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Un argomento serio contro il nucleare
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I Verdi al parlamento europeo hanno diffuso un loro rapporto contro il nucleare (www.greens-efa.org): prevedibile, visto che in tutta Europa – c’è anche la lobby nucleare – si riparla di tornare a costruire centrali atomiche.
Ma non prevedibili, per una volta, gli argomenti.
Non si ricorda il pericolo d’attentati alle centrali, non si parla del rischio di proliferazione, né dei rifiuti nucleari che non si sa dove mettere, insomma dei soliti spauracchi.
Stavolta, l’argomento è nuovo, concreto.

Per rimpiazzare la chiusura delle centrali attive, molte delle quali hanno più di 40 anni e vanno smantellate, bisognerebbe mettere in opera 290 centrali nuove da qui al 2025: una ogni mese e mezzo fino al 2015, una ogni 18 giorni negli anni seguenti.
Questo ritmo incredibile fu in realtà tenuto, negli anni ’80.
Ma oggi non più.
L’industria specializzata non riuscirebbe a rispondere ad una tale concentrata domanda.
Esiste una sola acciaieria al mondo capace di forgiare un pezzo essenziale del cuore del reattore, e sta in Giappone.

Collo di bottiglia ancora più grave: non esistono abbastanza tecnici e ingegneri del livello necessario non solo per costruire, ma per far funzionare e controllare tante nuove centrali.
Dopo decenni di abbandono di questo settore, le competenze non sono state formate.
Entro il 2015, ben il 40% dei tecnici che operano nelle centrali francesi saranno andati in pensione. Solo l’8% dei dipendenti del settore atomico ha meno di 32 anni.

Ed ecco adesso un altro problema: chi finanzia queste grandi opere?
A causa della liberalizzazione del mercato dell’elettricità, gli investitori-speculatori privati  considerano questi investimenti a rischio.
Troppo costosi (un reattore ultimo tipo, EPR, costa 3 miliardi di dollari), un investimento a troppo lungo termine e con sorprese lungo il percorso (certificazioni, permessi di costruzione, referendum anti-nucleari come dopo Chernobyl, che imposero chiusure da panico con perdite rilevanti).
Non ci sono grandi e rapidi profitti da sperare.

Standard & Poors ha messo in guardia il capitale globale internazionale su altri rischi: contratti insufficientemente assicurati contro i mutevoli umori dell’opinione pubblica, sforamento di costi (quasi inevitabile quando la costruzione dura dieci anni, e i prezzi dei materiali oscillano sul «libero mercato»), ritardi di costruzione…
Anche Moody’s, naturalmente, ha obiettato, e con argomenti finanziari: attenzione a non sottovalutare questi rischi per gli investitori, il costo di produzione dell’elettricità dall’atomo potrebbe essere alla fine del decennio «sensibilmente più elevato» di  quanto si creda.
E se poi il greggio ribassa?
Sono argomenti concreti contro il nucleare civile, finalmente.
Ma che cosa accusano?
Accusano e denunciano l’arretramento tecnologico europeo.

Sottolineano la perdita di competenze specifiche che abbiamo subìto, il ritardo scientifico scientemente accumulato per demagogia, alla fin fine un arretramento della civiltà.
E confermano che nel «libero mercato globale», la speculazione privata preferisce investire in gadget di consumo e telefonini, che danno profitti immediati ed alti, piuttosto che in grandi opere durevoli di utilità pubblica.
Non è una novità, in fondo.

Fossero esistite Moody’s e Standard & Poors, ai loro tempi, non si sarebbe scavato nemmeno il canale di Panama, non il Canale di Suez, non si sarebbe fatta la Transiberiana.
Il «mercato libero» è per l’abbandono delle infrastrutture, un nuovo tipo di barbarie culturale.
Tutto il discorso dei Verdi, finalmente serio, dice una cosa sola: che le centrali atomiche devono essere fatte dallo Stato, gestite e controllate dallo Stato come ogni opera pubblica che sia anche un monopolio naturale, come le Ferrovie che erano solo ieri pubbliche.
E con prezzi non di mercato, non «deregolati», per l’elettricità prodotta: come appunto avveniva ancora qualche anno fa.
Nei decenni dei prezzi controllati, l’Europa ha prosperato e progredito; nel «mercato libero globale», è arretrata e sta peggio.

Ma naturalmente, l’industria di Stato richiede competenze nello Stato.
A chi affidiamo oggi le centrali?
A Berlusconi?
A Mastella?
Sì, questo è finalmente un argomento serio.

Naturalmente, la lobby ecologista non ha potuto fare a meno di inserire, nel suo serio rapporto, una menzogna alla Pecoraro Scanio.
Ha definito «irrilevante» (négligeable) il contributo del nucleare alla loro epica lotta contro il riscaldamento globale.
Senza dire, ovviamente, che se le 440 centrali oggi in attività fossero state a carbone o petrolio, l’emissione di CO2 nell’aria conterebbe 2 miliardi di tonnellate in più all’anno.
Si tratta del 9% delle emissioni mondiali, che i verdi proclamano di voler ridurre, del 9% risparmiato all’atmosfera e sottratto all’effetto-serra.
Non proprio un risparmio ecologico irrilevante (1).




1) Jean-Michel Bezat, «Les limites du retour au nucléaire », Le Monde,  22 novembre 2007.