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Rapidità spaventosa della crisi
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I grandi magazzini Mark & Spencer rendono noto che le vendite natalizie sono andate male,

e immediatamente le azioni Mark & Spencer cadono del 20%.

E così tutti i titoli del settore britannico vendite al dettaglio: in otto mesi, meno 45% (1).

Il settore degli immobili commerciali è precipitato del 44% dall’inizio del 2007.

Le azioni dei due giganti inglesi del settore, British Land e Hammerson, si scambiano oggi con uno «sconto» del 35%, che evidentemente corrisponde ad un pari «sconto» dei lavori immobiliari che hanno in portafoglio.

C’è stata una crisi peggiore nell’immobiliare commerciale inglese, che è veramente «libero» e dove gli immobili si comprano come le zucchine, su un vero «mercato» (contrariamente a quello italiano, ingessatissimo), ma anche molto indebitato: fu ai tempi della crisi di Canary Warf, quando un eccesso di offerta di immobili da uffici restò invenduta.

Allora, i valori immobiliari scesero anche del 65%.

Ma per arrivare a quel fondo, ci misero tre anni, dal 1989 al 1992.

Stavolta, quel che spaventa è non solo la dimensione, ma la rapidità del precipizio: immobili che perdono metà del loro valore in meno di un anno, grandi magazzini prestigiosi come griffes che in otto mesi valgono la metà.

Le azioni del settore della costruzione e dei materiali da costruzione sono calate anche più fulmineamente: meno 27% in quattro mesi.

Poiché questo settore ha rigettato ancora solo una parte dei rialzi incassati dal 2003, ai tempi del boom immobiliare e dei prezzi alle stelle, si teme che la caduta non sia finita per niente.

E solo in parte questa catastrofica discesa sembra dovuta ad aggressive speculazioni al ribasso (short) di alcuni hedge fund su quelle azioni, considerate vulnerabili.

Il fatto è che le azioni di quei settori sono vulnerabili perché l’economia reale sta rallentando molto più di quel che si sperava.

La controprova: con cali così rilevanti, diventa un buonissimo affare - per chi ha liquidità - comprare le azioni.

Mark & Spencer si acquista on uno sconto del 40%, ed oggi le sue azioni hanno un rapporto prezzo/dividendo (price earning) di 10, dieci volte il dividendo.

Molto appetibile, visto che pochi mesi fa andavano a ruba azioni con price-earning 17 o 24 o più (per compensare l’acquisto, bisognava incassare 24 anni di dividendi).

Ma, invece, nessuno ha fretta di comprare nemmeno a prezzi di liquidazione.


Il «sentiment» è fragile, dicono.

La gente tornerà a fare shopping abbastanza presto?

«Per altri tre-quattro mesi non sarà chiaro a quanto arriverà il rallentamento», dicono gli analisti di Shore Capital.

Lo chiamano rallentamento.

Pudico eufemismo.

Il processo che quegli analisti descrivono - prezzi bassi ma nessuno compra, aspettando che abbassino ancora - si chiama «deflazione» ed è il segno che la recessione sta per diventare «depressione».


Qualcosa del genere sta avvenendo anche in Italia nel settore immobiliare.

Nei modi rallentati propri di un mercato ingessato, come il nostro, da vincoli di locazione, tasse e spese notarili.

Ma il segnale che il boom della case sta cedendo viene da un breve articolo apparso su 24 Ore e segnalatoci da un lettore: «Arrivano i saldi immobiliari. La sede italiana del gruppo americano Remax ha presentato a Milano una maxi operazione di sconti che riguarda 500 tra i 10mila immobili detenuti in portafoglio e pubblicati online. Il motivo è il riconoscimento che il mercato immobiliare sta rallentando: il numero di compravendite nel 2008 è previsto in calo del 7% (fonte: Scenari immobiliari), il tempo medio di attesa è salito a 5 mesi (fonte: Nomisma)».

La Remax è un’agenzia immobiliare, tipo una grossa Tecnocasa.

Ecco come ha fatto: «Lo scorso 15 ottobre Remax Italia ha stampato i prezzi di tutti gli immobili presenti sul proprio sito; ha consegnato lelenco al notaio; ha chiamato tutti i proprietari chiedendo loro se volevano partecipare alliniziativa e ha registrato la percentuale di sconto che i proprietari interessati erano disposti a fare».

La manovra è ragionevole.

In Italia, i proprietari che hanno messo in vendita la casa tengono duro chiedendo prezzi da boom, ormai irrealisti, anche perché questi proprietari-venditori di solito non hanno un mutuo da pagare su quella casa, e dunque possono aspettare.

Ma i compratori non si fanno avanti, anche perché loro il mutuo devono accenderlo, se non vedono prezzi più bassi.

Il mercato è dunque immobile, cinque mesi per vendere un appartamento, calo delle compravendite del 7%.

La Remax tenta giustamente di rimettere in moto il mercato (se no lei non vede le grasse commissioni) chiedendo ai venditori di aderire volontariamente a ribassi, più realistici.

Ed ecco il risultato secondo 24 Ore: «Ha aderito all'iniziativa il 5% dei proprietari che in media ha scontato il prezzo dellimmobile dell8,8% (Milano 8%, a Roma 12%, a Novara 25%). Meno dell11,3% di sconto medio previsto da Nomisma per questanno, ma pur sempre una base di partenza della trattativa a un prezzo più basso».

«Si tratta di immobili di 220 località diverse proveniente per il 55% da Lombardia e Piemonte. Il valore medio dellimmobile scontato è di 268mila, superiore alla media di 250mila del valore degli immobili compravenduti riscontrata da Nomisma nel secondo semestre 2007 (per gli immobili acquistati con mutuo). Il picco massimo degli sconti (-47%) è stato raggiunto a Torino con un immobile che da una richiesta di 38mila euro è sceso a 20mila euro. Il valore degli immobili, che saranno online lunedì (isaldiandranno avanti fino al 29 febbraio), va da 40mila a 4 milioni di euro».

Dunque: saldi di case in regioni «ricche» e assetate di tetto, Piemonte e Lombardia.

Tipici buoni appartamenti da 3-4 locali.

Lasciando perdere la super-offerta dell’immobile di Torino offerto col 47% di sconto (sarà un garage umido…),  sembra conveniente.

Si può pensare che parecchi corrano a comprare con lo sconto di fine stagione.

Invece no.

Lo consiglia anche 24 Ore: «Lasciarsi ingolosire dallofferta conviene davvero? Se si acquista con uno sconto del 10% oggi, in effetti, si corre il rischio che a fine anno il calo del mercato risulti analogo. Il rendimento dellinvestimento da rivalutazione dellimmobile, in questo caso, sarebbe di fatto nullo. Insomma, chi può rimandare lacquisto farebbe bene ad aspettare da qualche mese a fine anno per capire dove va davvero il mercato».


Dunque anche il giornale della Confindustria consiglia: aspettate a comprare casa, fra qualche mese i prezzi saranno ancora più bassi.

E’ il meccanismo psicologico che porta alla deflazione.

E presto coinvolgerà tutti gli acquisti che possono essere rimandati, con le conseguenze storiche della deflazione.

Presto offriranno sconti su auto, computer, elettrodomestici, iPod, telefonici ed altre carabattole elettroniche, poi scarpe e vestiario.

Non dite: bello, finalmente i prezzi calano!

Se potessimo mangiare computer e iPod sarebbe bello, ma mangiamo grano e carne e latte, che rincarano su scala mondiale, e vengono trasportati dal petrolio, che rincara e rincarerà per la domanda crescente dei nuovi consumatori-giganti, Cina e India.

Per le imprese, non sarà bello per niente.

Perché le imprese sono indebitate, e se non vendono non servono il debito con le banche.

Dapprima offriranno sconti; poiché la gente aspetta altri ribassi, i loro magazzini e piazzali si affolleranno di invenduto, e costeranno di più.

Arriva il punto in cui i profitti, limati, non bastano a pagare le rate dei fidi.

Cominceranno a fallire, con perdita di esportazioni, produzione, lavoro, profitti, disoccupazione crescente.

Per l’Italia, il processo sarà aggravato non primariamente - come in Gran Bretagna e in USA - dalle follie della finanza speculativa e dai consumatori stra-indebitati, ma dalla tassazione spoliatrice di Visco, peggiorata dalla truffa dell’IVA.

Lo Stato non paga i crediti IVA alle imprese, è noto.

Visco ha abolita la norma che consentiva di defalcare i crediti IVA compensandoli con altri contributi dovuti (altre tasse, contributi INPS, eccetera).

I piccoli imprenditori devono pagare l’IVA che non devono (e che non si sa se rivedranno mai restituita), e pagare anche le tasse e i balzelli più esosi d’Europa, mentre vendono meno e con profitti minori.

Aggrediti da tutti i lati, dallo Stato e dal mercato, soccomberanno presto.

La restituzione dell’IVA diventa cruciale per le piccole imprese, per quelle marginali: è il denaro liquido che serve loro per continuare ad operare.

Siccome Visco se lo trattiene, le imprese devono procurarsi denaro in banca, ad interessi che non scenderanno certo.

Visco dà il colpo di grazia ad un’economia reale che già arranca, sfiancata e meno produttiva delle altre europee.

Dunque ecco il futuro: avremo deflazione (prezzi calanti) per auto e iPod, di cui possiamo fare a meno, ma inflazione dei beni necessari ogni giorno, cibo, carburante, riscaldamento.

Naturalmente Visco dovrebbe accelerare almeno i rimborsi IVA.

Pensate lo farà?

Nemmeno per sogno.

Lui e l’altro complice Padoa Schioppa hanno appena ricevuto le lodi di Almunia, l’eurocretino: bravi, avete ridotto il debito pubblico all’1,3% del PIL.

Trichet, il governatore della Banca Centrale Europea, ha aggiunto: state solo attenti all’inflazione e ai prezzi.

Trichet si preoccupa dell’inflazione, mentre ci sono segni di delazione (in certi prezzi).

Anche la Federal Reserve di Chicago, nel 1929, si preoccupava dell’inflazione, mentre la deflazione era in pieno corso (2).

La FED rialzò i tassi d’interesse per due volte nel 1931.

Trichet sta facendo lo stesso.

Incompetenti, contabili e non economisti.

 

Ad Almunia non importa un fico che il «risanamento» sia stato ottenuto non con la riduzione della spesa pubblica corrente (anzi, aumentata quasi del 4%), né con la riduzione degli interessi sul debito (aumentati del 12,2%), bensì esclusivamente con l’ipertassazione: più 13% dalle imposte dirette (chi di voi ha guadagnato il 13% in più, l’anno scorso?), aggravio delle imposte indirette (più 4%), dei contributi sociali (più 5,8%, con pari aumento del costo del lavoro) e addirittura un aggravio del 40,6% delle imposte in conto capitale (praticamente raddoppiate: e sono imposte che intaccano non il reddito dei contribuenti ma il loro patrimonio o capitale, quindi la capacità di azione imprenditoriale).

Ad Almunia non interessa il trucco del mancato pagamento dell’IVA, vera truffa di Stato a danno dei cittadini.

E nemmeno l’altro trucco nei conti di Padoa Schioppa: le minori uscite sono dovute in grande parte al blocco degli «investimenti pubblici».

Lo Stato smette di spendere in infrastrutture pubbliche che servono all’economia, ma non smette di spendere per i suoi stipendi, auto blu ed aerei.

Anzi la spesa corrente sta per aumentare di nuovo perché pende il contratto del pubblico impiego: gli statali vogliono i loro 4-5 miliardi di euro di aumento complessivo, più il recupero dell’inflazione.

Lo vogliono da noi contribuenti che non abbiamo aumenti, e men che meno il recupero dell’inflazione.

Il «risanamento» lodato di Padoa Schioppa è dunque insostenibile nel tempo.

Quando gli statali avranno i loro aumenti, già non ci sarà più.

E i contribuenti dovranno pagare forse un 10 miliardi aggiuntivi.

Ce la faremo?

Alla fine, calerà anche l’introito tributario, per forza: i falliti non pagano tante tasse, e nemmeno i disoccupati.

E nemmeno i proprietari di case invendute pagano più le super-imposte sugli immobili, imposte in conto capitale, quelle che sono raddoppiate.

Come dice Tremonti: «E leconomia che determina i conti pubblici, non il contrario».

Visco e Padoa Schioppa credono giusto l’opposto, che i conti pubblici siano una variabile indipendente dall’economia, e che si possa «risanare» il debito pubblico a forza di tasse spoliatrici mentre i produttori smettono di produrre per la depressione mondiale.

Vedremo chi ha ragione.

Note

1) Tom Stevenson, «Hard and fast consequences of  meltdown», Telegraph, 13 gennaio 2008.

2) Lo ricorda Anna Schwartz sul Telegraph. Si tratta della coautrice con Milton Friedman di

«A monetary History of the United States», una delle bibbie del monetarismo estremo. La tesi: la crisi del ‘29 non fu colpa della speculazione, ma della burocrazia che esitò a iniettare liquidità. L’intervento pubblico in economia non serve. Il mercato si raddrizza da sé. Per la Schwarz, oggi la liquidità abbondantemente iniettata dalle Banche Centrali non serve a nulla, perché non è una crisi di liquidità ma di insolvenza (il timore adesso sono i fallimenti a catena). Trichet, nella prima conferenza-stampa dell’anno il 10 gennaio, ha dichiarato che la Banca Centrale Europea «non ha il compito di risolvere i problemi dinsolvenza», ammettendo così che la BCE non è - e non agirà da - prestatore di ultima istanza come sembra suggerire la Schwarz. Lui ha intimato più volte agli Stati membri di continuare i tagli di bilancio e la riduzione del deficit (come il bravo Padoa Schioppa),  mentre in depressione si deve accrescere il deficit pubblico per sostenere il lavoro con opere pubbliche. Ed ha minacciato «passi preventivi» contro questa tentazione, ossia un aumento dei tassi d’interesse, già assurdamente alti. Perché, ha ripetuto, ci sono rischi d’inflazione, «state attenti».

E’ vero che ci sono. Ma l’inflazione dipende da petrolio e grani, due merci il cui rincaro l’Europa non ha alcuna possibilità di contenere. C’è poco da stare attenti, da quel lato. Dunque, la sola voce su cui si può intervenire è la riduzione dei salari. Nessun aumento salariale, ha intimato Trichet: la ricetta che aggravò la crisi del ‘29 in depressione decennale (Fonte: LarouchePac, 10 gennaio 2008). Nel 1931, la flotta atlantica britannica subì una decurtazione delle paghe del 10%, e si ammutinò. Conseguenza: la sterlina dovette uscire dal Gold standard, e si svalutò. Fu una relativa fortuna: la depressione inglese fu meno dura di quella americana, dove fallirono 4 mila banche (un quinto). E’ la strada che sta perseguendo Trichet?