Ferrara come Lele Mora
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Giulio Tremonti non ha appoggiato il fantomatico piano di rilancio o frustata all’economia italiana; cinque minuti alla conferenza stampa in cui il Berlusconi annunciava il suo ennesimo mirabolante piano di ripresa, poi si alza: «Devo prendere il treno…». Quando un ministro, che dispone di voli di Stato, sceglie di andare da Roma a Reggio Calabria in treno, e per giunta in seconda, l’ironia non può sfuggire.

La cosa è naturalmente spiaciuta a Giuliano Ferrara, il neocon del Foglio; perché è stato lui a consigliare a Berlusconi di promettere (l’ennesimo) rilancio economico, allo scopo dichiarato di sottrarlo all’immagine di sporcaccione in mutande, succubo di puttanelle, in cui s’è cacciato. Ferrara ha persino scritto la lettera che Berlusconi, in veste di statista, ha inviato al Corriere, come rivela la sintassi non certo alla portata del Salame (1), in cui si assicura «la più grandefrustataal cavallo delleconomia che la storia italiana ricordi» attraverso non già un progetto determinato di politica economica, ma la modifica di tre articoli della Costituzione per liberare le forze animali del capitalismo, che si presume esistano in Italia solo se si è analfabeti economici. I soldi per dare un po’ di carne al fantasma, doveva metterli Tremonti. Che non li ha messi.

Ferrara giunge a dire: Tremonti, se non crede al (mio) piano di rilancio, lo dica agli italiani. Ossia: dia le dimissioni, e ci lasci lavorare… Berlusconi ha già da tempo voglia di cacciare Tremonti, per sostituirlo con una velina. Ferrara sta dando il suo contributo a questo esito. Ferrara si crede notoriamente un genio politico. In realtà, è un saltimbando di idee, un membro della corte dei miracoli di Berlusconi, l’equivalente di Lele Mora in politica: come costui è in grado di fornire al Salame squillo minorenni anche all’ultimo momento, Giuliano Ferrara gli fornisce politiche di pronto consumo mediatico, ancorchè acerbe e impuberi fino all’impraticablità da parte dell’utilizzatore finale. In un caso e nell’altro, si tratta di prostituzione.

Il triste destino e le tristi facce dei ministri alle conferenze stampa di Berlusconi dicono chiaro il disagio con cui queste persone, anche relativamente serie, sono oggi costrette a partecipare a quel seguito e corollario delle seratine di Fede e di Mora (2), che oggi passa per Consiglio dei ministri. Tremonti vi si è rifiutato, con qualche rischio personale. Giuliano Ferrara è il solo che partecipi alla fornitura di p… e di puttanate volontariamente, anzi con entusiasmo.

FESTA DELLA DISUNITÀ D’ITALIA
– E che dire della gran festa dei 150 anni della nascita della nazione? Nata da ambienti massonici come autocelebrazione della massoneria, è stata abbracciata con foga entusiasta da tutto il fronte anti-leghista (dall’estrema sinistra fino al kippa), per fare un dispetto alla Lega e dichiararsi contrari al suo federalismo.

Vecchi comunisti internazionalisti, statali di lusso ed altri parassiti pubblici si sono scoperti gonfi di patriottismo, per questo solo motivo: celebrare l’unità d’Italia per settarismo, per esprimere odio di fazione contro un’altra fazione italiana. Poi, a complicare le cose è intervenuta Confindustra: va bene, celebriamo, ma senza assenza dal lavoro, questa vacanza patriottica ci costa 4 miliardi in retribuzioni pagate e mancata produzione. Naturalmente Bossi è stato subito d’accordo; non perchè capisca qualcosa o gliene freghi qualcosa di economia, ma per fare un dispetto ai patriottici che – questo l’ha capito – celebrano la patria per fare un dispetto a lui.

Grandi commenti, sui giornali di sinistra, sulla necessità di sprecare quei 4 miliardi, perchè l’unità nazionale richiede questo ed altro sacrificio. Interviene il presidente della provincia di Bolzano: ma noi non abbiamo mica voglia di celebrare, non siamo diventato italiani di nostra volontà…

Insomma, la celebrazione dell’unità nazionale è quel che doveva essere: la manifestazione della disunità nazionale. Marcello Veneziani (pro-festa) propone, se si tratta di risparmiare, di abolire il 25 aprile. Grave errore, amico Marcello: il 25 aprile è la vera festa nazionale italiana. E’ la festa istituita dalla fazione vincente italiana per celebrare l’eliminazione della fazione italiana perdente, ottenuta beninteso chiamando lo straniero contro gli italiani dell’altra parte. E’ la vera, profondamente sentita, festa della nazione, più recisamente della guerra civile pemanente – a volte fredda, a volte calda e sanguinosa – in cui consiste l’Italia.

Questo Paese sta scendendo al disotto del livello di descrivibilità. Non ci sono più parole per dirlo.




1
) Ciascuno giudichi da sé se ritiene il Salame capace di scrivere fraseggi come i seguenti: «… occorre uneconomia decisamente più libera, poiché questa è la frustata di cui parlo, in un Paese più stabile, meno rissoso, fiducioso e perfino innamorato di sé e del proprio futuro. La botta secca è, nonostante i ragionamenti interessanti e le buone intenzioni del professor Amato e del professor Capaldo, una rinuncia statalista, culturalmente reazionaria, ad andare avanti sulla strada liberale. La Germania lo ha fatto questo balzo liberalizzatore e riformatore, lo ha innescato paradossalmente con le riforme del socialdemocratico Gerhard Schröder, poi con il governo di unità nazionale, infine con la guida sicura e illuminata di Angela Merkel. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la locomotiva è ripartita. Noi, specialmente dopo il varo dello storico accordo sulle relazioni sociali di Pomigliano e di Mirafiori, possiamo fare altrettanto. Non mi nascondo il problema della particolare aggressività che, per ragioni come sempre esterne alla dialettica sociale e parlamentare, affligge il sistema politico. Ne sono preoccupato come e più del presidente Napolitano. E per questo, dal momento che il segretario del Pd è stato in passato sensibile al tema delle liberalizzazioni e, nonostante qualche sua inappropriata associazione al coro strillato dei moralisti un tanto al chilo, ha la cultura pragmatica di un emiliano, propongo a Bersani di agire insieme in Parlamento, in forme da concordare, per discutere senza pregiudizi ed esclusivismi un grande piano bipartisan per la crescita delleconomia italiana; un piano del governo il cui fulcro è la riforma costituzionale dellarticolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani. Lo scopo indiretto ma importantissimo di un piano per la crescita fondato su una frustata al cavallo di uneconomia finalmente libera è di portare allemersione della ricchezza privata nascosta, che è parte di un patrimonio di risparmio e di operosità alla luce del quale, anche secondo le stime di Bruxelles, la nostra situazione debitoria è malignamente rappresentata da quella vistosa percentuale del 118% sul PIL. Prima di mettere sui ceti medi unimposta patrimoniale che impaurisce e paralizza, unimposta che peraltro sotto il mio governo non si farà mai, pensiamo a uno scambio virtuoso, maggiore libertà e incentivo fiscale allinvestimento contro aumento della base impositiva oggi nascosta. Se a questo aggiungiamo gli effetti positivi, di autonomia e libertà, della grande riforma federalista, si può dire che gli atteggiamenti faziosi, ma anche quelli soltanto malmostosi e scettici, possono essere sconfitti, e lItalia può dare una scossa ai fattori negativi che gravano sul suo presente, costruendosi un pezzo di futuro».
2
) Una corte ben retribuita: apprendiamo che, avendo deciso di togliere ad Emilio Fede il suo ridicolo telegiornale, la direzione suprema Mediaset gli addolcirà la pillola con una buonuscita di 10 milioni. Il licenziamento avverrà nei prossimi mesi, in corrispondenza con l’ottantesimo compleanno di Emilio Fede.



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