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Tracotanza di Katz
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Gideon Meir, l’ambasciatore israeliano a Roma, ha straccionato D’Alema che ha invitato Israele a parlare con Hamas. Si sarà notato il tono minaccioso, tracotante del rabbuffo: «Chi ci invita ad aprire trattative con Hamas ci invita a negoziare le misure della nostra bara»… «chi  invita ad un dialogo con quest’organizzazione terroristica in pratica blocca il negoziato tra Israele e Abu Mazen» (il «dialogo» con Abu Mazen è bloccato dal nuovo enorme insediamento dei fanatici in Cisgiordania, ossia nel territorio di Abu Mazen). E poi ancora: «Il fatto che il leader di questa organizzazione terroristica (Hamas) si congratuli per queste posizioni non depone a favore di chi le sostiene».

Così l’ebreo ha dato del terrorista al nostro ministro degli Esteri; sullo stesso tono usato da Fiamma Nirenstein la «unconscious fascist», il che prova molte cose. Per quanta antipatia si nutra per D’Alema, se noi italiani avessimo uno Stato, questo tono padronale da parte di un ambasciatore sarebbe giudicato intollerabile. Lo ha rilevato anche Massimo Franco sul Corriere: «Le parole usate da Meir (…) lasciano trasparire un’irritazione covata da tempo nei confronti della politica estera del centrosinistra. Dire che coinvolgere Hamas sarebbe come ‘negoziare sulle misure della nostra bara e sul numero dei fiori da mettere sulla corona’, significa non solo bocciare, ma ritenere provocatoria la proposta dalemiana; e con espressioni che definire poco diplomatiche è un eufemismo» (1).

Ma il Meir sa di potersi permettere questo ed altro, continua Franco, perché sa che con Berlusconi al governo è imminente «una svolta» nella politica italiota sul Medio Oriente, tutta in senso filo-usraeliano. «Se vincerà le elezioni del 13 e 14 aprile, è presumibile che (Berlusconi) acconsentirà ad aumentare le truppe italiane in Afghanistan, come chiedono da tempo USA e Gran Bretagna. E probabilmente, ai soldati europei sarà chiesto di combattere anche nel sud e nell’est di quel Paese, in zone ben più pericolose del nord dove oggi si trova il contingente italiano. L’ha fatto capire proprio ieri l’ex ministro degli Esteri e leader di AN, Gianfranco Fini. Il suo sembra un gesto preventivo di disponibilità, nella quasi certezza che la nuova Casa Bianca chiederà un maggiore impegno agli alleati europei. Sarebbe un cambio di atteggiamento vistoso, rispetto ai due anni del centrosinistra».

Se l’Italia avesse un sentimento nazionale, chiederebbe spiegazioni a Kippà Fini su questa disponibilità preventiva: vuol mandare i soldati italiani nelle zone afghane dove si combatte e si muore. Perché? In base a quale interesse nazionale? In che modo l’occupazione dell’Afghanistan ci ha giovato come nazione?

Se coltivassimo un barlume di pensiero strategico (e di dignità), ci chiederemmo che senso abbia legarci mani e piedi alle estreme avventure americane, ossia di una superpotenza che sparirà dall’orizzonte geopolitico nei prossimi decenni; e perché, per subalternità ad Israele, rovesciamo una secolare politica italiana filo-araba. Subire gli insulti del Meir al nostro ministro è certo umiliante (del resto, Veltroni verrà incontro agli ordini di Sion: si dice che sostituirà D’Alema agli Esteri con Andrea Riccardi, l’ambizioso cacicco della Sant’Egidio, cattocomunista); ma è nulla, in confronto all’umiliazione che subiscono gli stessi Stati Uniti.

Haaretz (2) ci rende noto che Tzipi Livni, la ministra degli Esteri del Katz, ha contattato il candidato presidenziale Barak Obama per dettargli la linea: «In Medio Oriente c’è un legame diretto fra il terrorismo e l’Iran. Questo richiede una ferma e costante determinazione della comunità internazionale contro il terrore e contro l’Iran». Obama si è affrettato a rispondere, scondinzolando, che «l’Iran non avrà mai armi nucleari». La Livni ha reso nota la sua telefonata di intimazione, proprio per far vedere chi comanda in America.

Se l’Occidente non avesse subito l’espianto della propria identità storica, questa intrusione aperta di un paesino arrogante (ma con 300 atomiche) sulla politica interna della presunta superpotenza farebbe gridare allo scandalo: pensate cosa accadrebbe se un ministro svedese o tedesco si permettesse di contattare i candidati alla presidenza USA, per dare loro disposizioni. La mancanza di reazioni a tanta tracotanza è semplicemente paurosa.

Una settimana prima, il Reich giudaico non ha nemmeno degnato di risposta Condoleezza Rice che chiedeva a Israele, implorante, di «onorare gli impegni di pace» presi ad Annapolis: evidentemente la ministra degli Esteri degli USA non ha nemmeno una briciola del peso della ministra degli Esteri del Katz. Proprio durante la visita della Rice, Olmert ha annunciato - a spregio degli «impegni di Annapolis» - l’insediamento di altre 750 abitazioni di coloni ebraici (i terroristi talmudici del Gush Emunim, che i nostri giornali hanno imparato a chiamare «seminaristi») sulle terre cisgiordane che non sono controllate da Hamas, ma dal collaborazionista, dal «moderato» Abu Mazen - e che secondo Annapolis dovrebbero restare ai palestinesi. Umiliazione dopo umiliazione.

Ma c’è di peggio: le disposizioni della Livni intimate a Washington suggeriscono che è tornata d’attualità la «opzione» di un attacco preventivo e non provocato all’Iran. La Livni è andata a dire a Obama - perché se lo ficchi bene in testa, il negro - che c’è un «legame» tra il «terrorismo» palestinese e l’Iran, ossia che l’Iran finanzia il terrorismo. E’ la linea. Ed è la stessa identica menzogna per cui gli israeliani dissero (perché ce lo ficcassimo bene in testa, noi razze inferiori) che c’era una «connessione» tra Osama bin Laden, il mandante dell’11 settembre e Saddam Hussein, il secolarizzato dittatore dell’Iraq. Questa menzogna fu ripetuta da Bush, e da tutti i media. E fu una delle «giustificazioni» dell’invasione dell’Iraq.

Oggi si ammette persino in USA che questa era una menzogna, diffusa da agenti israeliani interni alla politica americana. Prima fra tutte - una Nirenstein locale - tale Laurie Mylroie, un’analoga della ben nota Rita Katz: di colpo intervistata da tutti i network americani come «esperta di terrorismo», la Mylroi spiegava come l’attentato dell’11 settembre «deve essere stato per forza appoggiato da uno Stato» - e non intendeva Washington, ma l’Iraq di Saddam. La Mylroie aveva persino scritto un libro per dimostrare questa tesi; oggi, grazie alle sue menzogne, è stata insignita di una cattedra universitaria americana (3).

Insomma la Livni suona la stessa musica – l’Iran è dietro tutti i terrorismi, arma Hamas, arma Hezbollah - e ciò può preludere alle stesse azioni. Non mancano indizi in questo senso. (4)

Le dimissioni forzate dell’ammiraglio William Fallon, comandante del CENTCOM ossia delle flotte USA nel Golfo, dopo 41 anni di carriera, hanno tolto di mezzo la personalità che più efficacemente si è opposta ad un attacco preventivo contro l’Iran. Si tenga presente che un attacco alle installazioni nucleari iraniane non dovrebbe implicare nessuna azione di terra, ma graverebbe esclusivamente sulla US Navy, sui bombardieri imbarcati sulle portaerei nel Golfo e sui missili navali del resto della flotta.

Il viaggio «di pace» di Cheney in Medio Oriente è un altro indizio forte: tra le tappe del suo viaggio c’è l’Oman, il cuore logistico per operazioni anti-iraniane, che si affaccia sullo stretto di Ormuz davanti alle coste dell’Iran. Cheney visita anche l’Arabia Saudita, con il dichiarato scopo di indurre il reame ad aumentare la produzione di greggio: anche nel marzo 2002 Cheney fece lo stesso viaggio in Arabia per lo stesso motivo; pochi mesi dopo fu l’invasione dell’Iraq. Occorre che le forniture di greggio aumentino in vista di un colpo militare destabilizzante.

Anche l’incursione aerea del Katz avvenuta l’ottobre scorso in Siria - speciosamente spiegata come un attacco per neutralizzare una base nucleare siriana (sic) - può essere invece servita a «testare» le difese elettroniche siriane, da poco ricevute da Mosca: il luogo del presunto bombardamento israeliano si trova sulla verticale della rotta ideale per un volo di aerei israeliani diretti sull’Iran (la rotta sorvolerebbe anche il Kurdistan iracheno, collaborazionista), e la conoscenza delle segnature elettroniche della difesa anti-aerea di Damasco è essenziale per ridurre i rischi della missione.

Si aggiungano i due incrociatori lanciamissili che gli USA ha mandato davanti alle coste del Libano, e che hanno rilevato la portaerei USS Cole - diretta apparentemente nel Golfo Persico. S’è detto che le due potenti navi da guerra servano a premere sulla politica libanese. Ma per questa vecchia politica delle cannoniere perché inviare la nuovissima USS Ross, che è armata di missili Aegis speciali per la difesa anti-aerea e anti-missilistica? La scelta ha però senso in vista di un attacco israeliano all’Iran, per contrastare le rappresaglie aeree possibili, che potrebbero essere sferrate da Hezbollah con missili iraniani. Il Libano del Sud sarebbe incenerito, più e peggio che due anni fa, per obbedire alle voglie devastatrici di Israele.

Il prezzo di questi progetti, se attuati, sarà essenzialmente il petrolio a 300 dollari al barile, oltrechè la destabilizzazione ulteriore della zona del mondo più essenziale per l’economia globale, e la mutazione della depressione globale in catastrofe di penuria. Se l’Italia fosse uno Stato, se l’Europa avesse una identità e se l’America una dignità - o anche solo istinto di autoconservazione – l’Occidente non tollererebbe questi preparativi, né le menzogne né l’arroganza dei Meir, dei Katz e dei Livni.

 


1) Massimo Franco, «Sui nodi internazionali attesa di una svolta», Corriere della Sera, 12 marzo 2008.
2) Barak Ravid, «Livni to Obama: there is a direct link between Iran and terror», Haaretz, 12 marzo 2008.
3) In Italia quel tale Luzzatto, autore di un libello diffamatorio su Padre Pio, è definito dai media italioti «uno storico», e la sua opericciola, fatta con ritagli di vecchi giornali, «una ricerca storica». E’ sempre facile la vita, quando ti chiami Katz.
4) Terry Atlas, «6 signs the US may be heade for war in Iran», US News and World Report, 11 marzo 2008.


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