Le elezioni: sarà la regata di relitti galleggianti
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Giorni fa si è sparsa la voce che Renata Polverini si presenterà alle elezioni nelle liste dell’UDC. Una dei tanti che scappano dal Pdl, la barcona che affonda, e cercano casa presso Casini. Del resto l’UDC le deve gratitudine: come governatrice del Lazio, ha assegnato un milione e 300 mila euro di soldi pubblici ad una società di cui è azionista il segretario dell’UDC, Cesa. È così che nella «politica» si saldano le alleanze e ci si prepara un futuro di sopravvivenza.

Però poi s’è saputo che l’UDC «è freddo» con la candidatura della Polverini. Effettivamente, il «grande centro» racimolato da Casini somiglia già fin troppo al portacenere di un tabagista accanito, traboccante di mozziconi schiacciati, spenti e puzzolenti. C’è il mozzicone Rutelli che s’è acquattato zitto zitto sperando che qualche elettore lo voti a sua insaputa. C’è Gianfranco Fini in Tulliani, mezzo carbonizzato, con un resto di brace fumigante che esala puzzo: rischia di non essere rieletto e di dover andare a lavorare, per cui si finge casiniano. Ci mancava anche la Polverini, altra cicca spenta. E perché allora non candidare il comandante Schettino? Pure lui è disoccupato – anche se ha avuto la faccia di fare causa alla compagnia di navigazione per farsi riassumere, il che lo segnala come un animale politico esemplare della politica italiota: che consiste nel senza-vergogna. E magari porta un pacchetto di voti napoletani...

Un sovraccarico di mozziconi e avanzi di politiche defunte però, rischia di danneggiare il progetto di Casini. Il progetto consiste nel non aver nessun programma – tant’è vero che sostiene Monti, anzi un Monti bis, ter e quater – ma posizionarsi per la democristiana politica dei due forni: stare con le sinistre minacciando di mettersi con le destre e viceversa, essere condizionante con il suo pacchetto di parlamentari all’una oppure all’altra, e passare a riscuotere i compensi dell’appoggio. Ma la DC vera, come portacenere, puzzava meno. E poi era una Balena Bianca, mica un gommone di salvataggio. Un carico eccessivo di scampati, di naufragati della politica che si aggrappano alla scialuppa bianca, mette in pericolo il galleggiamento. L’UDC rischia di avere più candidati che elettori votanti, almeno speriamo. Ma chi può dirlo? Ciascuno di questi mozziconi porta un pacchetto di clientele, un 3% qui, un 2% là e si supera il quorum. Che è quello che conta: col quorum, arrivano gli stipendi da 15 mila mensili, e i «rimborsi» elettorali eccessivi (ne sa qualcosa Rutelli, derubato dei miliardi da Lusi a sua insaputa): è la garanzia di prosperare, di sopravvivere alla propria utilità.

Ma l’UDC non è il solo partito fatto di redivivi, di superstiti e reduci di battaglie perdute e dimenticate (Rutelli la Margherita, ricordate?). Silvio Berlusconi, secondo le ultime voci, abbandonerà il PDL al suo destino, e – convinto dai sondaggi di avere il 9% sul suo nome – farà un partito nuovo, tutto suo: con Briatore. Un partito dei goduriosi attempati, con le liste piene di soubrette e veline di Canale 5. Programma per il Paese nessuno, ovviamente, tant’è vero che anche Berlusconi conta di «radunare i moderati» per sostenere Monti. Ma aveva già certificato la sua nullità da mozzicone consumato pochi giorni prima: aveva annunciato sonoramente che avrebbe fatto «un passo indietro» per «favorire l’unione dei moderati contro le sinistre», ed aveva lanciato un appello ad altri spezzoni sparsi dei progetti o abortiti: venite a me Montezemolo, Sgarbi, financo Tremonti,... Persino Fini, con cui aveva rotto così vistosamente, si degnava di invocare nel suo nuovo progetto del Nulla, il Berlusconi. Anche la Lega. Ovviamente, l’appello era soprattutto per Casini che però – avendolo già provato – non si vuole più alleare con il capo-comico delle Olgettine.

È già un’autocertificazione del proprio fallimento dovere, per radunare una coalizione, promettere: «Tranquilli, io non ci sarò» invece che «Io vi guiderò». Ma il peggio è che nessuno ha risposto al richiamo. Nessuno, nemmeno i rimasugli più inutilizzabili, nemmeno gli avanzi di cucina, hanno registrato con gratitudine il «passo indietro». Nessuno si vuol più alleare con quello che fino a ieri era il mago capace di riunire la più vasta, potente e votata entità della destra: la magica capacità del Cavaliere, è esaurita definitivamente; la prova provata che anche il Cavaliere è ormai solo una risciacquatura di piatti e di bidet. Berlusconi, anche «un passo indietro», puzza come una cicca di Nazionali mal spenta. Tant’è vero che l’onesto e fedele Chicchitto, l’ultima raffica, è sbottato: «Mica possiamo ammazzarlo». Il che sarebbe invece una buona idea, finalmente.

Povero Chicchitto. Povera fedeltà mal riposta: i pidiellini non hanno avuto il coraggio del parricidio politico, come hanno fatto i leghisti col loro demente-fondatore, ed ora pagano. Perché il Cavaliere ha cambiato di nuovo idea e non fa più il passo indietro; dopo aver tradito l’elettorato, tradisce anche il partito da lui fondato e voluto. Ha scaricato Formigoni, che aveva bisogno del sostegno del Pdl per resistere; ora abbandona il PdL al suo destino, nel gorgo sbattuto dalle onde, con Alfano a cercar di manovrare le vele di fortuna e il timone rotto (rotto dallo stesso Berlusconi). Ma siccome il PdL continua in qualche modo ad esistere per un qualche elettorato, sarà un altro relitto che si presenterà alle elezioni.

La destra andrà dunque al voto con due rottami galleggianti – il partito della Goduria e il PdL – anzi tre, perché sembra certo che i «colonnelli» di AN che sono rimasti col Cavaliere, vogliono fondare il loro partitino-scialuppa. Gasparri e La Russa e Alemanno: siamo curiosi di vedere chi li voterà. E soprattutto, perché. C’è già Storace che riesce a sopravvivere ai propri naufragi su un cassone semi-allagato, con un 2% – ridicolo, ma da non buttar via coi tempi che corrono. Così, anche il Passera medita di abbandonare la nave dei Tecnici e diventare un «politico» italiota, lanciandosi tra i flutti. Il guaio è che avrà anche lui dei votanti; un 2% gli italiani non lo negano a nessuno. Va notato che anche persone stimabili si gettano fra le onde in tempesta, contando di farsi raccogliere dall’elettorato soccorritore: Giannino con il suo programma «Fermare il Declino», Tremonti con la sua scialuppa 3L: dicono pure cose di buon senso. Ma quanti voti prenderanno? Disperderanno. È un peccato, ma è così.

La tempesta, dato l’umore dell’elettorato, comporta grandi possibilità, che costoro sono tentati di sfidare. Vedete il movimento di Grillo, che torreggia nei sondaggi:15, ma potenzialmente anche 30 elettori su cento. Renzi cresce enormemente spaventando il vecchiume comunista, prova del ciclone di rinnovamento che asseta anche a sinistra. Persino il robot Monti è gradito: un ipotetico «partito di Monti» raccoglierebbe il 20%. Il pubblico non sa più a che santo votarsi, dà percentuali a due cifre a chi è contro i partiti. Ma questi che si gettano nelle onde, rischiano solo di aumentare il numero dei relitti, e dei sopravvissuti, galleggianti nell’area dell’affondamento, gridando: «Me, salvate me!».

E la Lega? Caso lacrimevole di tragedia del mare: ha perso la prua, la sala motori è allagata, non ha più la rotta, ma si prova a galleggiare, a sopravvivere al proprio fallimento, al proprio programma abbandonato e al proprio significato. Dall’8,5% rischia di passare al 4%, ossia sotto la linea di galleggiamento dello sbarramento. Secondo ogni apparenza, il suo interesse più chiaro era di rimandare il più possibile il responso elettorale. Il che, in Lombardia, significava sostenere la giunta Formigoni come già ha fatto la Lega da anni – dopotutto, la Lombardia è la Regione-chiave, ed è anche – nonostante le ruberie – la regione modello di buona amministrazione. Infatti dapprima Maroni aveva assicurato in conferenza stampa il suo appoggio alla giunta Formigoni; poche ore dopo, voltafaccia, dichiara che la Lega toglie l’appoggio, e si va ad elezioni anticipate.

Come si spiega il voltafaccia? La base era contraria. Sicché risulta che Maroni, come leader, è così nullo che, anziché guidare la sua base, ne è succubo. Insomma, oggi a governare la Lega non è il politico, ma quei coglioni con l’elmo di stagnola e le corna di cartapesta. Si dice che gli strateghi verdi abbiano stretto un patto machiavellico con Alfano: la Lombardia a un leghista; Alfano ha gettato in acqua il Celeste per non perdere i voti di quelli con l’elmo di stagnola. Ma ovviamente è assurdo: che garanzie può dare Alfano? Il suo stesso partito è un relitto spezzato in più tronconi. La scelta della Lega di togliere l’appoggio a Formigoni è un puro suicidio, e darà la regione-chiave non a loro, ma alle sinistre; tanto più che Formigoni ha annunciato: mi presento al voto «e mi batterò come un leone». Sarà un relitto anche lui, ma con un buon pacchetto di voti. Perderà lui e farà perdere anche gli altri.

La sinistra non è da meno, come mozziconi. Tant’è che D’Alema, dopo 8 mandati parlamentari, ha minacciato di ricandidarsi contro il rottamatore Renzi. Minaccia chi? Ha il suo pacchetto di voti, comunque. Tutti i vecchiumi sono allarmatissimi, nell’ex PCI. Il fatto che Veltroni abbia annunciato di ritirarsi e di non cercare la rielezione, terrorizza tutti i rottamandi, specie Rosi Bindi. Perché, spiegano i giornali, il passo indietro di Veltroni «può davvero aprire una crepa nella diga dell’establishment di partito che finora ha retto all’aggressione di Renzi volta al rinnovamento dei vertici». Pensate voi a che punto sono ridotti. Bersani, per raggranellare voti, si è rialleato con Vendola: il quale è di per sé un residuato collettore di lische di pesce e ossa di pollo, o di dinosauri di partiti rossi e collettivisti estinti, che per sembrare nuovo il Vendola ha verniciato di verde e di rosa-finocchio. Eppure Rosi Bindi, pur di salvarsi e di non essere rottamata, gli ha fatto posto nel portacenere pieno di puzzo e cenere di trinariciuti.

Il guaio è che, dato che nelle prossime elezioni il più grande partito sarà quello degli astenuti per protesta (che si auto-escludono e non contano nulla), la sola vera maggioranza sarà quella – disparata e disunita – dei mozziconi e degli avanzi di cucina. Che stanno in schieramenti opposti, ma sono uniti dal solo programma che riescono a concepire: non essere mandati a casa, prendere i finanziamenti, spartire il sottogoverno. Un 2% qui, un 4% là, un pacchetto di voti a destra e una piccola coalizione opportunista a sinistra, sta a vedere che riescono a raggranellare abbastanza per non farsi gettare dall’elettorato nel lavello della storia.

E sarà una tragedia. Il Paese ha bisogno di riforme profondissime, di programmi espliciti e audaci (abolire o disciplinare le Regioni ad esempio: gli enti locali spendono senza controllo 720 milioni di euro, le pensioni dei parlamentari ci costano 140 milioni di euro annui da qui all’eternità, mentre il settore pubblico dice che non ha i soldi per pagare i suoi fornitori e per far funzionare gli asili...), e questi non hanno alcun progetto, sono lì solo a ingombrare – e a farsi pagare. E il ridicolo è che i media parlano solo di loro, come se i mozziconi di partiti estinti e le risciacquature di piatti di maggioranze fallite, fossero ancora «la politica».

A fare i titoli sono Bersani e il Cavaliere, Casini appare ogni giorno in tutti i TG. Mentre se vi interessa sapere cosa ha detto Grillo in Sicilia, che cosa sta dicendo Renzi per farsi applaudire da una parte così consistente della gente di sinistra, si deve andare a cercare nei blog. I grandi giornali li mettono fra i video curiosi, come fossero comici spettacoli marginali. «Grillo e lo show separatista», così il Corriere titola un video del genere. Eppure ai siciliani, Grillo ha detto cose interessanti, che si ha voglia di ascoltare: «Se votate per il Movimento 5 Stelle, dovete cambiare un po’ anche voi». E sulla legge elettorale, che Napolitano ha fretta di cambiare: «Una legge elettorale non si può cambiare un anno prima del voto: lo dice il diritto internazionale, quando ci sono le elezioni in corso non si può modificare la legge elettorale». Se non abbiamo la certezza del diritto non cè democrazia. «Stanno inventandosi qualcosa per eliminare il premio di maggioranza perché hanno paura del nostro movimento, vogliono blindarsi e lasciare tutto immutato». E questo sarebbe, per il Corriere, «uno show di Grillo». Come se quegli altri, nel portacenere e nel lavello dei risciacqui, fossero seri.

La forza dei mozziconi e degli avanzi è che gran parte dell’elettorato – per colpa loro – non sa più che cos’è la politica; non sa più che si tratta di presentare un programma, raccogliere su di esso consensi al di là dello steccato, anche se poi magari non si riesce ad attuarlo, il programma. Questo elettorato, che vota per fedeltà a simboli svuotati, a ideologia terminate e tradite, dà ancora i voti di sopravvivenza a queste cicche: 2% qui, 3% là, ma tutto fà.

Tra questi elettori i più fastidiosi sono quelli che mi scrivono delusi o incazzati perché «sostengo Tremonti», o adesso Grillo e magari Giannino che è un ultraliberista. Invece di far votare per Forza Nuova o simili. Ebbene, signori: non sostengo nessuno. Solo che quando qualcuno esprime delle idee sulla pubblica situazione da riformare, le segnalo se mi paiono interessanti. Giannino è un liberista per cui non lo voterei mai; ma la sua idea di decurtare le pensioni retributive oltre i 4 mila euro mensili – che riguardano appena 513 mila pensionati e costano a noi 9,5 miliardi l’anno, e sono per lo più miliardari pubblici tipo Amato o Ciampi – onde recuperare i quattrini per gli esodati a cui il diritto alla pensione è stato tolto, mi sembra degna di nota. E così l’ironia di Tremonti: su «questo governo di tecnici che fa tanti errori tecnici, strano», e la sua idea sulla Tobin Tax per tassare i derivati: «Quando c’è una rapina in banca, mica metti una tassa ai rapinatori. I derivati non vanno tassati, vanno proibiti».

Queste sono idee, cari ragazzi. Gli altri non ce le hanno (avete letto il «programma» di Bersani? Tutto vacue evocazioni ideologiche: «Lavoro, solidarietà, ambiente», con l’occhiolino ai trinariciuti in pensione: «Siamo quelli di allora... »). È per questo che cito Tremonti, Grillo e Renzi, o Oscar Giannino se mi va. Siccome però le prossime elezioni politiche rischiano vedere la maggioranza dei relitti del naufragio in corso, vi dico come mi comporterò.

Primo, voterò Grillo – non perché condivida le sue idee fanta-ecologiste o perché mi aspetti molto dagli inesperti che porterà in parlamento, ma perché quelli prenderanno il posto di quelli che ci sono oggi. E ciò mi basta.

Secondo: a quanto pare, Renzi vincerà la sua sfida contro il vecchiume dalemiano solo se, alle primarie del PD, voteranno in 4 milioni. Se i votanti saranno solo due, è sicuro che saranno i trinariciuti del vecchio tipo, e faranno vincere D’Alema, Bersani, Vendola. Perciò andrò alle primarie, mi farò registrare e voterò Renzi, che non voterò alle politiche. E forse in Lombardia rivoterò Formigoni: non perché mi piaccia, ma perché gli altri che vogliono prendere il suo posto, e fare della Lombardia una Calabria saudita, mi piacciono meno.

È la sola cosa che possiamo ancora fare come elettori.



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