo dire che dobbiamo essere disponibili a sanare il corpo della Chiesa. Così come è, la Chiesa non può guarire. È troppo malata per guarire. Occorre che qualcuno accorra a sanarla.

Mi viene in mente (non a caso più sopra ho parlato di lebbra) che il «rischio contagio» non è nella logica di Cristo. Il lebbroso sanato da San Francesco era,

San Francesco guarisce il lebbroso
  San Francesco guarisce il lebbroso
«sí impaziente e sí importabile e protervo, che ognuno credea di certo, e cosí era, chegli fosse invasato dal dimonio, imperò chegli svillaneggiava di parole e di battiture sí sconciamente chiunque lo serviva, e, che peggio era, egli vituperosamente bestemmiava Cristo benedetto e la sua santissima madre Vergine Maria, che per niuno modo si trovava chi lo potesse o volesse servire. Ma Francesco non lo lasciò così, andò da lui «e posesi in orazione e pregò divotamente Iddio per lui. E fatta lorazione, ritorna a lui e dice cosí: – Figliuolo, io ti voglio servire io, da poi che tu non ti contenti degli altri. - Piacemi; – dice lo infermo, – ma che mi potrai tu fare piú che gli altri? – Risponde santo Francesco: – Ciò che tu vorrai, io farò. – Dice il lebbroso: – Io voglio che tu mi lavi tutto quanto, imperò chio puto sí fortemente, chio medesimo non mi posso patire. – Allora santo Francesco di subito fece scaldare dellacqua con molte erbe odorifere, poi spoglia costui e comincia a lavarlo colle sue mani, e un altro frate metteva su lacqua. E per divino miracolo, dove santo Francesco toccava colle sue sante mani, si partiva la lebbra e rimaneva la carne perfettamente sanata. E come si cominciò a sanare la carne, cosí si cominciò a sanare lanima; onde veggendosi il lebbroso cominciare a guarire, cominciò ad avere grande compunzione e pentimento de suoi peccati, e a piagnere amarissimamente; sicché mentre che il corpo si mondava di fuori dalla lebbra per lavamento dacqua, lanima si mondava dentro dal peccato per la contrizione e per le lagrime. Ed essendo compiutamente sanato quanto al corpo e quanto allanima, umilmente si rendette in colpa e dicea piagnendo ad alta voce: – Guai a me, chio sono degno dello inferno per le villanie e ingiurie chio ho fatte a frati, e per la impazienza e bestemmie chio ho avute contro a Dio. – Onde per quindici dí perseverò in amaro pianto de suoi peccati e in chiedere misericordia a Dio, confessandosi al prete interamente. E santo Francesco veggendo cosí espresso miracolo, il quale Iddio avea adoperato per le mani sue, ringraziò Iddio e partissi indi, andando in paese assai di lunge; imperò che per umiltà volea fuggire ogni gloria mondana e in tutte le sue operazioni solo cercava lonore e la gloria di Dio e non la propria. Poi, coma Dio piacque, il detto lebbroso sanato del corpo e dellanima, dopo i quindici dí della sua penitenza, infermò daltra infermità; e armato dei Sacramenti ecclesiastici si morí santamente. E la sua anima, andando a Paradiso, apparve in aria a santo Francesco, che stava in una selva in orazione, e dissegli: – Riconoscimi tu? – Qual se tu? – dice santo Francesco. Ed egli: – Io sono il lebbroso il quale Cristo benedetto sanò per i tuoi meriti, e oggi vo a vita eterna; di che io rendo grazie a Dio e a te. Benedetta sia lanima e il corpo tuo, e benedette le tue parole e le tue operazioni; imperò che per te molte anime si salveranno nel mondo. E sappi che non è dí nel mondo, nel quale i santi angeli e gli altri Santi non ringrazino Iddio de santi frutti che tu e lOrdine tuo fate in diverse parti del mondo; e però confortati e ringrazia Iddio, e sta colla sua benedizione. – E dette queste parole, se nandò in cielo; e santo Francesco rimase molto consolato».

Ecco credo che occorra ragionare così verso la Chiesa: bisogna avere il coraggio di avvicinarsi, di lavarla, di pulirla, di amarla e a mano a mano che la si lava, a mano a mano che la si pulisce com’è per il lebbroso di San Francesco potremo vederla guarire.

Guarirà la Chiesa, sì guarirà per opera di Dio, perché questa è la Sua Chiesa e si ravvederà non perché pretenderemo dal Papa un «mea culpa» (che per chi ama la Tradizione sarebbe anche esteticamente osceno!), ma semplicemente per quella medesima «Logica» che San Francesco capì, lavando il lebbroso:

«…onde veggendosi il lebbroso cominciare a guarire, cominciò ad avere grande compunzione e pentimento de suoi peccati, e a piagnere amarissimamente; sicché mentre che il corpo si mondava di fuori dalla lebbra per lavamento dacqua, lanima si mondava dentro dal peccato per la contrizione e per le lagrime».

Così la Chiesa guarirà, per dirla con Francesco «a laude di Cristo». Amen.

Domenico Savino



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