Obsolescenza dei cittadini
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«Leconomia rallenta perchè i ricchi spendono meno»: così suonava una recente inchiesta della Associated Press. Vi si illustrava come il 5% degli americani più ricchi pesino per il 14% nelle spese per consumi, e dunque avendo essi ridotto le loro spese di lusso a causa della crisi, siano la vera causa della mancata ripresa. Il 5% sono quelli che guadagnano almeno 210 mila dollari l’anno, ma questo è il limite inferiore; il limite superiore è il cielo stellato.

Come per esempio Larry Ellison, il presidente della Oracle, che nell’ultimo decennio ha guadagnato 1,84 miliardi di dollari (ancorchè i detentori di azioni Oracle abbiano ottenuto un profitto negativo del 43%) ed anche lui ha annunciato che taglierà alcune spese. Con gran sgomento dei redattori, perchè si teme che la nuova tendenza di Ellison al risparmio si rifletterà sicuramente sull’economia di San Josè, California, dove il riccone abita e dove tiene yacht, camerieri, cuochi e giardinierei, e sfarzosa villona di solito impegnata in party raffinati quanto affollati.

«I ricchi sono il motore primo delleconomia», conclude l’articolo: «Quando spendono e spandono, leconomia ruggisce; quando tagliano, leconomia perde colpi. Il resto di noi (il 95% della popolazione, ndr) siamo al loro rimorchio».

Dal punto di vista del liberismo, il ragionamento non fa una grinza, e certamente l’economista Giavazzi ne farà argomento di lezioni alla Bocconi. In America, l’1% della popolazione più doviziosa detiene il 43% degli attivi finanziari del Paese, e dunque è stato colpito più duramente del restante 99% dal crollo delle Borse. Vero è che gli astronomici salvataggi a suon di trilioni di dollari, avanzati dalla Federal Reserve (a spese dei contribuenti futuri, per generazioni) hanno consentito a costoro di recuperare il 13% della ricchezza perduta l’anno passato; ma ovviamente sono ancora sotto rispetto ai massimi a cui erano abituati. Persino loro cominciano a temere un secondo crollo (double dip) e una vera grande recessione anni ‘30, sicchè si fanno risparmiosi.

«Più la loro ricchezza si restringe, più diventano sparagnini», dice alla AP David Levy, del Jerome Levy Forecasting Center.

La conclusione implicita è: bisogna che il resto della popolazione stimoli i ricchissimi a continuare a spendere, per il suo stesso bene. Per esempio accettando senza protestare un nuovo taglio fiscale ai redditi altissimi (come già fece Bush), e riducendo le proprie pretese salariali: occorre restituire potere d’acquisto ai miliardari perchè tutto il resto della popolazione è – come ha lucidamente spiegato la AP – una sorta di bagaglio al seguito sul tettuccio della Rolls Royces. Ovvia la tentazione di gettare via ancora un po’ di quel bagalio. (A WEALTHY STIMULUS NEEDED)

Un blogger sarcastico avanza varie proposte pro-miliardari. Se la rottamazione auto di Obama (lo Stato ha dato un sussidio a chi in America scambiava la sua auto vecchia con una nuova) ha incentivato l’industria automobilistica, per i ricchissimi si propone una rottamazione-diamanti: un sussidio di 20 mila dollari a chi scambia il suo vecchio brillante usato con uno nuovo, più grosso e più puro. Altra proposta: un nuovo taglio fiscale a chi prende sopra i 200 mila dollari, compensato da un aumento di tasse agli agricoltori, che non spendono i soldi (perchè non li hanno).

Insomma i poveri e il ceto medio devono aiutare i ricchi, così almeno si renderanno utili.

Non è poi tanto paradossale. Comincia ad albeggiare nella coscienza del popolo americano il fatto che il trionfo definitivo del liberismo globale finanziario e senza regole (quel liberismo che hanno fortemente voluto essi stessi) li ha privati della loro utilità sociale.

«Il popolo americano è diventato obsoleto?», si domanda un articolo di Salon.com. I ricchi, nel mondo globalizzato, sono diventati autosufficienti e non hanno più bisogno di noi. (Are the American people obsolete?)

Anche i più avidi e feroci capitalisti dell’altro secolo, i Rockefeller, i J.P. Morgan, i Vanderbilt, gli Astor (i cosiddetti «robber barons»), vivevano pur sempre a fianco della classe operaia americana e sotto gli occhi del ceto medio, potevano temere scioperi e persino rivoluzioni; avevano bisogno delle masse dei loro concittadini almeno come mercato a cui vendere le loro merci e i loro servizi; ne avevano bisogno come produttori e come soldati o poliziotti per mantenere l’ordine publico. Erano perciò cointeressati a mantenere un certo equilibrio sociale, ed accettavano – in cambio dell’eccesso di ricchezza nazionale che si accaparravano – di pagare tasse «sporporzionate» (cioè a prelievo progressivo) per finanziare le reti di previdenza sociale.

Oggi, questo patto sociale è stato rotto, e senza contraccolpi dannosi per i privilegiati. La de-localizzazione delle industrie significa che le multinazionali non hanno più bisogno della forza-lavoro nazionale, e possono far profitti più di prima mandando i lavori in Cina; se poi i lavoratori cinesi si ribellano e chiedono salari migliori, possono spostare i lavori in un altro Paese. Il mondo è vasto, e miliardi di disoccupati si contentano di 2 dollari al giorno. E se poi i cinesi si rivoltano nelle piazze, non verranno certo a minacciare le magioni di Manhattan e le ville di San Josè, ad ogni buon conto fortificate e guardate da sorveglianti privati.

I super-ricchi non hanno nemmeno più bisogno dei loro concittadini come mercato di massa per le loro merci industriali. Per cominciare, gli americani medi hanno ridotto i consumi dovendo smaltire i debiti personali accumulati negli anni del finto boom immobiliare, quando il valore della loro casa cresceva, facendoli credere proprietari di un patrimonio infinitamente rivalutato. Già la classe media americana, impoverita, pesa meno come blocco di consumatori, delle immensa masse crescenti in Cina e in India. E non parliamo dei poveri veri e propri, che sono da sempre cattivi consumatori, ossia inutili: esiste da mezzo secolo in USA, e sta crescendo in Europa , un «mercato pauperistico del consumo» per questi pulciosi senza potere d’acquisto: scarpe da 17 dollari al paio Made in  China, hamburger da 4,5 dollari, calzini corti di filanca pakistani, eccetera, jeans vietnamiti. Lo dimostra il pullulare di quei negozietti tenuti da cinesi dove si trovano questo genere di merci per miserabili.

Già adesso i due terzi degli americani sono occupati nei «servizi alla persona», e i soli lavori sempre più richiesti sono nel settore parasanitario, o come badanti, baby-sitter, camerieri di ristoranti e McDonald’s, e addetti alle lavanderie.

Insomma già adesso il popolo americano campa lavandosi l’un l’altro le camicie sporche e tenendosi a vicenda i mocciosi, oppure dandosi a vicenda spettacolo dozzinale (veline in TV) o prostituendosi (il primo e più antico «servizio alla persona»). La tendenza è già ampiamente visibile in Europa, ed è la «società dei servizi» di cui alla Bocconi si raccomanda «l’evoluzione» dalla antiquata «società industriale» ormai non-competitiva.

D’altra parte, anche in questi campi la massa dei cittadini è insidiata dalla concorrenza degli immigrati: quelli che accettano «i lavori che noi non vogliamo più fare». Quel tipo di non-qualificati di cui la società plutocratica autosufficiente ha bisogno, che accettano paghe basse, che essendo illegali non hanno diritti, e per giunta, con il pluralismo etnico, ostacolano la sindacalizzazione. E inoltre, filippini e nigeriane, come servi, sono più chic.

Dunque i super-ricchi non hanno più bisogno dei concittadini nè come lavoratori, nè come consumatori – tanto più che i ricchi dei ricchi non producono nemmeno più merci, ma prodotti finanziari («L’industria» per eccellenza, la chiamano a Wall Street). Per lo più, gli stra-miliardari prosperano con qualche trovata che non ha alcun legame con l’economia nazionale: ossia hanno trovato il modo di arricchirsi anche se la popolazione generale s’impoverisce e l’economia declina.

Ma i cittadini non occorrono più nemmeno come soldati: la leva obbligatoria universale di un tempo, che sfruttò lo spirito nazionale dei popoli e (soprattutto) il patriottismo delle classi medie  per trascinarle nelle due guerre mondiali, è stata sostituita dall’esercito professionale stipendiato, e – sempre più – di contractor privati, ossia mercenari, spesso arruolati all’estero, più adatti alle guerre neo-coloniali che interessano al capitalismo terminale. Tali guerre possono durare decenni come in Afghanistan e in Iraq senza suscitare la protesta politica delle vedove, degli orfani, dei genitori che persero i figli in Vietnam, e che alla fine espressero la loro contrarietà in piazza e nel voto.

Non è un caso, nota Salon, che di tanto in tanto, sui media di elites, appaia la proposta di costituire una Legione Straniera Americana di professionisti immigrati, da attrarre con la promessa di cittadinanza USA. E’ solo questione di tempo, e i super-ricchi valuteranno il vantaggio di sostituire anche i poliziotti con mercenari extracomunitari con visto temporaneo, estranei alla popolazione nazionale che saranno chiamati a reprimere, e più deferenti verso i padroni da cui dipende l’estensione del visto.

Non è un paradosso ironico. Il giornalista Michael Lind di Salon elenca qualche esempio della mentalità dei ricchi post-industriali, della loro suprema sicurezza, senza sensi di colpa, con cui tradiscono la loro convinzione che il popolo sia ormai superfluo.

Patricia Buckley
   Patricia Buckley
Patricia Buckley, moglie radicalchic (scomparsa nel 2007) del giornalista conservatore di lusso William F. Buckley jr. (scomparso nel 2008), recentemente aveva esclamato: «A Manhattan, semplicemente, non si può vivere senza almeno tre persone di servizio, un cuoco e due cameriere». Lei il cuoco l’ha assunto inglese, e le sua cameriere sono ispaniche; più deferenti e meno costose di servi americani, che se ne vanno in giro per l’attico con l’aria, altamente sgradevole, di sentirsi concittadini e dunque democraticamente pari dei padroni.

Il sindaco di New York, il finanziere miliardario ebreo Michael Bloomberg, di recente ha difeso l’apertura delle frontiere all’immigrazione illegale con questo argomento: «E chi cura sennò il green del nostro campo da golf?». (For Bloomberg, Golf’s a Foe With No Term Limits)

E’ una frase altamente rivelatrice: benchè sia anche un politico e quindi (si potrebbe credere) cauto nel tener conto degli umori dell’elettorato, Bloomberg in realtà si preoccupa di convincere solo i suoi pari in miliardi, parla solo a loro e delle loro preoccupazioni di casta ( «Non si trova più un giardiniere decente, di questi tempi»); non c’è segno più chiaro di quanto, per lui e la sua cerchia, i cittadini nazionali siano diventati superflui. Obsoleti. Trascurabili.

Michael Bloomberg
   Michael Bloomberg
La frase di Bloomberg può sembrare un calco di quella attribuita a Maria Antonietta dai propagandisti rivoluzionari: «Non hanno pane? Mangino le brioches». Ma attenzione, in realtà riflette una situazione sociale rovesciata. Allora, ad essere sentiti come superflui erano gli aristocratici fannulloni impegnati nelle feste di Versailles, ed appunto per questo la Rivoluzione Francese riuscì, e si liberò di quei parassiti ghigliottinandoli. Oggi, con la globalizzazione, la delocalizzazione e l’immigrazione, i super-ricchi sono riusciti a rendere superflui e superati il 95% dei cittadini.

Ciò ci dice che sì, in questi dieci anni passati è avvenuta una rivoluzione pari a quella del 1789 in Francia: solo che l’hanno scatenata i miliardari, e l’hanno vinta loro. Hanno sferrato la lotta di classe, e hanno trionfato. E’ questo il motivo per cui lo Stato ha aiutato solo loro nella crisi, per cui loro soltanto si sono accaparrati i trilioni per il salvataggio dei loro istituti finanziari, e il motivo per cui non è stato possibile regolamentare le più folli attività della speculazione: comandano loro, bastano a se stessi, e possono pagarsi i politici che impediranno una nuova Glass Steagal Act.

Hanno spezzato il contratto sociale che univa i più ai pochi nel comune destino, e possono procedere all’eliminazione dei superflui. Anche se sono masse.

«Il popolo americano ha esaurito la sua utilità per la minoranza de ricchi americani», constata Salon, «forse dovremmo tutti quanti emigrare».

Gli Stati Uniti della Rviluzione Plutocratica potrebbero – suggerisce con malinconica ironia il giornale – ricorrere al metodo già usato dalle aristocrazie e plutocrazie passate: incentivare l’immigrazione. Come ai tempi dell’impero britannico quando le bocche inutili e le classi pericolose (leggi: disoccupati senza qualifica) di Londra venivano impacchettate e spedite a popolare l’Australia e a servire in India, così gli americani dovrebbero essere incentivati a emigrare nei Paesi emergenti – là dove, dopotutto, sono stati spostati gli investimenti e i posti di lavoro.

Cinesi e indiani non saranno contenti di questo afflusso di bianchi; ma i supercapitalisti cinesi e indiani, non meno di quelli americani, saranno ben lieti di collaborare, sapendo che la plurietnicità impedisce la sindacalizzazione, e che l’afflusso di nordamerticani in Asia orientale contribuirà a rendere i salari anche là «competitivi» per qualche decennio ancora. E in USA, la Previdenza Sociale sarà molto alleviata dalla sparizione delle masse di bisognosi di pensione, sussidi di disoccupazione e sanità.

La buona notizia è che in USA sia apparso un articolo del genere. Significa che comincia ad albeggiare là la consapevolezza, fra gli americani, che il capitalismo ultimo li ha privati di molto di più che del loro benessere e del sogno americano; li ha privati della cittadinanza, della dignità e dei diritti politici - precisamente quei diritti che generazioni di padri e nonni si sono guadagnati col lavoro, e con il servizio militare di massa. Lo spostamento delle fabbriche ha privato gli opeari delle leve del potere che gli restavano, lo sciopero e la rivendicazione della redistribuzione della ricchezza. La liberazione dall’obbligo di leva, salutata con tanto sollievo dalle nostre generazioni, ha privato i cittadini delle armi tout-court, ossia della extrema ratio del potere popolare. E’ il dovere di servire la patria con la vita, che dà diritti sulla patria. Senza armi nè lavoro materiale, non c’è più popolo, come entità politica.

Ma almeno in USA si comincia ad accorgersene, il che è bene. Siccome in Europa e massimamente in Italia non si accettano idee se non quelle che arrivano dall’America, chissà che – con il consueto ritardo – anche da noi non si affermi questa nuova, inedita coscienza di classe, e che non si cominci a rifiutare l’idea che ad essere superfluo sia il popolo.

Perchè anche da noi la situazione è identica. Anche da noi i lavori vanno all’estero, e gli immigrati entrano a frotte; anche da noi i giovani che hanno studiato «troppo» ed hanno qualificazioni troppo alte, devono emigrare, mentre da noi servono badanti rumene, cameriere filippine e le ragazze italiane di coscia lunga coltivano – e ne sono persino contente – la prospettiva «di lavoro» di essere invitate ad ornare lo yacht dei ricchi, e di essere usate nel lettone del miliardario nel suo villone in Costa Smeralda, magari subendo per giunta la concorrenza del viado brasileiro.

E’ evidente che le nostre figlie si sentono loro per prime superflue, visto che ritengono già una riuscita personale dedicarsi a questi servizi alla persona; e che i nostri figli sono resi superflui dal degrado della nazione e della società, che non sa che farsene delle loro competenze superiori e rare.

La sola differenza è che mentre in USA a rendere superfluo il popolo sono stati i ricchissimi privati, da noi sono i grandi parassiti pubblici. Le caste funzionariali e i grand commis alla Balducci (2 milioni di euro annui) ma anche i politici – vedi Gianfranco Fini che regala un immobile del partito al cognato – si comportano come si comportano perchè ormai ci ritengono obsoleti; hanno tanto perfezionato la «democrazia», da non aver bisogno del nostro voto, e dunque da non dover temere il nostro giudizio.

La loro corruzione e incompetenza, dilagante oltre ogni schieramento, è un indice della nostra superfluità: non hanno paura di noi, non si sentono obbligati verso di noi a nulla, perchè ci hanno evirato della cittadinanza. Ma per essere giusti, ci siamo lasciati evirare, rinunciando lietamente ai duri impegni del cittadino, che danno duri diritt. Ci siamo liberati dell’orgoglio collettivo e della coesione e solidarietà sociale, della nazione e della memoria. Gli serviamo, se mai, solo per un aspetto: come contribuenti.

La rivolta può e deve nascere da qui. Ma dobbiamo riconquistare la coscienza che gli obsoleti non siamo noi. Che i superflui sono loro, e dunque possiamo liberarcene eliminandoli. Campa cavallo, finchè la coscienza non ci arriverà dagli USA.


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