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Un popolo finalmente liberato
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Delitti orribili avvengono in Italia, sempre più spesso.
Si abbandonano bambini nei pozzi.
Si ammazzano fidanzatine dopo aver «fatto l'amore» con loro.
Si massacrano vicini che facevano rumore, per orecchi ossessi.
Mariti ammazzano a revolverate sulla pubblica via mogli da cui hanno divorziato da anni. Ragazzini picchiano altri ragazzini fino a renderli invalidi, bulletti pestano alle gambe un loro compagno perché vuol fare il ballerino, angariano maestre e professoresse.
Si falciano cinque donne ad una fermata d’autobus, percorrendo una strada pericolosa, con obbligo di 30 all’ora, a cento.
Basta un po’ di nebbia perché decine di guidatori-pecore s’infilino, a 130 all’ora, dentro un tamponamento a catena infinito: quelli che arrivano ci danno dentro, la massa di ferraglie e sangue diventa enorme, assuma la forma di strage.
Qualcosa di mostruoso avviene in Italia.

Il lato più mostruoso è la «normalità» degli assassini e degli stragisti, la loro «medietà»: piccolo-borghesi, vicini di casa, studenti modello, lavoratori con amante, genitori separati e conviventi, guidatori  che accelerano nella nebbia col telefonino all'orecchio… non è uno specifico gruppo professionalmente criminale; è, apparentemente, la società italiana ad essere colta da questa indifferenza omicida.
Ma il peggio è ciò che unisce tutti questi mostri normali, il movente.
Quasi sempre si ammazza «d’impulso», per obbedienza a una voglia, a un desiderio improvviso.
Si ammazzano ostacoli momentanei al piacere cui si ritiene di aver «diritto».
Si ammazza per togliersi la soddisfazione, per odii incontrollati, per conseguire un piacere.
Anche le stragi colpose, i tamponamenti a catena o l’eccesso di velocità assassino, ha questo carattere di «spontaneità».

Si ammazza per inavvertenza, per stupidità, per non volersi concentrare in quel che si fa, con una sorta di nonchalance, delinquenziale ma «normale» e media.
Il denominatore comune è l’irresponsabilità totale.
Che è lo stato raggiunto da una società che si sente «liberata» da ogni obbligo.
Un popolo che non ha più «né Dio né padroni», e quindi si è esentato da ogni sforzo morale. Liberato dal migliorarsi, dallo studio come dalla guida attenta.
I due fratellini di Gravina saranno pur morti «per caso», caduti nel pozzo.
Ma basta vedere la faccia del loro padre, questo ignorante prepotente che ha abbandonato la moglie non più piacente per una biondazza di paese, per intuire che quello, prima che padre, è uno che «vuole vivere la sua vita» senza ostacoli.
Il «caso» mortale, in mano a un simile padre, è dietro l’angolo.
Luoghi come Gravina un tempo condannavano socialmente un simile padre che abbandonava
la moglie; oggi non più, condona.
E’ questo il problema.

La società intera condona se stessa.
Ci siamo emancipati da ogni dovere.
Ogni sforzo, intellettuale o del vivere, lo rifiutiamo: vogliamo «vivere la nostra vita», perseguire
il nostro piacere a scapito di qualunque prossimo.
Vogliamo pestare se ci va, stuprare se ci gira, abortire quando fa comodo, fare le veline anziché le infermiere, i discotecari anziché gli ingegneri.
Attenzione: non solo alcuni.
Il fenomeno è massiccio, come è di massa il nuovo senso comune:  ciascuno si sente dotato dalla «democrazia» di un fantomatico «diritto al piacere».
Sottopelle, è l’intera società che pensa così: per questo è pericoloso il vicino di casa, il fidanzatino o il compagno di un’ora, il bulletto di classe, l’automobilista su strada dissestata.
Sono tutti alla caccia della loro quota-parte di godimento, e ci mettono niente ad ammazzare. L’abuso di massa delle droghe, da parte di gente che consideriamo e si considera «normale»,
lo conferma.
Il sedimento d’inciviltà invincibile, sempre presente nel fondo della società italiana, diventa più spesso e crostoso.

Attenzione, non è un fenomeno spontaneo: è il risultato di una educazione.
Tanti intendono la «democrazia» come il rifiuto di riconoscere, di principio, una qualunque autorità che ci ponga un dovere, un compito nella vita.
Per la gente, è «democratico» il politico o il giudice di manica larga, il prete progressista che condona, l’ideologo che promuove la legalizzazione dei vizii; è «autoritario» il Papa che predica invano «non uccidere».
In questa percezione della «democrazia», la vita non ha più modelli superiori, a cui i mediocri vengano invitati (o obbligati) ad adeguarsi.
Nella «democrazia», la vita non ha più doveri; è una gran serata in discoteca, con sballo finale.
La cosiddetta classe dirigente essendosi resa irresponsabile della nazione, lavandosi le mani degli oppressi e dei poveri nella società, non ha naturalmente più compiti collettivi da indicare (sarebbe «autoritarismo»).
Del resto, è ben lieta essa stessa di non aver più compiti, di delegarli alla Unione Europea o agli altri organi sovrannazionali non-eletti; è più «libera» così, non deve mantenere le promesse che fa né la parola data, non deve rischiare il successo e i soldi per fedeltà a un principio, né farsi carico del futuro del Paese.

Ovviamente, essa fa da modello: se comanda «chi non deve comandare», è suonata per tutti la campanella delle vacanze.
Siamo in vacanza da ogni serietà, non ci si richiede più applicazione né attenzione,
né concentrazione; basta coi sacrifici, è ora di divertirsi, di godersela.
Ci siamo dati l’ideologia per diventare mostri: il radicalismo permissivo, la «legalizzazione» di tutte le trasgressioni che ci possono venire in mente.
«Trasgressioni legali» sembra una contraddizione in termini, è infatti lo è: solo la stupidità imperante può conciliare le due cose, solo la convinzione profondamente cretina che gli atti compiuti non abbiano conseguenze, che la dura realtà sia al nostro servizio di ragazzini viziati.
La «democrazia» si riduce a una legalizzazione delle trasgressioni, e dunque nella dissoluzione sociale e morale.
Non si hanno più doveri nè verso il vicino, né verso il vecchio malato, né verso il  giovane brillante lasciato senza lavoro, e men che meno verso l’altro automobilista da sorpassare, o la famigliola che attraversa sulle strisce.
L’ideologia è dotata del suo apparato di propaganda, il più potente strumento dis-educativo: la TV e la pubblicità.

Esse gridano ogni minuto: Soddisfa la tua sete, segui il tuo impulso!
Compra quest’auto che non puoi permetterti, ecco comode rate!
Adocchia questa bellona seminuda, puoi prenderla!
Ti si offre, versale l’amaro!
Dovunque, palpitanti puttanone-testimonial di biscotti o di reggiseni ti invitano: siamo qui per te, per il tuo piacere.
E’ il piacere cui hai diritto, finalmente alla portata di tutti, anche di cazzoni mediocri come te!
Firma le cambiali e sarò tua, Audi, BMW o puttanona.
E a chi gridano questo messaggio?
A bambini indifesi abbandonati per ore davanti al teleschermo.
Ad adulti di provincia, facili a convincere che è finalmente passata l’epoca del dovere,
delle strettezze e dei sacrifici.
E’ passata l’epoca del timor di Dio: oggi ciò che faceva orrore alle nostre nonne e ai curati di campagna  è "legale", se ne ha "diritto".
Si può prendere, anzi si deve se si vuol essere qualcuno.

Liberati dalla fede in Dio, liberati da ogni senso e compito, ci sentiamo meglio.
Sono anni di vacanza.
Nessuno a cui rispondere, nessuna vocazione a cui obbedire.
E nemmeno c’è da imparare a guidare l’auto con attenzione: l’ho comprata, sto pagando le rate, dunque «ho diritto».
Passare col rosso è vietato?
Ma se hanno legalizzato l’aborto e parlano di droga legale, cadrà anche quel divieto, un divieto minore; i politici già passano col rosso, in tutti i sensi; spetta anche a noi, siamo o no
in «democrazia»?
Vergognarsi di manifestare odio ed invidia per il vicino?
Di desiderare la sua donna, i suoi abiti firmati?
Ma in TV ci sono modelli che  si vantano di cose di cui dovevano, in passato, vergognarsi, e vengono proposti alla nostra adorazione!
La secolarizzazione portata alle masse, è il diritto al piacere, all’egoismo, al cieco soddisfarsi immediato.
Il diritto all’inciviltà e alla stupidità contenta di sé, paga del suo destino zoologico.

Ripeto: questa marcescenza sociale di massa è il risultato di un’educazione, tenacemente perseguita e propagandata.
Una breve spia di quanto affermo: la TV di stato manda in onda Sanremo, e poi tutti i media si lamentano, gli ascolti sono bassi.
Dunque non è vero che la TV (di Stato) dà al pubblico «ciò che il pubblico vuole».
E’ Pippo Baudo che «vuole il suo pubblico», che esige il pieno di audience, per rifilarci la pubblicità per cui riceve miliardi occulti e palesi.
E’ la TV che ci rende «pubblico» in questo senso deteriore, che ci impone cose che nemmeno vogliamo, che ce le fa ingollare per dritto e per traverso.
E’ la TV che ci vende, e per venderci meglio, ci rende più incivili, più stupidi, più proni all’omicidio d’impulso.

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