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Una risata li seppellirà?
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Teppisti romani devastano un paio di negozietti di bengalesi e di cingalesi; immediatamente, per espiazione, il ministro dell’Interno Maroni va in visita alla comunità. Non a quella cingalese nè a quella bengalese ma - come abbiamo visto - alla comunità ebraica. E’ lì che si espia contro le «discriminazioni».

Lo abbrancano, gli impartiscono lezioni sulla tolleranza, gli fanno visitare le quattro carabattole del museo, e la sinagoga; lì, sotto le telecamere, gli calzano la kippà, per la prova video-fotografica della sottomissione. Lui ha persino l’aria spaventata. Che cosa ti hanno fatto, Bobo? Il capo dei paramilitares sion-romaneschi, il Pacifici, sempre accanto a te, ti sta storcendo il braccio?

No, è tutto spontaneo, volontario. Il direttore del TG1, Riotta, non lo batte nessuno in leccapiedismo. Escogita una notizia di non-attualità: è tornata la pirateria, allo scopo di imbastire un’intervista con un «esperto di Foreign Policy». Che si chiama Moise Naim, un nome a caso. Il Riotta è atteso da brillanti avanzamenti di carriera.

Intanto, il governo del Salame, forte di schiacciante maggioranza, va in schiacciante minoranza su un maxi-decreto. A governo appena insediato. Con schiacciante maggioranza. Il perchè è noto: nel maxi-decreto c’è la piccola norma per salvare Rete 4 dal destino satellitare, in violazione dei diktat europei.

Detesto dire «ve l’avevo detto», ma ricordo che da poco avevo scritto qualcosa dal titolo «Avranno il tempo di deluderci». Il tempo è arrivato prima del previsto. Perchè il Salame è così: non riesce a recitare la parte di «statista» se non per qualche minuto, ma poi non ce la fa. Deve tornare al suo livello: salvare Rete4, l’introito pubblicitario suo di casa Mediaset. Con una furbata da venditore di spazzole porta a porta. E la furbata, essendo il Salame un Salame, nemmeno gli riesce.

Diversi parlamentari della sua solidissima maggioranza si assentano per il caffè, per la pipì, per un residuo di vergogna. Così, appena insediato, il Salame ha messo in gioco il suo governo, la sua credibilità, per il suo solito affare di famiglia. L’erosione è cominciata, sicuramente continuerà. Occhio alla Lega.

Si noti: è questo il primo provvedimento reale del governo, alla pari con l’ordine di Frattini di mandare in guerra la truppa in Afghanistan. Tutto il resto è stato promessa, annuncio, ammuina, disgraziati poliziotti mandati allo scontro fisico con la Camorra con i mezzi da contrasto alle tifoserie.  In altri Paesi si usano almeno gli idranti (nel caso, andrebbero caricati a liquami di fogna), qui bisogna mandare gli agenti a beccarsi le molotov dei facinorosi pagati. Poi, il compromesso coi «locali». Inevitabile.

Non è moralismo, credete. E’ lo sconforto di vedere ancora e sempre che il Salame non è capace di alzarsi di livello, di allargare la mente: è al governo per il micragnoso proposito di «salvare» Emilio Fede, come ci andò già per «salvare» Previti (anche allora senza riuscirci). Il venditore brianzolo di mezza tacca salta sempre fuori, è più forte di lui. E’ la testa che è piccola. Nessuna idea, nessun disegno ambizioso e nazionale.

Una risata li seppellirà? Speriamo nel senso dell’umorismo, di cui la nazione è carente. Altrimenti, ci resterà la foto di Bobo-ministro in kippà noachica. La politica estera appaltata ai paramilitari israeliani e ai loro leccchini. E basta.

Ah no, dimenticavo: ci resteranno anche le poesie che Bondi, il ministro della Kultur, invia a Jovanotti per attrarlo nel cerchio magico del suo ministero. Bondi è innamorato per il ragazzone. Jovanotti alla Cultura insieme ad Elkann. Ah, perchè l’Italia non ha il senso del ridicolo?

Persino nel mondo anglosassone il dominio di chi sappiamo non è così indiscusso come da noi. Uno dei migliori opinionisti del Financial Times (1), Gideon Rachman (lui stesso ebreo) racconta come il candidato americano «Obama sia allarmato dall’accusa di essere anti-israeliano. La settimana scorsa ha parlato a una sinagoga in Florida, assicurando ripetutamente il suo profondo appoggio a Israele. Ha detto: ‘La mia posizione su Hamas è indistinguibile dalla posizione di Hillary Clinton e di John McCain». «Questa è una vergogna», scrive Rachman: «Come trattare Hamas è la questione centrale del Medio Oriente. E’ lecito dire che è un’organizzazione terrorista con cui non si deve trattare. Ma dal momento che nessun candidato presidenziale può sostenere la opinione contraria, gli USA non avranno un dibattito sulla questione cruciale. Questo tabù è tanto più bizzarro, in quanto il governo israeliano stesso sta trattando con Hamas, sia pure indirettamente per mezzo dell’Egitto. Parecchie figure importanti nell’ambiente militare e d’intelligence israeliano sostengono che bisogna andar oltre e parlare direttamente con Hamas. Un importante consigliere di McCain ha notato: ‘E’ più facile discutere apertamente della Palestina a Tel Aviv che a Washington’».

Perchè il dibattito americano è così  inceppato? Il voto ebraico è relativamente piccolo. Ma i votanti ebrei sono cruciali in certi Stati «swing», come Florida e Pennsylvania. E molti cristiani evangelici, molto più numerosi che gli ebrei, sono ultra pro-israeliani. Ma difendersi dalle accuse di sentimenti anti-Israele è un lavoro che erode una campagna e un candidato...

L’assolutismo americano nel Medio Oriente sta riducendo l’influenza USA nell’area... Gli israeliani stessi stanno trattando con la Siria. La fragile pace del Libano è stata negoziata  senza gli Stati Uniti. E sono stati gli europei a prendere la guida dei negoziati sul nucleare iraniano.

Jon Alterman, capo del programma del Medio Oriente al Center for Strategic and International Studies dice: «Non ricordo un periodo, nell’ultimo mezzo secolo, in cui gli USA abbiano avuto una così insignificante influenza sulla regione. Ma i candidati hanno preso nota?».

Certo, anche in USA. Ma lì, si rischia di più. Barak Obama è minacciato di morte, e la sua avversaria Clinton ha auspicato ambiguamente un attentato che la liberi dal concorrente. Là, almeno, non sono le risate, ma i proiettili che seppelliscono gli statisti.




1)
Gideon Rachman, «On Israel and the US campaign bus», Financial Times, 26 maggio 2008.


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