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Perché ci hanno sempre occupato
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Napoli: «Entro 48 ore», aveva promesso Prodi.
O entro 24, non ricordo.
La monnezza è ancora lì, anzi cresce.
Inarrestabile e ineliminabile.

La colpa è del Nord egoista che non vuole accollarsi la sua quota di rifiuti, è stata la prima accusa: per poi scoprire che nessun altro paese cittadina o villaggio campano vuole i rifiuti della Campania. Ma non è anche questo egoismo, particolarismo demente?

Allora si cambia discorso, si evocano lontane responsabilità: i piemontesi hanno saccheggiato il Sud.
Ma nessuno esige che i 20 mila netturbini di Napoli, che sono in enorme soprannumero, si mettano per le strade a sgobbare; lavorino invece i soldati.

Quelli sono stati assunti e sono pagati per fare nulla.
Nessun dovere a «noi», solo colpe agli «altri».

La popolazione entusiasta partecipa ad una grande ammuina: microscopiche «società civili» presidiano i loro agglomerati, pestano poliziotti e commissari speciali, ed «esasperati bruciano i cassonetti».
Disoccupati organizzati salgono su un tetto e minacciano di buttarsi giù (non lo fanno mai), approfittando del fatto che sono arrivate tante TV: vogliono posti da netturbini.
La secessione suicida pullula e dilaga.

La sinistra ha gridato ad altissima voce che Cuffaro doveva dimettersi; ma non che deve dimettersi Bassolino.
Per «loro» una morale, per «noi» un'altra.
Malpensa è un mezzo hub, la Regione Lombardia ne ha trascurato i collegamenti.

Prodi e Padoa  Schioppa ne approfittano per distruggerla, devastare posti di lavoro e punire l'economia del Nord: perché il Nord non vota Ulivo, e dunque va distrutto anche se così si danneggia la sola area economica che paga i tributi per tutt'Italia.
Crepiamo noi, purchè crepi il nemico. 

Berlusconi non riesce a pensare ad altro che a Mediaset, e non intende obbedire alle regole europee sulle frequenze: la multa la paghi l'Italia.
La signora Mastella viene ricevuta da Ceppaloni come una regina perseguitata, e infatti Ceppaloni è il regno indipendente del malaffare dinastico.


Ma che dire di Tabacci?
Sembrava così razionale, sprezzante dei noti mali italiani, della balcanizzazione partitica: dopo di che, si separa da Casini e fonda una «cosa bianca» con due o tre amici.

Eugenio Scalfari ha scritto (una volta tanto) un ritrattino gustoso di Turigliatto: questo espulso da rifondazione «ha fondato un partito del quale è uno dei 25 iscritti, e che ha come obbiettivo la rivoluzione comunista mondiale».

Per giungere a questo grande scopo, ha votato con Fini, Storace e Berlusconi.

Ogni iniziativa di Diliberto, comunisti italiani, è intesa a rubare voti a Rifondazione.

Pecoraro Scanio è disposto a riportare l'Italia allo stato pastorale e al brigantaggio sull'Appennino tornato alla stato di natura, pur di affermare la grande paturnia dell'infima minoranza ecologico-fondamentalista.

I calabresi si fanno felicemente ammazzare dai medici della Sanità calabrese, il cui capintesta Domenico Crea proclama al telefono: «Che te ne fai di 10 mila euro mensili come consigliere?

Il più fesso dei miei è miliardario»: è la celebrata autonomia regionale, diventare miliardari con il denaro di tutte le altre regioni.

I calabresi continuano a votare questi omicidi, nella loro fiera «autonomia».
E la Lega, intanto, esige sempre più «federalismo».

Ossia più particolarismo, più secessioni mentali e morali, più chiusura al resto della nazione, più ghetti dialettali «de noantri».

Il secessionismo non si arresta davanti a nulla: siamo ormai alle secessioni individuali.

I parlamentari avevano promesso di fare una colletta per gli operai bruciati della Thyssen.

Avevano giurato che avrebbero versato un giorno del gettone di presenza (500 euro: ecco il motivo per cui il Parlamento siede in permanenza, come fosse assediato da carri armati golpisti e deciso a difendere la repubblica), poi solo 250.

Alla fine, hanno cacciato meno di 45 euro a testa.

Solidarietà con le famiglie, ma più di tanto non riusciamo a fare.

 

Una imprenditrice milanese ha dovuto recarsi all'ufficio-imposte: per fornire documenti onde pagare le tasse, si devono fare pure file infinite.

Ha sentito uno dei funzionari sussurrare all'altro (meridionali entrambi): «Falli soffrire».

E' questa l'ideologia del pubblico impiego fiscale: i cittadini privati non basta che paghino le tasse, «devono soffrire».

Bisogna umiliarli nelle code, moltiplicare le regole e i documenti richiesti, onde aprire più numerosi varchi alle «inadempienze», alle «infedeltà», e dunque alla punizione; l'ideale è costringerli a chiudere l'azienda sotto il peso delle imposte e degli «adempimenti».

Il costo che questo impone alla società, fino alla rovina, non li riguarda: in guerra non si bombardano le città e le fabbriche del nemico?

Allo stesso scopo Visco ritarda i rimborsi IVA: falliscano, questi evasori, che votano pure Berlusconi!

Non a caso i brigatisti rossi ultima generazione (quelli che hanno ucciso Marco Biagi) erano dipendenti statali.

La piccola burocrazia considera l'esistenza stessa della società privata una piaga morale da eliminare.

Fisicamente.

Visco manda continue ispezioni nel Nord Est (che non vota Ulivo), ma nessuna nelle COOP rosse emiliane.

I giudici montano una sempre nuova inchiesta su Berlusconi, mai sui «loro» (vedi alla voce Toghe Lucane, un sistema di corruzione magistratuale: appena un magistrato ha cominciato a indagare, è diventato un bersaglio da screditare).

Finiamola qui, l'elenco delle secessioni in corso sarebbe interminabile.

Secessioni di casta, di gruppo, secessioni personali, di gilda; secessioni territoriali e vernacolari, feudi di malaffare chiusi e fortificati.

Al Sud più che al Nord: al Nord la secessione fu proclamata a parole come atto politico-giuridico,

a Ceppaloni, Catania e a Vibo la secessione è una realtà di fatto, perfezionata giorno dopo giorno.

All'energia di cui Mastella dà prova nella difesa del suo «diritto» a corrompere e malversare, non corrisponde alcuna energia di alcuna personalità nella difesa del bene comune e degli interessi generali.

Ma il tema si ripropone nel piccolo, persino le riunioni di condominio diventano da noi inimicizie fatali, odii inestinguibili, per la luce delle scale o le spese delle parti comuni.

 

Persino il governo e i suoi apparati sono secessionisti: anziché considerarsi al servizio della società, la vogliono punire, controllare, asfissiare, mettere sotto sospetto permanente.

Il che significa che non riconoscono legittimità alle altre categorie.

Taxisti o piccoli imprenditori, non devono esistere.

Tutto questo dichiara una volta di più il centro del male italiano: un popolo che è incapace di autogovernarsi.

Che non è degno dell'indipendenza.

«Noi siamo da secoli/ calpesti e derisi/ perché non siamo popolo/ perché siam divisi», grida il nostro inno nazionale, un po' ridicolo.

E infatti è stato sempre così.

Un gruppo che ha il potere se ne accaparra sempre più, senza il minimo scrupolo né pensiero «per gli altri».

Fino a distruggere il tutto, senza esitazione.

Ripetutamente, una fazione ha chiamato in Italia il nemico interno per schiacciare la fazione avversa: l'ultima volta, gli «antifascisti borghesi e illuminati», i massoni alla La Malfa, che si fecero spie degli americani e loro quinte colonne.

O i comunisti, la cui patria era l'URSS.

Pacifisti universali, la sola guerra che ci attrae e ci dà voluttà è quella civile, fratricida.

Da dove nasce questo?

Dal sedimento di inciviltà che incrosta il fondo della bottiglia italiota.

Una muffa di egoismi meschini, di ottusità disonesta, di invidie e ignoranza, che non si riesce mai

a pulire; e che negli ultimi tempi è sempre più fiero della sua malvagia meschinità, proclama la sua disonestà come una «identità», se ne compiace.

Il sedimento - detto anche feccia - non riconosce e non ammette modelli superiori a sé; si propone invece come modello, basta vedere la TV per constatare che i protagonisti sono gente che lava

i panni sporchi in pubblico, che fa scherzi crudeli, che strappa risate dicendo «merda» e «cazzo»

(la comicità che piace ai villani ignoranti, mai l'umorismo).

Ci si compiace, ci si rivoltola nella ignobiltà italiota: la monnezza a Napoli non ne è che la realizzazione concreta, altamente simbolica.

In altri tempi, questa incapacità di autogoverno, questa secessione intestina e corpuscolare, otteneva un esito invariabile: l'occupazione straniera.

La politica aborre il vuoto di potere, e occupa gli spazi della somme delle debolezze pullulanti,  anzitutto mentali e morali.

 

Arrivarono gli spagnoli, arrivarono gli austriaci; i napoletani dimenticano troppo facilmente che gli amati Borboni erano una dinastia straniera europea - li adottarono con amore ignobile alla fine, quando poterono chiamare Francesco «o' re lazzarone», «Franceschiello»: finalmente uno «di noi» (ma aveva una moglie austriaca).

Gli stranieri imponevano, a modo loro, l'ordine che mancava: più o meno rapinoso, più o meno limpido, ma sempre meglio del disordine di un popolo che non sa autogovernarsi, che non è degno d'indipendenza, che si rivoltola nelle inimicizie e negli accaparramenti gli uni a danno degli altri.

Oggi, il sistema politico mondiale non permette più l'aperta occupazione.

Essa avviene, ma in forme ambigue e occulte - Goldman Sachs mette i suoi scherani al governo - che sono anche le più irresponsabili e invisibili.

Per questo, non scocca più la minima scintilla di dignità nazionale, le Regioni sono enormi formaggi di cui i vermi che le divorano, pullulanti, proclamano «l'autonomia».

Lo straniero sarebbe persino una salvezza: non a caso Dante invocò un intervento imperiale tedesco per porre un ordine nel bordello.

Ma non c'è la paura della serietà straniera, del tedesco che obbliga con le cattive: siamo «liberi». Liberi di rivoltolarci.

Perciò la marcescenza non ha limiti, si aggrava compiaciuta, si approfondisce e fermenta.

Il sedimento di inciviltà diventa ogni giorno più spesso, fetente e incrostato.

Arretriamo verso la miseria da terzo mondo, senza possibile riscatto.