La guerra al terrore: la provetta fasulla e troppi contractor
Stampa
  Text size
Come volevasi dimostrare: ora è permesso dire che Bush ha creato uno Stato criminale nello Stato. Cosa che era chiara fin dal 12 settembre 2001. Sempre sulla notizia, la stampa italiana

Pagano tangenti in Afghanistan. Sequestrano e interrogano presunti jihadisti. Uccidono combattenti nemici. E nei centri d’addestramento della Cia formano una nuova generazione di spie. Sono i professionisti dell’intelligence assoldati da Washington, un esercito sterminato di “contractor” protagonista di una guerra al terrore in buona parte privatizzata.

Le rivelazioni pubblicate ieri dal Washington Post però - seconda puntata dell’inchiesta sull’enorme apparato di sicurezza che si è sviluppato in America dopo l’undici settembre - non turbano più di tanto il Colonnello Lawrence “Larry” Wilkerson.

«La cosa che davvero mi stupisce - dice al Riformista - è che abbiano avuto bisogno di due anni di ricerche per “scoprire” questa situazione. Arrivano tardi e non fanno che sfiorare la superficie dei problemi. Sono anni che racconto queste cose nei miei seminari».

Inganni e deformità di questo decennio di guerra il Colonnello del resto li conosce bene. Pertrent’anni è stato il braccio destro di Colin Powell. Fu lui a preparare la presentazione del casus belli iracheno, con la quale il Segretario di Stato degli Stati Uniti nel febbraio 2003 tentò - senza fortuna - di vendere l’intervento militare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Le prove erano fragili o fasulle. Wilkerson lo capì troppo tardi. Il Colonnello ebbe solo una settimana per controllare le informazioni sulle armi di distruzione di massa che gli passò l’intelligence. Ma non gli basta per assolversi.

«È stato il punto più basso della mia vita professionale, ho partecipato a una truffa ai danni del popolo americano e della comunità internazionale» confessò tre anni dopo. E da allora è diventato uno dei critici più schietti del pro-cesso decisionale in tempo di guerra.

Alla vigilia dell’intervento militare, racconta il Colonnello Wilkerson al Riformista «si era formata fra noi la convinzione che le armi ci fossero. Non avevamo tutte le prove? Le avremmo trovate una volta in Iraq».

Il fallimento della intelligence community però - spiega Wilkerson - fu causato dalle pressioni del vertice politico e in particolare del vicepresidente Dick Cheney.

«Aveva piazzato i suoi uomini ovunque. Io ne avevo due sempre alla costole. Dovevano assicurarsi che il mandato della Casa Bianca fosse eseguito correttamente. Così è passata la linea del “cherry-picking”, venivano scelte solo le informazioni più convenienti».

Questo è un caso diverso: non è in discussione la “politicizzazione” dell’intelligence ma al contrario, la dipendenza del Governo da partner privati.

«I rischi che derivano dalla privatizzazioni delle funzioni pubbliche sono molto alti» spiega Wilkerson. «E non stiamo privatizzando solo la raccolta e l’analisi dell’intelligence ma la guerra stessa. Basta guardare quanti contractor sono presenti sui cam-pi di battaglia rispetto al passato».

Al Washington Post anche i vertici dell’apparato di sicurezza esprimono preoccupazione. Il Segretario della Difesa Bob Gates preferirebbe affidarsi a «delle persone che fanno questo lavoro per servire il Paese, non solo per denaro».

Il rispetto delle regole federali, che vietano ai contractor di esercitare funzioni «governative», peraltro lo imporrebbe. E il perché è chiaro al direttore della Cia Leo Panetta: «C’è un evidente conflitto d’interessi, loro devono rendere conto in primis ai loro azionisti, non all’interesse pubblico». Conflitto che è di casa a Langley visto che un terzo delle attività della Cia sono state appaltate a privati.

L’”outsourcing" della sicurezza è stato inizialmente voluto dall’amministrazione Bush perché sembrava un risposta più efficace e economicamente razionale alle necessità della guerra al terrore. La Cia e le altre agenzie avrebbero potuto assoldare rapidamente, e a prezzi contenuti, una forza lavoro più flessibile.

Non è andata così. La spesa per la sicurezza dall’undici settembre è stata «un pozzo senza fondo» riconosce Bob Gates che s’impegna a riportare la percentuale dei privati al livello pre-attentato. E l’amministrazione Obama complessivamente ha già tagliato del 7% il numero dei privati, annota il Washington Post. Gates però contessa cne «non riesco nemmeno a sapere quanti siano i contractor nel mio staff».

Tagliare è difficile - spiega ancora Panetta - perché «siamo stati dipendenti dai contractor per troppo a lungo, ci vuole tempo per sostuire quel tipo di expertise». E il tempo potrebbe non bastare. La privatizzazione della sicurezza ha innescato un circolo vizioso. Il boom della domanda di professionisti ha spinto molti esperti a lasciare il settore pubblico per mettersi sul mercato.

Le agenzie governative si trovano così ad assoldare come contractor i loro migliori ex-dipendenti. E ormai -sintetizza il Washington Post-«le compagnie private sono talmente intrecciate alle più delicate attività governative che la loro assenza potrebbe compromette o far cessare cruciali missioni militari o di intelligence».

Il processo potrebbe quindi essere irreversibile. Tanto più che recenti notizie di cronaca gettano qualche ombra sulle buone intenzioni registrate dal Post. Non più tardi di tre settimane fa il Congresso ha chiesto chiarimenti al governo per i nuovi ricchi contratti conclusi con la Xe services (ex Blackwater) - la compagnia militare più famosa e famigerata del mondo, accusata di omicidi indiscriminati di civili in Iraq. Leo Panetta ha spiegato che la Cia sborserà 100 milioni perché «nei teatri di guerra abbiamo bisogno di sicurezza per le nostre basi e le offerte della Xe sono molto competitive».

Il Colonnello Wilkerson al Riformista sottolinea che le deformazioni del sistema hanno anche altre spiegazioni.

«I contractor permettono al Dipartimento della Difesa di aggirare i limiti al numero del militari (il cosiddetto “personnel end strength” ndr) fissati per ogni servizio dal Congresso. Questi contractor - in poche parole - permettono al presidente di fare la guerra quando il numero insufficiente di militari disponibili dovrebbe consigliarli di pensarci due volte».

Il Governo peraltro ha risposto con puntiglio alle critiche mosse dal quotidiano nella prima puntata dell’inchiesta. L’Office of the Director of National Intelligence (Odni) rivendica i successi nel proteggere il Paese e spiega che sprechi e ridondanze messe in luce dal quotidiano sono in realtà intenzionali «analisi competitive», necessarie per arrivare più vicini alla verità.

Ma per il Colonnello Wilkerson lo stesso Odni - messo in piedi nel 2004 per coordinare i lavori della “intelligence comunity” - dimostra il fallimento della riorganizzazione dell’intelligence dopo il fiop iracheno.

«Ha perfino peggiorato le cose. La competizione tra agenzie ha portato a un’ulteriore frammentazione del sistema».

Il bilancio del Colonnello è fosco.

«Aldilà di alcuni successi nella lotta contro i qaedisti, questa crescita incontrollata del sistema di sicurezza non ha reso l’America più sicura. E certamente ha peggiorato la qualità della nostra democrazia».

Luigi Spinola

 Fonte >  Il Riformista | 21 luglio

Home  >  Worldwide                                                                               Back to top