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La crisi è di legittimità
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Nuovo crollo dei «mercati» anche in Asia. Panico. Comincia il «double dip» della crisi finanziaria, la seconda ricaduta, più grave, che fu tipica anche della grande crisi del 1929-39.

La realtà spaventosa è questa: stiamo entrando nella seconda fase della crisi iniziata dal 2007 senza nessuno sul ponte di comando. Proprio mentre si avrebbe bisogno di Stato, di decisione politica, lo Stato (il governo) è delegittimato. Le violenze in Grecia sono l’estrema illustrazione di questa tragedia: il governo non ha abbastanza legittimità da far accettare alla popolazione sacrifici impopolari, e per di più sentiti come sbagliati (1), e nemmeno per assumersi la suprema responsabilità politica del ripudio del debito.

Ma il male della delegittimità corre in tutta Europa. La Spagna è in pericolo estremo, e la popolarità di Zapatero è al minimo storico: gli spagnoli gli rimproverano di «non far nulla» per la disoccupazione al 20% e il rischio di collasso delle banche, e in realtà non sa cosa fare. Ora si vede che che la «popolarità» guadagnata con le leggi permissive, l’aborto, le nozze gay, era un vapore svaporante: ora si intuisce, oscuramente, che il governo doveva fare «altro», che quel che ha fatto non serviva, che non era quello il suo compito.

La stessa delegittimazione colpisce il presunto governo «forte» di Sarkozy: non sapendo che decidere sulla crisi, propone il divieto del burka. In Germania, il governo di Angela Merkel, che ha finito per accedere al prestito alla Grecia per salvare le sue banche (2), ha contro massicciamente l’opinione pubblica. Una divaricazione mai vista.

Il Belgio ha scelto proprio questo momento per spaccarsi tra volloni e fiamminghi. Del governo italiano è perfino inutile parlare, in perenne crisi e perennemente coinvolto in scandali tipo Scajola, Verdini, Marrazzo. Il governo che non cadrà, perchè l’opposizione teme le elezioni più della maggioranza, sapendosi ancor meno legittima. Non cadrà ma si disferà, nel pieno della crisi epocale.

Persino in Gran Bretagna – che nella storia ha sempre fatto monoliticamente quadrato attorno al suo governo in tempi di crisi – la gente dubita e ritrae la fiducia: la crescita del terzo partito già preconizza una frattura, una divaricazione inaudita fra governanti e governati.

Non si vedono proposte di governi di unità nazionale, come accadeva in tempi di guerra. Non ci sarà un Churchill capace di dichiarare ad alta voce: «Non vi prometto che lacrime e sangue», e che guida la guerra chiuso giorno e notte nel bunker a due passi da Buckingham Palace. Non si vede un De Gaulle capace di dire  nel 1940  «La Francia non è vinta, la Francia sono io e non m’arrendo, vi sto parlando da Londra», non solo contro ogni evidenza, ma praticamente da solo, sapendo di parlare a nessuno.

Questa è la «legittimità» – un istinto di comando del carattere, una energia primordiale che prende il potere proprio quando sembra perduto – ed è questa che manca. Ciò vuol dire che, mentre il vecchio mondo crolla, non c’è nessuno capace di opporsi all’uragano dell’avvenire.

Con questi politici, saremo trascinati come fuscelli. Non è nemmeno più questione di corruzione e spesa pubblica fuori controllo, che sono solo conseguenze del fatto elementare, fondamentale, che non abbiamo voluto vedere: ci siamo lasciati comandare da chi comandare non «doveva». Che faceva «altro» e lo chiamava governare, mentre doveva controllare le banche e le loro follie.

Ecco il risultato in questa tabella del New York Times: le cinque economie del Club Med, le più deboli e le più indebitate, devono l’una all’altra miliardi di euro, e si sono annodate in questa rete inestricabile e demente: se cade una, cadono tutte.



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Non l’abbiamo voluto vedere finchè i tempi erano ingannevolmente buoni, e ci distraevano con le discussioni «politiche» sulle nozze gay, la legalizzazione delle droghe, il diritto dei transex, e ci facevano balenare qualche favore nella greppia pubblica, pensioni, quattordicesime, stipendi, tre insegnanti per classe, manica larga nell’istruzione come negli sprechi, «Termini Imerese resterà aperto» (Scajola dixit), «Il fumo danneggia la salute» (si curavano tanto di noi, pensavano al nostro bene), «l’euro ci proteggerà», «nucleare no, energie rinnovabili»; la «politica» consistendo nelle serate alla vaselina di Bruno Vespa e nell’olio di ricino di Ballarò o di Santoro, nel «dibattito»... Dibattito senza mai decisione, visione, indicazione del futuro.

Spiace riconoscerlo, ma Moises Naim su 24 Ore coglie nel segno, quando denuncia «l’impunità con cui i politici opportunisti mentono agli elettori sulla gravità della situazione e, non da meno, la condiscendenza di un pubblico propenso a ripudiare quei politici che dicono la verità».

Non è questione di corruzione, è questione di verità. Non solo non ci hanno detto la verità; non l’abbiamo voluta sentire. E’ la debolezza intellettuale che fa tutt’uno con la debolezza morale.

La globalizzazione, trionfo del capitalismo terminale, causa prima della nostra via alla miseria, non ha trovato nessun critico quando ci è stata imposta. Anzi, chi provava ad eccepire su questo progetto, accusandone gli autori in ben identificati poteri sovrannazionali, è stato bollato e censurato come paleo-nazionalista e complottista. Le voci critiche sono state soppresse.

Ora, sento dire da un qualche esperto alla radio che l’Europa è stata costruita male, che tutto quell’allargamento era eccessivo, che l’euro è stato fondato sull’ambiguità, che bisogna «riformare Maastricht»...

Forse ricorderete come siamo stati trattati, noi che eccepivamo sull’eurocrazia, che provavamo ad evocare l’Europa delle patrie alla De Gaulle: euroscettici uguale fascistoidi, per non dire antisemiti, e negazionisti dell’olocausto. Espulsi dal discorso pubblico. E la gente, ben contenta: basta con questi complottisti, con questi uccelli del malaugurio! Fateli tacere!

E lo fanno ancora, i grandi media. Silenzio, voi! Fate parlare Padoa Schioppa! Venerate Mario Draghi, e Ciampi!

Potevano parlare solo i Giavazzi, che non avevano dubbi e ripetevano la lezione imparaticcia in USA: la globalizzazione fa bene, perchè ci rende competitivi; no al protezionismo, che crea solo aree di privilegio e poco produttive; la finanza selvaggia è necessaria perchè è «credito» (invece è gioco d’azzardo), e «i mercati sanno meglio dello Stato come allocare il credito».  E’ bene che i ricchi diventino più ricchi, perchè così quella ricchezza (almeno un po’)  colerà alla popolazione sottostante: era la trickle down economy (letteralmente: l’economia basata sulla ricchezza che filtra giù), gli applausi ai profitti perchè «la marea che sale solleva tutte le barche»: menzogna, la marea che sale ha sollevato le barche dei cinesi e lasciato a secco le nostre, la trickle down economy ha delocalizzato per sempre i lavori, alla ricerca dei salari più bassi. E adesso si celebra «la ripresa senza creazione di posti di lavoro».

La «new economy» si è rivelata per quel che è: la creazione del latifondo sotto forma di rendita finanziaria (i latifondi d’oggi si chiamano Goldman Sachs, Soros, Intesa. Enron, Madoff, Parmalat) e conseguenza sociale del latifondo sono i servi della gleba. I latifondisti avevano decine di cameriere e servi, perchè li pagavano con vitto e alloggio e basta; nei campi, i braccianti a centinaia, con la fame. Adesso, la «moderazione salariale» raccomandataci da Ciampi (lui, con salario smoderato) è superata: oggi ci si chiedono i «sacrifici», a cominciare dalla Grecia.

Occorre una nuova capacità decisionale, e insieme, anche nuove idee. Le idee sono state censurate e soppresse. Risultato: i politici non hanno la minima conoscenza reale di quel che sta accadendo,  credono ancora che valgano le lezioncine sul capitalismo come portatore di ricchezza.

Il capitalismo in pericolo non è in grado di salvare se stesso, nè con i mezzi «convenzionali» nè con quelli «non-convenzionali» tentati da Bernanke (monetizzazione disperata, acquisto di titoli tossici con denaro stampato). Gli eventi seguono il loro corso inesorabile, e la popolazione vede l’inazione dei politici, che si sono privati  dei mezzi d’intervento. La delegittimazione avanza, esplode in rabbia cieca, essa stessa sterile.

La capacità decisionale richiede legittimità. E dov’è?  Il progetto eurocratico esclude la legittimità per principio: progetta dal 1945 la presa del potere da parte dei burocrati in modo inavvertito, di nascosto, senza ricorso alle urne, all’insaputa delle cittadinanze. Ci ha inondato di regolamentazioni sul calibro delle mele, la curvatura dei cetrioli, sui sussidi agricoli; ha emanato raccomandazioni sul riconoscimento dei «diritti omosessuali», su quanto cacao si possa usare in un alimentare per poterlo chiamare «cioccolato».

Ora che si tratta di decidere ben altro, l’eurocrazia è uscita di scena. Ha lasciato fare agli Stati, ai governi, essi stessi delegittimati dal troppo lungo disuso della responsabilità politica. L’eurocrazia bada a dire: rispettare i parmetri di  Maastricht, rispettare Lisbona, mentre tutto crolla, anche Maastrich e Lisbona.

La BCE sancisce che non si può svalutare, privando con ciò gli Stati di uno strumento consueto della politica monetaria. Equivale a vietare alle auto europee l’uso del volante, perchè in Europa le strade sono dritte. Ora si dice: la Grecia non deve fare default. E’ come dire: un uomo non deve morire, perchè è illegale, e perchè creerebbe problemi ai parenti. Ma la Grecia morirà, e moriranno Portogallo e Spagna, e poi Italia, e poi l’Europa e l’euro.

Le regole della Commissione, con la loro presunta «razionalità», mostrano tutta la loro irrazionalità fino all’assurdo. E si rivelano del tutto inadeguate  persino all’ambizione segreta delle eurocrazie, sostituire gli Stati e la sovranità politica con tecnicismi burocratici.

Il fatto è che gli Stati, i governi, le classi politiche, hanno creduto: «non occorre che pensiamo noi, ci pensa Bruxelles». La gente ha creduto: «è inutile pensare, tanto pensano gli altri. E tutti insieme, ci siamo esentati dal pensare, perchè a tutto pensava il Paese-guida, l’America. La sola ad avere la vera legittimità, dopotutto. Ci ha salvato dal fascismo, fa le guerre al “terrorismo globale”, salva continuamente l’Occidente, il dollaro è la vera moneta di riserva. I nostri politici possono essere ridicoli e corrotti; l’eurocrazia può essere dedita ad obbedire alle lobby. Ma l’America prende le decisioni, “comanda”. Sa quel che fa».

Ma non era così. Sento a Radio 24 il professor Marco Vitale spiegare che la speculazione distruttiva, ormai, è inarrestabile, perchè la Casa Bianca non sa imporle una vera regolamentazione. «Barak Obama ha perso l’occasione: doveva imporre le condizioni quando le grandi banche USA erano in ginocchio e imploravano i fondi pubblici per salvarsi».

Obama ha cacciato 1.000 miliardi, senza porre condizioni. Ora il mostro resuscitato attacca gli Stati che si sono indebitati per salvarlo. E non c’è un Churchill, non c’è un De Gaulle che comandi la guerra totale al mostro.




1) I greci sentono infatti che la riduzione dei salari imposta dal piano di austerità sarà fatale all’economia nazionale già malata, lungi dal risanarla. Il calo drastico del potere d’acquisto avrà come conseguenza il calo dei consumi, e dunque un arretramento della crescita valutato al 4% del PIL, il cui costo annullerà le economie ottenute col rigore. Insomma il deficit non finanzierà alcuna crescita, ma solo una più forte recessione, che si avviterà su se stessa. Si chiedono insomma alla gente sacrifici senza prospettive: tipico sintomo dell’assenza di leadership. Il governo Papandreu infatti si giustifica con la frase tipica di chi ha rinunciato alla legittimità: «L’Europa mi forza la mano». La stessa prospettiva, una perenne austerità senza crescita, è quella che viene proposta a tutti gli europei.
2) Le banche germaniche detengono 500 miliardi di euro di titoli di debito pubblico e privato in Europa. E’ il bel risultato delle politiche della Merkel, grazie a cui la Germania ha acquistato tanta competitività da essere il secondo esportatore modiale dopo la Cina. Le esportazioni hanno fatto entrare enormi profitti. Questi profitti sono stati  ammassati nelle banche tedesche. E le banche tedesche dovevano usarli, far «lavorare» il capitale in eccesso. Hanno fatto prestiti enormi a quei Paesi che, oggi, sono sull’orlo dell’insolvenza. Lo squilibro commerciale attivo, protratto per troppo tempo, porta danni non dissimili allo squilibrio commericiale passivo (lo diceva Keynes e se lo sono dimenticato). Qui sotto la tabella di Spiegel che dice quali Stati devono soldi alle banche tedesche.

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