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Le «mosse» di Fini
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Mi chiedono una valutazione sulle mosse di Fini.

Non ho voglia di spremermi. Ricordo, a memoria, che Fini cercò di fondare un partito con Mario Segni (uno che porta solo iella), e poi di trasformare AN in una coccinella, con tanto di simbolo di coccinella, che non voleva dire niente. Il niente che è Fini.

Nessun successo, ovviamente. Ora ci ha ritentato; consiglieri ben piazzati all’estero gli hanno dettato strategie e messaggi. Sperava (speravano) in una batosta del Berlusconi, con conseguente erezione di Fini a capo del governo provvisorio senza elezioni, un ribaltone bis. Gli è andata male, come al solito: e si è visto che il successo elettorale non deve niente a lui, che ha solo tentato di sabotarlo.

Adesso vuole la «democrazia interna»: proprio lui, che non ne ha mai concessa ai suoi colonnelli. Li ha chiamati a raccolta, sicuro della loro obbedienza: si può essere più disgustosi?

In 70 gli hanno risposto picche: restano con il PDL. Alla resa dei conti, i voti a suo favore son stati 11. Allora ripiega, farà una corrente...

La verità è che Fini sta cambiando sesso. Si sta trasformando in Veronica Lario. Fa i capricci, fa i dispetti, punta i piedi e vuole la sua parte del patrimonio, che non ha guadagnato lui.

Probabilmente farà un partito di centro, con Montezemolo, Casini, Rutelli, insomma i residuati fondatori di partiti che non hanno elettorato: il club dei Fighettoni Grigi.

Non riuscirà a costruire nulla, non ha nessun programma politico, ma ha la forza di distruggere per invidia.

Come Erostrato, l’oscuro cittadino di Efeso che, non  avendo altro mezzo per immortalare il suo nome, incendiò il tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo: «Così almeno ricorderanno il mio nome».


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