Eh sì, la sinistra è il partito dei parassiti pubblici
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Un certo Fabrizio Gifuni ha scaldato la platea di sinistra  all’adunata «Contro la manovra di Tremonti» organizzata da Bersani. Al tal Gifuni, per scatenare l’ovazione, è bastato esordire: «Compagni, compagne», aggiungendo: «era tanto che volevo dire questa cosa». E giù un discorso estremista, da Fiom Metallurgici.

Vibravano i cuori: è tornato il proletariato! Fa di nuovo paura, la Classe Operaia!  Di nuovo in marcia contro i Padroni!

Il fatto è che Fabrizio Gifuni non viene dalla fabbrica, non milita nella Fiom. Dalle biografie sul web (scritte da lui) si nomina «attore». Attore di film pagati dal contribuente italiano come tutta la filmografia, perchè non hanno pubblico, non hanno mercato nemmeno nazionale, e nessuno ha mai avuto la minima voglia di vederli, salvo qualche «compagno» del giro. Qualche parte cosiddetta «importante» nella TV di Stato, ossia sempre a spese dei contribuenti: queste parti in TV sono per definizione «fuori mercato», perchè nelle sale farebbero il vuoto torricelliano.

Ma come campa, l’autodefinito «attore» Gifuni, a parte le particine?

Probabilmente bene, perchè – lui nelle sue autobiografie non lo dice – è figlio di Gaetano Gifuni. Il leggendario segretario del Quirinale, suggeritore ed eminenza grigia di Ciampi e Scalfaro, uomo potentissimo, manovratore di leggi e «voci» dal Quirinale, grand commis dello Stato. Ultimo emolumento conosciuto: un milione di euro l’anno.

Salvo pluripensioni cumulate. Perchè Gifuni Gaetano da Lucera, prima di essere stato il gran ciambellano e padrone di fatto del Quirinale, inamovibile per 14 anni, è stato segretario generale del Senato per 12 anni (dal 1975 al 1987), e poi ancora un’altra decina fino al 1992, quando Oscar Luigi Scalfaro l’ha voluto  come consigliori della presidenza.  Insomma, una carriera delle più pagate in assoluto.

Finchè era segretario del Quirinale, Gifuni-padre del proletario attore risiedeva in un angusto  appartamentino (600 metri quadri) con mobili d’antiquariato tratti dal patrimonio dello Stato. E presiedeva un gabinetto suo con 63 dipendenti. Il servizio «Tenute e Giardini» della presidenza della Repubblica, sempre da lui sorvegliato, contava 115 dipendenti.

Per papà Gifuni, obbligato a lasciare la lucrosissima carica e il fantastico appartamento al Quirinale per decenza (a 77 anni, non se ne voleva andare), il presidente Napolitano – o forse Ciampi? – hanno inventato una carica  mai prima esistita: «Segretario del Quirinale onorario». Non volevano privarsi delle sue qualità di maneggione dietro le quinte. Sicchè Gifuni mantiene un ufficio in eterno nel Quirinale, con due segretarie e tutti i mezzi di comunicazione, e ascensore riservato (importantissimo privilegio dei parassiti maggiori).

E’ stata sotto la segreteria del Gifuni-padre che la Presidenza della Repubblica – intesa come ufficio-ministero – ha visto triplicare i dipendenti (tutti strapagati) fino agli attuali 5 mila. E’ sotto il suo occhio vigile su assunzioni, promozioni e stipendi tutti pagati con i soldi nostri, che la Presidenza della Repubblica ci è venuta a costare 240 milioni di euro annui, il quadruplo di quanto costa agli inglesi la Monarchia (57 milioni), abbastanza da gestire una città da mezzo milione di abitanti, come Padova.

Fabrizio Gifuni, il figlio «attore», deve aver sviluppato il suo spirito rosso proletario crescendo appunto nell’appartamentino da 600 metri quadri, circondato da trumeau Maggiolini e quadri di scuola secentesca, servito a colazione, pranzo e cena da domestici in livrea e salutato da corazzieri, costretto a giocare da bambino negli spogli giardini del Quirinale, e d’estate magari nella modesta tenuta di Castelporziano curata da soli 8 giardinieri.

Sono esperienze che lasciano il segno, e inducono un cuore di adolescente a sentirsi parte delle sofferenze degli operai oppressi. Ma non si può non riconoscere che essere «di sinistra» aiuta, se da figlio di papà non vuoi seguirne le orme di grande parassita di Stato, e scegli di fare l’attore. Perchè lo spettacolo, e quel che in generale si autodefinisce «la cultura», in Italia, è un  feudo delle «sinistre». Lo è, esattamente per il motivo che non ha mercato, e dunque è sovvenzionato dallo Stato. Ossia dai contribuenti che, come spettatori, disertiamo i cinema e i teatri dove «La Sinistra» egemonizza ed impone le sue superflue nullità.

Mica per niente enti lirici e teatri pubblici sono in eterno deficit: la «cultura» che fanno non interessa nessuno, è sempre la solita vecchia solfa che aveva stufato già dai tempi di Strehler. Mica per niente il «cinema italiano» è da decenni un buco perpetuo e i nostri «registi» più altezzosi, da Bertolucci alla Cavani, provocano disastri alle pubbliche finanze, perchè non hanno mercato nemmeno nazionale (l’internazionale, lasciamo perdere).

E’ la «sinistra», lottizzando la «cultura», che ha reso la cultura noiosa e inguardabile, anzi sinonimo stesso di «noia» per ogni italiano.

Ed ora, tutta la «sinistra» è insorta contro Berlusconi, Tremonti e Bondi, perchè hanno decretato «tagli alla cultura»: ossia alle loro sovvenzioni, ai loro emolumenti di attori, cantanti, registi falliti che nessuno, spontaneamente, vuol vedere cantare, recitare e dirigere – male, perchè per lo più è gente senza il minimo talento. Danno la colpa alla «destra» che è «contro la cultura», che è ignorante e rozza.

Pensate alla Cavani o a Fuksas, e concludete che è meglio essere ignoranti e stare alla larga da quella «cultura».

Fabrizio Gifuni è parte integrante – e integrata – di questa «cultura» che non esisterebbe senza sovvenzioni pubbliche. Dalla sua autobiografia, il figlio di papà risulta «ideatore e interprete degli spettacoli: Na specie de cadavere lunghissimo (da Pier Paolo Pasolini e G. Somalvico, regia di Giuseppe Bertolucci) per il quale ottiene il premio Hystrio e il Golden Graal, Non fate troppi pettegolezzi (drammaturgia originale su testi di Cesare Pavese), L'ingegner Gadda va alla guerra e I Kiss your hands-catalogo semiserio delle lettere mozartiane, con Sonia Bergamasco e i musicisti Rea, Marcotulli, Trovesi e Damiani».

La memoria non ci soccorre, ma non ci pare che «Na specie de cadavere lungissimo» sia stato un successo di cassetta. Mai abbiamo trovato una persona normale che abbia confessato di averlo visto.  E nemmeno ci par di ricordare i nomi dei «registi» con cui il figlio di papà ha a suo dire lavorato: Anna di Francisca, Gianluca Maria Tavarelli, Marco Turco, Andrea Porporati. Chi cavolo sono, costoro? Chi è andato a vedere le loro opere, di sua volontà, in qualunque cinema sia pur d’essai?

La conosciamo la loro risposta: L’arte che facciamo noi di sinistra è troppo «avanzata» per loro, troppo «sperimentale» per gli italiani, ignoranti. Soprattutto, troppo «anticonformista».

Da un secolo la sinistra fa «anticonformismo», tipo «La Corazzata Potemkin», «Arlecchino Servo di due padroni», montaggi di «tesi di Pasolini», «Lettere della Resistenza», eccetera. Sempre centoni, sempre il passato «rosso», senza il minimo guizzo. Una eterna maglietta con la faccia del Che, continuamente riproposta.

Ma almeno si contentassero, assumessero la loro arroganza come un destino: per imporre le idee della «cultura», accettiamo di fare la fame, di ridurci all’eterna gavetta in mezzo a un popolo «che non ci capisce». Dopotutto, l’hanno fatto Van Gogh, Gauguin, Gaudì (che era un po’ meglio di Fuksas e non si dava le sue arie).

No, questi dicono: ci paghi lo Stato, visto che il popolo è arretrato. E mica con le briciole: vogliamo i miliardi, come Fuksas. Vogliamo che le nostre «opere» siano comprate dal Museo Maxxi testè inaugurato a Roma. Vogliamo che la gente sia costretta a vederci come recitiamo, anche se non vuole.

Niente gavetta per Fabrizio Gifuni, cresciuto nei solitari giardini del Quirinale. S’è fatto dare parti «importanti» alla TV di Stato: De Gasperi, l’uomo della speranza, miniserie TV di Liliana Cavani, «Paolo VI», altra miniserie. La parte dello psichiatra Basaglia (tanto, tanto di sinistra)  in una terza miniserie TV.

La TV, è ovvio: evita di andare «sul mercato». E consente di farsi una carriera, di vincere premi lottizzati, di partecipare a festival pagati coi nostri soldi, dove ci si fa apprezzare dalla «critica» che è fatta di compagni, compagni della cultura eguale noia, compagni lottizzati anche loro.

Ma per diventare De Gasperi in TV, c’è  bisogno dell’aiutino di papà. Papà Gifuni che, per questo figlio che, non sapendo far nulla, s’è messo in mente di fare l’attore (i figli so’ piezz’e core)  ha mosso le leve giuste, fatto le giuste telefonate, raccomandato a chi di dovere.  Per vie interne, tutte statali.

Direte che questa è una mia illazione.

Ma c’è la prova che Gaetano Gifuni, il segretario del Quirinale onorario a vita, miliardario di Stato e maneggione inarrivabile, aiuta  i parenti.

Leggo da Wikipedia: oltre che «padre dell'attore Fabrizio Gifuni», il Gaetano di Stato «è zio di Luigi Tripodi, responsabile del Servizio Tenute e giardini del Quirinale. Nel 2009 Gaetano Gifuni viene indagato per falso. Secondo l’accusa sarebbe sua la firma che ha consentito al nipote Luigi Tripodi di avere l’assegnazione come alloggio di servizio di una casa abusiva all'interno della Tenuta di Castelporziano.

Secondo le ultime notizie (ben nascoste nelle pagine interne), per questo nipote, Gifuni padre è stato rinviato a giudizio:

«Gaetano Gifuni è stato raggiunto da una richiesta di rinvio a giudizio per falso. Il pm ipotizza che Gifuni abbia aiutato il nipote Luigi Tripodi (già capo del servizio tenute e giardini del Quirinale), a ottenere un alloggio di servizio allinterno della tenuta presidenziale di Castelporziano. Limmobile in questione è il vecchio canile, usato per anni dal nucleo cinofilo dei carabinieri, trasformato in una villa a due piani di 180 metri quadri con tettoia coperta per le macchine e duemila metri di giardino. Tripodi ci si era installato con la famiglia e non voleva lasciarlo nemmeno dopo essere stato messo in pensione. A Gifuni è contestato anche il peculato in relazione alluso di «materiale acquistato dalla Tenuta» e destinato alla realizzazione di alcuni mobili (armadi e tavoli) e di una tettoia parasole per il suo appartamento privato di Roma. Lavori realizzati da operai di Castelporziano in orari di servizio. Il nipote di Gifuni, Luigi Tripodi, è accusato di abusivismo edilizio, peculato, falso e truffa. A metterlo nei guai la disinvolta gestione dei due milioni 700mila euro destinati ogni anno al Servizio tenute e giardini. Gran parte di questi soldi, secondo i magistrati, dal 2002 in poi sarebbero finiti nelle tasche di un ristretto gruppo di funzionari. Il nipote Tripodi appunto, poi il direttore di Castel Porziano Alessandro De Michelis e i cassieri Paolo Di Pietro e Gianni Gaetano. Sparivano, a quanto risulta, 50-60mila euro al mese».

Vedete che alta figura di servitore dello Stato è papà Gifuni, così amato e apprezzato da Scalfaro e da Ciampi e da Napolitano. Vedete da quale vertice di moralità ha tramato da 15 anni contro Berlusconi, e contro gli italiani che l’hanno votato. E’ ovvio che un grand commis che non s’è mai sottoposto alla democrazia, che deve la sua carriera agli automatismi e alle losche promozioni interne della burocrazia, provi un certo schifo, e la volontà di manovrare contro i responsi delle urne, dietro le quinte, mentre  regala al nipote una villa abusiva nella tenuta presidenziale... Anche papà Gifuni è, in questo senso, «di sinistra». Anzi lo è più di tutti.

Più del figlio Fabrizio che, contro i tagli alla «cultura» (ossia alle sue esibizioni pagate in miniserie TV) arringa la platea con «compagni e compagne», e strappa non solo ovazioni, ma strappa la scena a Bersani, che fa il «moderato».

Prevedo che il figlio di papà, a Bersani, toglierà persino il posto di segretario: il «mondo della sinistra» non si sente rappresentato da un vecchio funzionario del PCI. Si sente rappresentato da un figlio di un miliardario di Stato con carriera «artistica» televisiva garantita, perchè questo è in realtà il PD: il partito di riferimento dei parassiti pubblici, chi per miliardi e chi per pochi euro, ma tutti decisi a succhiare i soldi dei contribuenti per sè, per i parenti, per le case che diventano ville con soldi nostri, per le serie TV fatte apposta per dar lavoro e stipendio al figlio del gran maneggione quirinalizio.

Finalmente, con Gifuni segretario del PD, tutto sarà più vero e chiaro: sinistra dell’entertainment noioso, dello spettacolo inguardabile, della «avanguardia» dell’altro ieri ma mantenuta coi nostri soldi oggi.

«Cari compagni, care compagne, è tanto tempo che volevo usare la parola». Applausi.

 

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