42-16868239.jpg
Betulla, il «Messia» e la teologia civile d’Occidente
Stampa
  Text size

«C’è antisemitismo nella pancia di tanto cattolicesimo tradizionalista»: dice il Betulla, al secolo Renato Farina, informatore dei servizi segreti e «crociato» dell’huntingtoniano «scontro di civiltà» (1).
Credo che l’allievo di don Giussani dovrebbe pensare un po’ alla sua di pancia.
E forse anche alle sue conoscenze storico-teologiche: quel che Betulla, con riferimento alla teologia cattolica sul popolo ebreo (che egli chiama con ignoranza «antisemitismo»), definisce «cattolicesimo tradizionalista» era nient’altro fino a 50 anni fa che il cattolicesimo tour court, quello da cui è partito anche il suo Giussani.
Che brutta fine ha fatto Comunione e Liberazione (o dovremmo dire Comunione e Americanizzazione?) e che frutti sfatti ha prodotto: chi andasse a rileggersi i numeri de Il Sabato di 10 - 20 anni fa, troverebbe un’altra realtà ecclesiale, assolutamente non immaginabile come radice dell’attuale Comunione e Liberazione.
Un movimento ecclesiale audacemente schierato su posizioni per niente filoccidentali (chi scrive ricorda, in particolare, un editoriale uscito subito dopo la caduta del muro di Berlino: mentre tutto l’Occidente inneggiava alla vittoria ed alla fine della storia, coraggiosamente Il Sabato pubblicava a piena pagina «Tra due materialismi - Est ed Ovest - noi non possiamo scegliere»).
Se è vero che è dai frutti che si riconosce la pianta…!

La questione che Betulla e molti altri non hanno ancora compreso nei riguardi di tutta la vicenda «preghiera pro judaeis - liste di proscrizioni» sta nel fatto che non siamo di fronte ad implicazioni «politiche» ma assolutamente teologiche.
Qui si tratta di chiarire, innanzitutto fra noi cristiani, se Cristo è il Salvatore Unico ed Universale
di tutta l’umanità o se qualcuno, i «fratelli maggiori», resta fuori dal raggio di azione di Cristo.
Se si accetta, come fanno molti teologi modernisti, questa seconda opzione, magari indorandola
con disquisizioni «filosofiche» o diplomatiche, sulla scia dell’«ecumenicamente corretto», siamo evidentemente fuori dalla Fede cattolica.
«Il vostro parlare sia si si no no»: un ammonimento che non va calato sul piano dell’immanente, come la politica, ma che è imprescindibile sul piano della Trascendenza, sul piano della Fede.
Il punto è proprio questo.

Gad Lerner lo ha detto chiaramente: naturalmente dal suo punto di vista.
Un cardinale «ecumenicamente corretto» come Kasper ha invece minimizzato riaffermando il neo-credo (una evidente rottura, qui non c’è sofisma che tenga, con duemila anni di Tradizione e Magistero) sulla presunta validità ancora attuale del Patto di Dio con il Vecchio Israele.
Se così fosse si deve però spiegare perché mai al momento della morte di Nostro Signore il velo del Tempio si squarciò ovvero perché, questo significava lo squarciamento del velo, la Sekinah di Dio abbia, in quello stesso momento, abbandonato quel luogo, destinato alla distruzione, come profetizzato da Cristo, pochi anni dopo.
La neo-teologia oggi gioca di rimessa confondendo le acque con l’additare continuamente l’«Alleanza non revocata».
Bisogna invece intendere molto bene sui contenuti della tanto deprecata «teologia della sostituzione», perché essi sono assolutamente evangelici («Perciò io vi dico: vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato ad un popolo che lo farà fruttificare»: parole di Cristo rivolte ai sinedriti in Matteo 21,43) e, su questa base evangelica, sono stati ben sviluppati dall’Apostolo Paolo, in particolare nella «Lettera ai Romani» e nella «Lettera agli Ebrei».

In quest’ultima, la questione è cruciale, viene ricordato da San Paolo che quello di Cristo è il Sacerdozio Universale al modo di Melchisedek superiore a quello levitico: in Genesi 14-17,20 Abramo, in segno di sottomissione, paga la decima a Melchisedek re di Salem e depositario della Rivelazione Primordiale Adamitica cui è connesso il Sacerdozio Universale.
Un Sacerdozio non etnico, come quello levitico, ma Trascendente, tanto è vero che Melchisedek non è ebreo ma è uno dei cosiddetti «santi pagani del Vecchio Testamento».

E’ necessario fare chiarezza sull’equivoco sul quale speculano i neo-teologi quando oppongono senza fondamento il Magistero formatosi alla luce del Concilio Vaticano II alla tradizionale teologia cattolica sul popolo ebreo: invece persino il più recente magistero, come quello di Giovanni Paolo II, quello dell’«Alleanza non revocata», a ben guardare, è assolutamente in linea, al di là della forma terminologica espressiva, con la tradizionale teologia della sostituzione.
La Vecchia Alleanza non è stata, certamente, revocata ma solo nell’esclusivo senso che essa è stata, come il contratto preliminare con il contratto definitivo, superata, adempiuta e continuata in Cristo, nella Nuova Eterna Alleanza.
Lo dice chiaramente san Paolo nella «Lettera ai romani»: gli israeliti che non hanno riconosciuto
il Messia in Cristo sono «rami tagliati» dall’Olivo che è Israele intendendo per tale non il sangue, la razza, ma la Fede di Abramo.
I rami tagliati saranno un giorno reinnestati per i meriti dei loro padri (e nostri padri nella fede) ma al momento sono e restano rami tagliati.
E’ questione teologica sulla quale si gioca il futuro stesso della Fede cristiana e della Chiesa: non c’entra la politica o il conflitto israelo-palestinese.

Certamente nel passato i cristiani hanno spesso dimenticato quanto altro diceva San Paolo nella medesima «Lettera ai Romani» ossia di usare carità e misericordia verso i suoi fratelli nella carne per i quali egli avrebbe dato persino la vita purché conoscessero Cristo e la Verità.
Ma la problematica è stata appunto squisitamente pastorale e legata quasi sempre a problemi di ordine non primariamente dottrinale ma politico-economico, nei quali si tiravano abusivamente in ballo questioni teologiche.
Se, pertanto, la problematica stava in una passata cattiva prassi pastorale, la risposta ecclesiale avrebbe dovuto essere, per l’appunto, esclusivamente pastorale, senza intaccare il livello dottrinale e teologico.

Ora, invece, è accaduto che la «Nostra Aetate», che doveva essere, come lo stesso Concilio Vaticano II, solo un documento «pastorale», ha finito, forse contro la volontà dei suoi stessi estensori (in parte ne dubitiamo visto l’influsso sul cardinale Agostino Bea e su Giovanni XXIII esercitato da Jules Isaac), per diventare, nell’esegesi postconciliare, un documento del magistero mediante cui si è preteso, con quali danni per la fede del popolo cristiano è diventato ora drammaticamente evidente, di rompere con la tradizionale teologia della sostituzione che era stata, per l’appunto, iniziata, su base evangelica, proprio da San Paolo, ebreo, fariseo e cittadino romano, quando diceva ai cristiani provenienti dal paganesimo che essi erano i rami selvatici innestati sull’Olivo santo AL POSTO dei rami tagliati, ossia al posto degli israeliti (2).

La persecuzione degli ebrei è stato, senza alcun dubbio, un fatto atroce.
Gli storici discutono sul numero delle vittime: ma non è il numero che conta.
Fossero state anche di più o di meno dei «canonici» sei milioni, nulla cambierebbe circa la drammaticità  dell’evento.
Tuttavia cristianamente è inaccettabile la sua «sacralizzazione» che ne ha fatto un Unicum Metafisico sin dal titolo di «Olocausto».
Inaccettabile perché presuppone l’attribuire a quell’evento (non unico, la storia è piena di orrende persecuzioni, né metafisico) un significato «salvifico» e dunque teologico.
Come cristiano chi scrive non può riconoscere un altro «Olocausto Salvifico» diverso da quello della Croce.
La sofferenza umana, di tutti gli uomini, dunque anche quella degli ebrei nei lager, acquista significato solo alla Luce del Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo sul Calvario.
Dopo di esso nessuno può ergersi ad «Olocausto» alternativo, aggiuntivo, sostitutivo.

Cerchiamo, è detto a tutti i cattolici, di non farci irretire dalla mistificante «teologia dell’Olocausto» (il che non significa affatto sminuire l’orrore della persecuzione ebraica, come di ogni altra persecuzione, però!).
Tutto il clamore suscitato dall’azione di un imbecille come quella della presunta lista di proscrizione non si spiega senza questa equivoca «teologia» (vera apostasia per un cristiano) che è diventata, lo dice Giuliano Amato (il dottor sottile, in odore di culturale «fratellanza»), la vera «teologia civile dell’Occidente».
Ogni anno l’Anti Defamation League pubblica un rapporto sull’antisemitismo nel mondo nel quale sono segnalati tutti coloro che, a giudizio della stessa organizzazione sionista, sono sospetti
di posizioni antisemite.
In quella lista annuale sono finiti cardinali (Pappalardo, Biffi, Ruini), preti, filosofi (Vattimo), politici (Andreotti), professionisti delle più varie categorie, giornalisti (Blondet), storici, ambasciatori (Sergio Romano), riviste, case editrici.
Sicuramente, nella prossima edizione, vi finirà, dopo la «scomunica» dei rabbini Di Segni e Laras, anche Benedetto XVI.

La scomposta reazione dei citati rabbini trova la sua unica spiegazione nel fatto che, avendo il regnante Pontefice riproposto la preghiera tradizionale «pro judaeis» del Venerdì Santo senza più aggettivi «pesanti», egli ha in pratica costretto la comunità ebraica a venire allo scoperto e dichiarare «coram populo» che le vere motivazioni per le quali l’estate scorsa essa chiese l’abrogazione dell’intera preghiera in questione consistono nel rifiuto non degli aggettivi «perfidis» o «accecati» (di origine del resto paolina: anche l’ebreo Paolo era antisemita?) ma del fatto stesso che i cristiani si permettono di pregare per la conversione degli ebrei.
Questo perché secondo la fede talmudica il popolo ebreo, e solo esso, è l’«eletto», il «messia collettivo», con un ruolo guida unico e speciale nella storia umana, anche dopo Cristo, sicché gli ebrei, per la loro salvezza, non hanno bisogno del Messia Crocifisso.
Israele è il vero «messia collettivo» che porterà la «pace universale» al genere umano!


Dunque Cristo può andar bene per i goym, come sotto surrogato messianico, ma non per essi, gli «eletti» (ed infatti dal punto di vista talmudico il cristianesimo è una eresia ebraica, laddove invece il cristianesimo, incardinato nel Sacerdozio di Cristo che è Sacerdozio Universale al modo di Melchisedek, è «anteriore» all’ebraismo come Cristo stesso è anteriore ad Abramo: «Prima che Abramo fosse, Io sono», Giovanni 8,58).
Si tratta di una dogmatica talmudica che è ormai diventata, come si è detto, la teologia civile dell’Occidente e nessuno può permettersi di contrariarla: neanche il Papa!
Il «reazionario» Benedetto XVI vuol restaurare il «Primato di Cristo», in questo recidivo dopo la lesa maestà già inferta con la «Dominus Iesus»?

Ecco che giunge insperato il blog antisemita dell’imbecille di cui sopra che permette, agli occhi dell’opinione pubblica, di mischiare capra e cavoli e di far ricadere, indirettamente, sul Papa la nuova (ma esiste davvero?) ondata antisemita.
Ma come giunge imprevisto e provvidenziale il soccorso dell’imbecille antisemita di turno?
Un noto quotidiano laicista scopre il blog e lo segnala alla comunità ebraica romana, che subito si attiva nelle pubbliche denunce.
Quanta tempestività, mio Dio, per un blog che chissà da quanto tempo era lì!
Quale magnifica e provvidenziale (calcolata?) coincidenza temporale con le polemiche rabbiniche contro il Papa per la preghiera pro judaeis!

Nell’attuale Occidente il peggiore «marchio di infamia», che ti condanna alla morte civile,
è quello di «antisemita», appiccicato a tutti senza distinguere tra i veri razzisti e coloro che razzisti non lo sono affatto benché non accettino la neo-dogmatica olocaustica.
Anche Pio XII è stato infangato di «antisemitismo», figuriamoci se non si può infangare persino Benedetto XVI.
Ecco perché non si può sottovalutare e rimandare la questione delle «liste» dell’ADL.
Non è possibile, in un liberale Stato di diritto, di tradizione occidentale, accettare il criterio dei due pesi e due misure e lasciare che alcuni possano fare elaborare equivoci «rapporti» annuali, capaci di inchiodare alla pubblica infamia mondiale anche persone del tutto aliene da antisemitismo o razzismo, e che altri non possano (perché di questo si è trattato: e - sia ben chiaro - a nostro giudizio si tratta di assoluti imbecilli) fare un copia/incolla di un elenco di firme di professori universitari, per la maggior parte non ebrei, a sottoscrizione di un appello del 2005 di iniziativa dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane contro l’ostilità verso docenti israeliani nelle università inglesi, indicandoli come lobbisti pro-Israele.

Pertanto: o si proibisce a tutti di fare liste e rapporti, anche quindi all’ADL ed organizzazioni simili, oppure a nessuno.
E’ l’elementare principio dell’eguaglianza di fronte alla legge che massoni e giacobini a suo tempo rimproveravano alla Chiesa di non accettare in appoggio all’Ancién Régime (3).
Molti cattolici sono titubanti nel sostenere le loro giuste ragioni teologiche per timore di ritrovarsi schiacciati sulle posizioni pacifiste e terzomondiste della sinistra radicale.
Non vogliono giustamente confondersi con gli anarchici antisionisti che hanno impedito al Papa di parlare a La Sapienza.
Ma bisogna chiedersi: è questa la ragione sufficiente per restare zitti di fronte all’apostasia strisciante?
Anche gli anarchici di cui sopra sono emeriti imbecilli ma non possono costituire un alibi di ignavia che ci impedisca di parlare chiaramente ai «fratelli maggiori».

Ci sono nell’ambito dell’attuale ebraismo correnti di sincera e vera spiritualità e guarda caso sono proprio quelle che non credono che, come dice Betulla, la concezione religiosa ebraica sia per forza «quella dove Dio, popolo, alleanza, terra promessa non sono dati della mente ma trovano concretezza storica nello Stato di Israele» (4).
Queste correnti ebraiche di pura spiritualità sono, anche questo non è un caso, proscritte dagli ultraortodossi fondamentalisti e dallo stesso Stato di Israele.
Ne sono un esempio i rabbini del Neturei Karta (i «Guardiani della Città») e quelli del Rabbis for Human Rights.
Che sono talmudici come tutti gli altri rabbini ma che pure, mediante una esegesi assolutamente diversa del Talmud, affermano senza remore che la nascita dello Stato di Israele non è affatto un avvenimento messianico, ma meramente secolare, e, soprattutto, che i goym non sono per niente inferiori agli occhi di Dio perché anch’essi sono creature umane amate e facenti parte del disegno salvifico di Dio.

Questi pii rabbini, pur non essendone ancora consapevoli, sono già sulla strada del riconoscimento di Cristo, che è la strada dell’Amore e della Carità, che quando sono vere conducono inevitabilmente alla Verità.
Nostro Signore quando la cananea gli chiedeva attenzione usò di prima battuta verso di essa, per far capire agli astanti che i veri israeliti sono quelli tali per fede e non per sangue, quello che era già all’epoca il ragionamento tipico ormai prevalente in ambito ebraico: «Non sono venuto che per la casa d’Israele».
Ma la cananea replicò: «Sì, Signore, ma anche i cagnolini si cibano degli avanzi che cadono dalla tavola del padrone».
Qui è adombrata, nelle parole della donna non ebrea, tutta la mentalità talmudica: gli ebrei, popolo eletto, sarebbero di «qualità» diversa e superiore rispetto ai goym e la salvezza messianica sarebbe primariamente e/o esclusivamente riservata ad essi.

Orbene, Cristo, ed ecco la lezione che Egli in tal modo ha dato ai sinedriti che lo ascoltavano, disse alla cananea: «Vai donna, la tua Fede grande ti ha salvato»!
Appunto: la Fede fonda il vero Popolo di Dio e dalla Fede, che è Grazia a tutti concessa se voluta, che il cuore umano viene trasformato diventando un vaso d’elezione nel quale si raccoglie Amore Infinito di Dio per essere poi riversato sul prossimo.

Molti cattolici dormono il «beato» sonno che Cristo ha rimproverato alle vergini stolte della parabola e non si rendono conto della crucialità di una giusta impostazione teologica nei rapporti ebraico-cristiani.
Il rischio, in caso contrario, è quello di sostituire Auschwitz al Calvario.
Che Betulla ripassi un po’ le ragioni alte e profonde dell’essere cristiano!

 

Luigi Copertino



1)
Confronta Renato Farina «Gad Lerner, giù le mani da Papa Ratzinger» in Libero del 10/02/2008. Bisogna comunque dare atto al nostro Betulla che nell’articolo in questione ha perlomeno avuto  il buon senso di ricordare che «Ci sono molte cose che sarebbe necessario mettere sul tavolo a proposito del rispetto reciproco tra ebrei e cristiani. Non mi risulta siano state cancellate, né che il Papa l’abbia chiesto proprio perché capisce il dolore di Israele, e ne chiede ancora scusa - alcune benedizioni tuttora liberamente pronunciate in sinagoga. Ad esempio la birkat ha-minim (benedizione contro gli eretici) della liturgia giudaica: ‘Che per gli apostati non ci sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il regno dell’orgoglio; e periscano in un istante i nazareni
(i giudeo-cristiani, ndr) e gli eretici: siano cancellati dal libro dei viventi e con i giusti non siano iscritti. Benedetto sei tu Yahweh che pieghi i superbi’. Questa è la XII benedizione nella forma primitiva. Oggi è più diffusa, nel Talmud babilonese, una versione diversa: ‘Per i calunniatori e gli eretici non vi sia speranza, e tutti in un istante periscano; tutti i Tuoi nemici prontamente siano distrutti, e Tu umiliali prontamente ai nostri giorni. Benedetto Tu, Signore, che spezzi i nemici e umili i superbi’. Nessuna delle due è il massimo della benevolenza, e non sarebbe male se i rabbini Di Segni e Laras, oltre che Gad Lerner si battessero per cancellare o almeno addolcire queste benedizioni. Come si dice: par condicio, fratelli maggiori».
2) Rimandiamo, in proposito, a Francesco Spadafora «Cristianesimo e Giudaismo» Edizioni Krinon, Caltanissetta, 1987. Si veda anche l’ottimo articolo di Sergio Rolando «Continua a credersi il popolo eletto» leggibile su www.papanews.it.
3) L’assurdo sta nel fatto che da notizie di stampa si è potuto apprendere nei giorni successivi allo scandalo del blog antisemita che una analoga lista di proscrizione di intellettuali ebrei, ma questa volta contrari al sionismo ed alla politica dello Stato di Israele, è presente sul sito www.masada2000.org che pare faccia capo al movimento Kach del rabbino fondamentalista, scomparso, Meir Kahane. In tale lista appaiono i nomi di noti professori e studiosi ebrei come Norman Filkenstein, Gilad Atzmon, Naomi Klein ed Ilan Pappe. Quest’ultimo è lo storico israeliano che ha demolito i miti politici della storiografia sionista e che per questo ha dovuto lasciare l’Università di Haifa per l’Inghilterra.
4) Un millenarismo equivoco - questo assecondato da Betulla, sulla scorta dell’ultimo Giussani ossia della decadenza psicofisica del fondatore di Comunione eLiberazione - che dimentica quanto scrivevano i Padri della Chiesa sull’inquietante prospettiva, anticristica, di una eventuale ricostruzione del Tempio in Gerusalemme. Esattamente ciò a cui le correnti più fondamentaliste ed ultraortodosse del giudaismo attuale tendono, senza neanche nasconderlo ma affermandolo testualmente: si vedano i dichiarati obiettivi del Temple Institute o dell’organizzazione rabbinica denominata Ateret Cohanim ossia «Corona Sacerdotale».