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Se le monete non valgono nulla
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«C’è una fuga generale dalle monete»: così parlò Georges Soros in un recente convegno di economisti a Buttonwood (1). E’ lo stesso stato d’animo descritto da Andy Xie, un economista di China Business, al quale un investitore cinese ha detto: «Lo so che l’immobiliare (in Cina) può essere sopravvalutato del 100%. Ma varrà ancora la metà quando tutto cade. Il denaro cartaceo varrà zero».

E’ una logica dell’assurdo (e la dice lunga sulla fiducia dei cinesi nell’economia cinese) ma ha le sue ragioni. Come dice persino Allan Greenspan, quando gli investitori perdono fiducia nel denaro creato dal nulla, si buttano sui beni fisici: immobiliare, oro, materie prime, qualunque cosa.

E’ quel che sta avvenendo, e che Soros descrive come «fuga generale dalle monete». Il Financial Times, il 6 ottobre, ha segnalato che gli speculatori finanziari, e financo i fondi speculativi (hedge funds) stanno accumulando materie prime fisiche anzichè, come facevano di solito, investire nei «futures» in materie prime (2).

Anche questa tendenza ha dell’assurdo. Per la speculazione pura non è conveniente comprare veramente granaglie e metalli, perchè devono affittare magazzini, e il costo è alto. Di norma, gli speculatori comprano rame o frumento sotto forma di contratti «futuri», che rivendono prima che vengano a scadenza con la consegna fisica dei materiali. Di solito, concludono l’affare con profitto, perchè la loro speculazione fa rialzare i prezzi dei beni. Se comprano e si tengono le navi e i silos pieni materie prime, è perchè temono che i consueti meccanismi d’arbitraggio tra i "mercati futures" e quelli delle commodities reali stanno per essere sconvolti dall’eccesso di domanda. Allora i costi del magazzinaggio non sembrano più eccessivi: si tratta di accaparramento di beni rifugio.

L’eccesso di domanda è dovuto all’eccesso di dollari creati dal nulla. Cina, Giappone, i sauditi e gli emiri hanno ciascuno  almeno 2 trilioni di dollari (con cui gli USA li hanno pagati per il loro export) e anche loro «fuggono dalle monete», chiedendo materie prime reali. Troppi dollari per troppo poche materie prime. L’attività mineraria non sta dietro a una domanda così febbrile.

Questa nuova tendenza della speculazione finanziaria può rivelarsi anche più distruttiva di tutti i titoli tossici. Perchè tende a provocare una penuria autentica di materie prime: rame e altri metalli che non arrivano più alle fonderie, mulini che non trovano più granaglie. Finchè la speculazione si limitava ai futures, una nave carica di rame partita dal Cile poteva comunque raggiungere le fonderie nella costa occidentale USA, anche se durante la rotta era comprata e venduta più volte. Adesso, la stessa nave sta parcheggiata in qualche rada, gli speculatori pagano il nolo, e  la merce non viene consegnata.

Per le fonderie e i loro clienti dell’economia reale, il valore del rame diventa più alto in condizioni di simile penuria, perchè se non arriva il metallo devono chiudere le officine e licenziare; e il costo della chiusura con quel che segue (fallimenti, licenziamenti) è comunque più alto del metallo. Sicchè il metallo schizza all’insù, sotto la domanda disperata dei veri interessati, fino a quando gli accaparratori a cui il rame non serve a nulla, riterranno profittevole rimetterlo sul mercato. Lo stesso vale per il grano ed ogni altra materia prima durevole.

Questo può provocare inflazione, e persino iper-inflazione, in un ambiente deflazionistico come l’attuale depressione: le materie prime rincarano mentre le fabbriche incapaci di procurarsele chiudono o riducono il lavoro, i lavoratori perdono il loro potere d’acquisto, e il prodotto interno cala.

La risposta a questo rischio imminente sarebbe: o la Federal Reserve prosciuga l’eccesso di liquidità che ha creato rialzando i tassi, o si vieta d’autorità il traffico in materie prima a chi non le consuma o le lavora realmente. Nè l’una nè l’altra soluzione hanno la minima probabilità di essere adottate.

Le soluzioni adottate dal governo USA e dalla sua Banca Centrale per affrontare la crisi sono, come sappiamo, tali che Goldman Sachs distribuirà ai suoi dipendenti, quest’anno, bonus per 23 miliardi di dollari, il doppio dell’anno scorso. Perchè nonostante la crisi reale, che colpisce decine di milioni di lavoratori e riempie le città americane di accampamenti di tende occupate da gente a cui è stata sequestrata la casa, Goldman e le sue sorelle hanno fatto profitti.

Come? Essenzialmente hanno ricevuto fiumi di denaro dallo Stato (ossia dal contribuente) a tasso zero, e lo hanno impiegato per comprare «asset» di ogni tipo, a prezzo stracciato dato il ribasso di tutti i corsi, causa depressione. Poi il miracoloso rialzo delle Borse di queste settimane ha fatto il resto.

Gratifiche per 23 miliardi di dollari ai banchieri di Goldman è una cifra, che occorre porre in prospettiva per capirne l’entità. Il giornalista John Byrne s’è divertito a calcolare che cosa si potrebbe fare con quella cifra nel mondo reale (3).

Si potrebbero pagare le spese di retta e frequenza di 460 mila studenti all’università di Harvard per un anno. O pagare l’intero corso ad Harvard per 115 mila studenti. Si può pagare l’assicurazione-malattia privata di una famiglia media americana (13.375 dollari) a 1,7 milioni di famiglie americane.

Ma non è solo Goldman Sachs. L’insieme delle cinque grandi banche d’affari USA (JP Morgan ha fatto profitti sestupli rispetto all’anno scorso) distribuiranno ai loro capi e funzionari 140 miliardi di bonus. Ossia pagare un anno ad Harvard a 2,8 milioni di studenti, o portare alla laurea ad Harvard  690 mila di loro. Si potrebbe coprire coprire l’assicurazione sanitaria di dieci milioni e 330 mila famiglie americane.

E sarebbe anche giusto. Dopotutto, sono i contribuenti americani a dare (oggi, domani e fra cento anni) i 700 miliardi a tasso zero con cui Goldman e le sue Sorelle hanno guadagnato così facili e immani profitti, in piena recessione. Dopotutto, se gli americani avessero versato questi soldi individualmente e volontariamente, sarebbero da considerare soci nell’investimento.

Invece no. Anzi, è bello apprendere a quanto ammonta la tassazione che Goldman e le sue concorrenti pagheranno sui loro profitti: l’1%. Dicesi l’uno per cento. Hanno imparato a pagarne sempre meno, di tasse. Nel 2007, Goldman pagò ancora 6 miliardi di dollari in tributi. Nel 2008, si dice abbia pagato solo 14 milioni, qua e là nel mondo. Perchè queste multinazionali «hanno ben appreso come guadagnare i loro profitti in Stati a bassa tassazione».

Come giustificano lorsignori un tale mostruoso prelievo dalla ricchezza (o miseria) nazionale? Col solito argomento: «Devono» pagare bonus altissimi, perchè altrimenti i loro brillantissimi cervelli aziendali emigrano in un’altra banca. Si sono accaparrati i genii più geniali, i più inventivi, i più pronti ad affrontare i rischi della finanza speculativa. Non possono perderli.

Il fatto che questo argomento sia più o meno accettato dall’opinione pubblica, o almeno dal governo, rivela la perversione morale che la nuova finanza ha imposto al mondo. La «genialità» di questi pagatissimi cervelli, la loro inventività nell’escogitare sempre nuovi strumenti finanziari e la loro bravura coi supercomputer del «trading» fulmineo, sono esattamene le cause della rovina in cui versa l’intera economia. Sono precisamente le «qualità» di cui il mondo non ha bisogno, e il cui esercizio dovrebbe essere vietato per legge.

Fra l’altro, l’economia reale USA soffre di una penuria di addetti con alte qualifiche matematico-scientifiche e ingegneristiche. Ciò proprio perchè gli impieghi nella finanza speculativa, con le loro paghe favolose, attirano questi cervelli nel «lavoro» improduttivo e parassitario dell’ingegneria finanziaria, prosciugando il settore ricerca e sviluppo che di quei cervelli avrebbe bisogno, per fondare il balzo economico reale del futuro.

Il «libero mercato» assoluto ha creato una «perversione degli incentivi» che è anche moralmente insostenibile, come ha mostrato Michael Moore nel suo ultimo film, «Capitalism: a Love Story».

Michael Moore è stato convocato alla Fox News nel talk-show di Sean Hannity, che lo ha trattato da socialista. Moore, il simpatico grassone, ha replicato: strano che critichiate me anzichè il mio film. Poi ha rivelato di essere cattolico praticante, ha chiesto ad Hannity quante volte lui va in chiesa, ed ha detto che è il suo cattolicesimo, non il suo socialismo, che lo pone in posizione critica verso «questo» capitalismo.

Nel suo film, Moore parla con un pilota di una grande compagnia area – un pilota di linea – che gli mostra la sua busta-paga: l’anno passato ha preso 17 mila dollari l’anno, che sarebbero 11.500 euro. Ci sono stati mesi in cui quel pilota, a forza di decurtazioni della paga (le compagnie aeree, mancando passeggeri, stringono le viti) ha avuto diritto ai «food stamps», i buoni per comprare cibo nei supermarket, che sono la minima assistenza sociale per i poveri. Del resto, i piloti devono pagarsi il pasto che ricevono in volo sul vassoio. Non è più gratis. Altri piloti hanno rivelato a Moore che parecchi devono fare un secondo lavoro: uno fa supplenze scolastiche, un altro aiuta in un bar, un altro «accompagnatore di cani».

E ricordate il capitano «Sully» Sullenberger, quello che il 15 gennaio scorso fece ammarare il suo Airbus in avaria nel fiume Hudson, fra i grattacieli di Manhattan, salvando 155 passeggeri con una manovra eccezionale per competenza, perizia e coraggio?

Ebbene: intervistato da Fox News, ha detto fra l’altro che la sua paga era stata decurtata del 40% l’anno precedente, e che la sua pensione era stata vaporizzata (lui ha 58 anni) dal collasso di Wall Street, quindi avrebbe dovuto lavorare ai comandi fino ai 75. Fox News ha tagliato questi particolari, del tutto secondari nella figura di un eroe americano.

Ora, ogni dipendente di Goldman prenderà 622 mila dollari di gratifica. Sono proprio cervelli tanto più preziosi del capitano «Sully» che prende 17 mila dollari annui di stipendio, ossia meno di mille euro al mese? Chi serve di più alla società?

«Sarà una mia mania», dice Moore, «ma ci sono due professioni che secondo me non dovrebbero preoccuparsi di fare un secondo lavoro: i neurochirurghi del cervello e i piloti di aerei-passeggeri».

E tuttavia, oggi discutere dei mega-bonus sarebbe fumo negli occhi, un modo per continuare a nascondere l’essenziale: Washington non ha preso le decisioni per avviare il risanamento («pulitura» delle banche, fratturare le banche «troppo grandi per fallire» in unità più piccole, punizione dei responsabili dei disastri speculativi, regolamentazione) e la finanza, come un enorme King Kong, sta producendo le ultime distruzioni dell’economia reale.

Il caso degli hedge funds che investono in commodities fisiche anzichè in futures è solo un esempio. In realtà la finanza, da intermediario al servizio dell’economia reale (fornendole capitali) è diventato un parassita di dimensioni titaniche. Quarant’anni fa, l’economia cresceva con un settore finanziario che riceveva solo un ventesimo dei profitti totali; oggi, l’economia crolla mentre il settore finanziario assorbe il 40% della ricchezza prodotta. La finanza-Frankenstein, anzichè allocare capitali, li disloca perversamente creando una dopo l’altra bolle finanziarie; invece di dirigere i capitali dove sono utili, li dirige verso «investimenti» che creano guadagni fraudolenti; con la complicità dello Stato.

L’ultima frode stile Goldman Sachs infatti consiste nel ricevere dalla FED denaro a interesse zero, e nell’usarlo per comprare titoli di debito pubblico (Buoni del Tesoro) che pagano un interesse più alto: così si configura un ulteriore sussidio ai mostri bancari a spese dei contribuenti.

Ma il gioco può continuare solo finchè Washington può impunemente stampare sempre più dollari, e pagare con quelli i suoi debiti internazionali. Secondo il rapporto Europe 2020, questo non può durare a lungo (4). Per ora, gli USA svalutano la loro moneta moltiplicandola e si avvantaggiano sia della diluizione del loro debito, sia della ripresa delle loro esportazioni, oggi più competitive (è la zona euro, con l’euro fortissimo, che paga il prezzo). Ma «con bilanci federali in deficit al ritmo di mille miliardi di dollari l’anno nel decennio a venire, chi può onestamente  pensare che il resto del mondo accetterà di farsi pagare per dieci anni con una moneta da monopoli?», chiede il rapporto francese.

E’ una domanda retorica. USA e Gran Bretagna sono entrati già nella fase di cessazione dei pagamenti. Metà dei loro titoli di debito (Buoni del Tesoro) restano invenduti, e gli invenduti li comprano le stesse Banche Centrali USA e GB: l’estrema frode.




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L’acquisto di Buoni del Tesoro USA lungo termine da parte di stranieri cala drammaticamente



Ma questo rende imminente l’implosione del dollaro, la perdita verticale del suo potere d’acquisto. I resoconti delle riunioni della FED rivelano che i banchieri temono veramente di non poter uscire dalla fase di «quantitative easing» (ossia di non essere in grado di riassorbire tutta la pseudo-moneta che hanno stampato) perchè ogni tentativo in questo senso provocherebbe il grippaggio immediato dell’intera economia nazionale, l’esplosione dei deficit pubblici e l’ipersvalutazione della loro divisa. Ma d’altra parte, nemmeno la FED può mantenere a lungo a zero i tassi d’interesse, come promette Bernanke: gli USA, sotto la pressione di un’emorragia di capitali in fuga, dovranno presto o tardi pagare più caro il denaro di cui hanno bisogno.

«Da qui all’inizio del 2010», prevede Europe 2020, «i tassi d’interesse USA dovranno risalire per scongiurare il prosciugamento dei flussi di capitale di cui hanno bisogno per sopravvivere da un mese all’altro»; e vedremo se questo basterà – a prezzo di un aumento verticale dei debiti – ossia se Cina, Giappone e petrolieri del Golfo avranno ancora la pazienza di acquistare i BOT americani: come ha rivelato Robert Fisk, i Paesi interessati stringono già accordi per sostituire il dollaro con un paniere delle loro monete. Siccome il rialzo dei tassi americani avverrà in un quadro di aspra concorrenza globale per attrarre capitali rari onde finanziare i deficit pubblici ingigantitisi dalle misure anti-depressione, vedremo «un colpo brutale rispetto ai tassi ultra-bassi» attuali, cui gli Stati indebitati si sono abituati. Il colpo brutale non risparmierà l’Italia, che già sborsa 70 miliardi di euro l’anno in interessi, mentre i tassi sono quasi zero. Immaginate quando il Tesoro dovrà alzarli.

E tuttavia, secondo il centro francese l’Italia non è nelle condizioni peggiori, perchè l’euro reggerà meglio del dollaro. Se si cerca di misurare l’imminenza del collasso in base a questi criteri

1 Quota del settore finanziario nell’economia

2 Quota dei servizi nell’economia

3 Grado di indebitamento delle famiglie

4 Grado di incertezza sulla qualità degli «attivi»  finanziari e delle famiglie

5 Ammontare dei debiti pubblici in generale (compresi i costi sociali non coperti)

6 Ammontare relativo dei deficit esteri

7 Quota della previdenza  «a capitalizzazione» nell’insieme  del sistema previdenziale del Paese

8 Debolezza della rete di assistenza sociale

9 Dipendenza struttutrale dalla domanda estera

Allora si vede che a stare sull’orlo dell’abisso sono USA, Gran Bretagna e Argentina (più Lettonia e Islanda), che sono in rosso nella mappa:



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Seguono per gravità di situazione Paesi Messico,Spagna e Turchia (in arancione). L’Italia è in giallo, insieme a Francia, Russia, Svezia, Australia.

Sarà comunque dura, durissima. Non siamo fra i Paesi che se la cavano meglio, Cina, Brasile, Germania e Norvegia (nemmeno loro avranno da festeggiare), Ma non siamo segnati dalle piccole stelle violette, che indicano i Paesi che nei prossimi 12 mesi subiranno crisi politico-sociali con scoppio di violenza (5).

Forse qui Europe 2020 è ottimista: può cadere il governo Berlusconi, può rialzare il capo la violenza brigatista, o la protesta sociale farsi feroce. Ciò ovviamente non farebbe che rendere più lontana l’uscita dalla crisi, bloccando il processo decisionale (se cade il governo) e diminuendo la credibilità  del Paese in caso di scioperi e brigatismo rosso.

I Paesi che saranno teatro di tali crisi e disordini dovranno trovare un nuovo equilibrio politico e sociale, il che è sempre «un esercizio lungo e doloroso», in quanto configura un approccio rivoluzionario.

«Peserà molto il grado di preparazione delle elites e, in parte, dell’opinione pubblica, ad affrontare una profonda rimessa in causa del sistema attuale. Meno sono preparate, più la ricerca di soluzioni efficaci sarà lunga», dice Europe 2020. Se guardiamo le nostre «elites» e la nostra opinione pubblica, c’è da farsi cascare le braccia.

Non siamo i soli in questa deficienza. Europe 2020 è prodiga di consigli ai leader europei, che si riassumono in uno: vincere la propria subalternità dagli USA, riconquistare l’indipendenza morale dal grande fratello dei passati sessant’anni. E mettersi a lavorare in modo costruttivo con i Paesi che saranno protagonisti nel dopo-crisi: Cina, Brasile, India e Russia.

Sono consigli che i nostri «leader» (se li vogliamo chiamarli così) saranno capaci di seguire? Incrociamo le dita. Ma almeno un consiglio di Europe 2020 va citato per esteso: viene nominato esplicitamente Mario Draghi come candidato dei poteri forti alla poltrona della Banca Centrale Europea. Draghi «è soprattutto un ex di Goldman Sachs, di cui è stato vice-presidente europeo dal 2002 al 2005. Si raccomanda ai dirigenti europei di bloccare l’accesso a tutte le funzioni strategiche europee a uomini di Goldman Sachs. Si è visto come questa istituzione finanziaria ha infiltrato tutto l’apparato di potere degli Stati Uniti; occorre radicalmente  impedire il ripetersi di una simile situazione in Europa».

Radicalmente.

Quanto a noi poveri cittadini, la possibile volatilizzazione del dollaro rende «l’oro (6), e come seconda scelta le divise come l’euro, lo yen, lo yuan e il real delle alternative ormai necessarie».

E naturalmente, lontani dalle Borse, dove i quattro gatti manipolano volumi infimi per creare rialzi artificiali onde far dire ai media che «siamo usciti dalla crisi», eccetera. E’ esattamente come il gioco delle tre tavolette: appena il manovratore ha sistemato il suo tavolino pieghevole, già tre o quattro sono lì che puntano, con mazzi di soldi in mano, e vincono pure.

Sono tutti compari del primo.



1) Rolfe Winkler, «Roach and soros at Buttonwood», Reuters Blogs, 16 ottobre 2009.
2) Martin Hutchinson, «Wen money is worthless», Asia Times, 14 ottobre 2009.
3) John Byrne, «Goldman Sachs 2009 bonuses to double 2008’s; $23 billion could send 460,000 to Harvard, buy insurance for 1.7 million families», Raw Story, 13 ottobre 2009.
4) «Crise systémique globale: l’Union européenne à la croisée des chemins en 2010: victime ou complice del’effondrement du dollar?», Global europe anticipation Bulletin nr.38, 13 ottobre 2009.
5) Gli USA potrebbero davvero essere il teatro di una crisi politica terminale. Gli Stati della federazione stanno crollando nell’abisso dell’insolvenza, non riescono più a pagare i dipendenti, tantomeno a sostenere le scarse protezioni sociali che pesano soprattutto su di loro; e tutto ciò nella completa indifferenza – o inazione – del governo centrale, occupato solo a salvare Wall Street. Ciò infiamma le tendenze centrifughe e le aspirazioni secessioniste che sono una forza reale e storica in USA. Il documentario di Michael Moore rivela fra l’altro che la banca Citigroup aveva nel 2005 comunicato ai suoi più ricchi clienti, in toni esultanti, che il sistema può funzionare benissimo con solo l’1% degli ultraricchi (perchè i loro consumi crescono e compensano il crollo dei consumi dell’altro 99%). Dopo aver visto il documentario, un docente di economia di nome Dean Baker ed altri economisti hanno auspicato il sorgere di un nuovo «movimento dei diritti civili» per contrastare dal basso questa estrema oligarchia della ricchezza, dove i ricchi sono autosufficienti  («Plutonomy»); e sta effettivamente cercando di organizzare un simile movimento.
6) Benchè caro, l’oro può rincarare ancora, se non altro perchè i grandi accaparratori del metallo (fra cui va additata la Cina) approfitteranno di ogni flessione del prezzo  per comprare oro pagandolo coi loro dollari in liquefazione. Inoltre, c’è il sospetto che i grandi «dealers» dell’oro, basati a Londra, abbiano venduto più volte il metallo che possiedono, apparentemente senza rischio, perchè tanto i grandi compratori preferiscono tenere l’oro «comprato» nelle casseforti dei dealers. Esattamente allo stesso modo le banche prestano dieci volte il denaro che hanno in deposito: il grande bluff  si chiama credito frazionale, il trucco fondamentale della banca. Ma per l’oro, è più difficile far durare il trucco. Recentemente Hong Kong ha chiesto alla Banca d’Inghilterra la consegna fisica del suo oro, che conservava nei forzieri britannici. La Germania sembra abbia fatto lo stesso bussando alla Federal Reserve di New York per reclamare il suo oro sovrano. Un grosso fondo speculativo, Greenlight Capital, ha scambiato due mesi fa 500 milioni di dollari di certificati-oro in suo possesso, in oro fisico. Il mercato aureo London OTC, una delle piazze meno trasparenti del mondo, tratta ogni giorno 2.134 tonnellate di oro: ossia 346 volte l’oro che viene estratto dalle miniere in un giorno. Chi immagina che il mercato dell’oro riguardi piccoli volumi, si ricreda: a Londra ogni giorno si scambia oro per 70 miliardi di dollari. Per confronto: il consumo quotidiano di petrolio nel mondo intero non supera i 6 miliardi. Si veda Adrian Douglas, «How much imaginary gold has been sold?», GoldSeek, 18 ottobre.



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