Dopo cinque anni l’assassinio di Anna Politkovskaya resta impunito
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Solita propaganda antirussa che confonde malavita con governo forte

Quando, nel tardo pomeriggio del 7 ottobre 2006, arrivò la notizia dell’assassinio di Anna Politkovskaya di fronte all’ascensore del palazzo di Mosca in cui abitava, alla reazione di dolore per aver perso un’amica, una straordinaria giornalista e una coraggiosa attivista per i diritti umani si aggiunse l’incredulità: avevano fatto fuori “persino lei”, che era così famosa. Che ne sarebbe stato degli altri?

Nei giorni successivi, fu facile rendersi conto che, in Russia, Anna era molto più isolata di quanto si potesse immaginare. Si era fatta amici senza molto potere: le organizzazioni per i diritti umani, i colleghi giornalisti e soprattutto le vedove, le madri e le mogli cecene, che a lei affidavano, perché solo di lei si fidavano, la loro pena e le loro denunce.

Si era fatta nemici con tanto potere a Grozny, la capitale della Cecenia, e a Mosca. Nemici suoi e amici di altri, in Europa inclusa l’Italia, da riverire, blandire e generosamente ospitare.

Per conto del suo giornale, la Novaya Gazeta, Anna si era occupata delle violazioni dei diritti umani nel Caucaso dal 1999 e da quello stesso anno erano iniziate le minacce e le intimidazioni, tra cui un tentativo di avvelenamento.

L’inchiesta sul suo assassinio procede tra lentezze e passi falsi. Il 19 febbraio 2009, un primo processo si era chiuso con l’assoluzione dei tre fratelli ceceni Makhmudov dall’accusa di aver eseguito l’omicidio. Dopo il ricorso dei familiari di Anna e della stessa pubblica accusa, l’inchiesta contro i tre sospetti killer è ripartita: nel maggio di quest’anno, uno di loro, Rustam Makhmudov, è stato arrestato (si è appreso che, nonostante un mandato di cattura internazionale, viaggiava  indisturbato tra Russia e Belgio!). Il 23 agosto è finito in carcere anche il colonnello Dmitry Pavlychenkov, già testimone chiave nel primo processo: inizialmente accusato di aver organizzato l’omicidio, ora è sospettato di avervi preso meramente parte. Secondo la pubblica accusa, l’organizzatore sarebbe un parente dei tre fratelli Makhmudov, tale Lom-Alik Gaitukaev.

Presunti esecutori, presunti organizzatori. Fin qui pare una storia cecena, e già non sarebbe poco. Quello che manca di sapere (e chissà se l’inchiesta ci arriverà) è chi ha voluto tappare la bocca ad Anna ordinando la sua eliminazione e se e chi abbia condonato, coperto o protetto tutto ciò.

Nel frattempo, gli attacchi contro i difensori dei diritti umani, gli attivisti della società civile e i giornalisti proseguono, come dimostra un nuovo rapporto di Amnesty International che viene diffuso oggi: 21 pagine fitte, purtroppo, di nomi e cognomi.

Storie note, come quella di colei che era chiamata l’erede di Anna, Anastasia Baburova, uccisa nel centro di Mosca il 19 gennaio 2009 insieme all’avvocato e difensore dei diritti umani Stanislav Markelov.

Storie sconosciute, lontane migliaia di chilometri da Mosca e da Grozny, come quella di Aleksandr Chernega, direttore ed editore di Paramushir, quotidiano locale dell’omonima isola delle Kurili, nell’Oceano Pacifico. Il 3 febbraio di quest’anno due sconosciuti lo hanno preso a bastonate. Aveva denunciato la corruzione e la cattiva gestione amministrativa delle autorità locali. I negozi del posto avevano già ricevuto l’ordine di non vendere il suo giornale ma ciò, evidentemente, non era bastato.

Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, dal 1992 al 2011 in Russia sono stati assassinati 52 giornalisti. La Federazione internazionale dei giornalisti, che utilizza una più ampia definizione di questa professione, parla di 96 omicidi tra il 1996 e il 2006. Il Relatore speciale dell’Onu per la promozione e la protezione dei diritti alla libertà di opinione e alla libertà d’espressione, solo un anno fa, ha classificato la Russia come il quarto paese al mondo per numero di giornalisti uccisi.

Riccardo Noury

Fonte >  Corriere.it


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