Puntualizzazione per i cattolici perplessi
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La recente pubblicazione su questo sito di un articolo di Franco Cardini (1) ha suscitato in molti lettori, in particolare in certuni di orientamento cattolico tradizionalista ed in altri orientati politicamente a destra, o entrambe le cose, notevoli polemiche.

Questo ha ispirato allo scrivente alcune riflessioni sulle questioni che tanto hanno scandalizzato quei lettori. Oltretutto è, da parte mia, doveroso scendere in campo dal momento che Cardini, in quell’articolo, mi cita espressamente a supporto delle sue tesi.

Dico subito che quasi tutto quel che ha osservato nel suo articolo Franco Cardini mi trova consenziente proprio perché coerente con la professione di fede cattolica e – sotto un profilo subordinatamente politico – perché coerente con un itinerario culturale che si snoda tra Cattolicesimo tradizionalista, anarchismo di destra, fascismo di sinistra e socialismo non marxista.

Sono anch’io, del resto, convinto, come il noto storico, che un cattolico tutto può essere tranne che comunista e liberista.

Conosco Cardini da anni. Posso testimoniare personalmente che egli è uomo non solo di grande cultura ma anche di fedele obbedienza, disciplinare e di fede, a Santa Romana Chiesa, anche se la sua professione di storico lo espone inevitabilmente alla regola metodologica propria degli storici (ma da essi spesso derogata essendo impossibile a qualsiasi storico, pur sempre uomo, una totale ed asettica oggettività) dell’evitare, per quanto possibile, nell’indagine storiografica ogni inferenza extra-storica, teologica, filosofica, culturale, politica e via dicendo. Con lui è nata una amicizia che è fatta anche di frequenti corrispondenze elettroniche e reciproci scambi di opinioni a partire dalla medesima fede cattolica e dalle analoghe esperienze politiche. Molte, moltissime volte le nostre idee convergono. Anche perché simili sono state, per l’appunto, le nostre esperienze culturali e politiche di «catto-fascisti». Mentre lo scrivente era ancora bambino, lui già giovane e brillante studioso si incamminava sulle medesime strade del «non conformismo» che più tardi avrei percorso anch’io. Una definizione, quella di catto-fascista, che come ogni definizione va comunque stretta alla libertà di chi, come Cardini ci ha insegnato, la vita la concepisce alla stregua di una cavalleresca cerca di Dio. Una definizione che sta ad indicare una elaborazione intessuta, congiuntamente e non alternativamente, delle idee di Tradizione spirituale, Comunità e Giustizia sociale.

Altre volte, invece, mi sono trovato in disaccordo con lui. Ad esempio a proposito del caso di Ipazia e di quello di don Gallo. Ma anche a proposito di una certa sua tendenza, per evidente «difetto professionale», a troppo separare il Cristo della fede dal Cristo della storia, cadendo in una sorta di criticismo ormai superato dagli stessi studi di esegesi storica neotestamentaria, la quale dai tempi di Loisy e di Bultmann ha fatto molti progressi spesso confermando la Tradizione. Abbiamo sempre apertamente ed amichevolmente parlato delle nostre divergenze perché così si fa tra amici che si stimano e si vogliono bene.

Sul piano storiografico devo molto all’amico Cardini ed agli altri storici che ho conosciuto grazie ai suoi consigli di maestro. Ho avuto modo di apprendere dalla sua lezione storiografica che la storia è soprattutto disincanto e che essa serve per mettere in discussione tante nostre convinzioni senza fondamento. Convinzioni che spesso sono solo di utili per strumentalizzazioni favorevoli ai poteri globali che hanno tutto da guadagnare a mettere popoli, culture e religioni le une contro le altre per arrivare, dopo il caos, all’ordine di ferro del primato globalista del mercato e del denaro. La globalizzazione – che è nata, non dimentichiamolo, in terre un tempo cristiane come imitazione umanitaria, e pertanto contraffazione, dell’Universalismo cristiano – per legittimarsi ha bisogno di far credere che solo essa, solo il mercato globale, solo il potere mondiale del denaro, con i liberi commerci, è in grado di garantire la pace universale, laddove invece, stando a tale pretesa, le fedi e le culture provocano sempre e soltanto guerre.

Recentemente a questa tesi «umanitaria» si è affiancata quella dello «scontro di civiltà», che tuttavia non è diversa, ma solo complementare rappresentandone l’anima bellicista e «di destra», dall’umanitarismo pacifista.

Lo «scontro di civiltà» è però un grande falso storico.

Cristianesimo, ebraismo ed islam, infatti, non sono affatto tra loro estranei e nel corso dei secoli mentre si confrontavano – nella controversistica – spesso si sono incontrati.

Molti dei lettori che hanno contestato l’articolo di Cardini (alcuni giungendo persino a lamentarsi della sua pubblicazione su un sito cattolico tradizionalista, dimostrando così l’animus da Torquemada che alberga in loro) hanno fatto espressamente riferimento alle «crociate» come ad un antecedente dell’attuale confronto tra Occidente ed islam.

Naturalmente per questi lettori vi è una equivalenza assodata, senza alcuna soluzione di continuità, tra Occidente e Cristianità. L’idea che, a cavallo tra XVI e XVIII secolo, la Cristianità storica medioevale e l’Europa ancora cristiana dei secoli rinascimentali e moderni, da un lato, e l’Occidente, che nel frattempo sempre più poneva il proprio baricentro oltre l’Oceano Atlantico, nell’America del Nord, dall’altro, abbiano subito un lento ma inesorabile processo di divaricamento che li ha resi progressivamente estranei fra loro, non sfiora neanche per un momento le granitiche certezze di questi lettori.

Come non sfiora per niente le loro certezze, consuetudinarie, l’idea che tra la Chiesa, da un lato, e la stessa Cristianità storica medioevale, come anche qualunque altra cristianità in senso sociologico, dall’altro, la coincidenza non è mai stata perfetta ed è sempre stata solo provvisoria visto che proprio a partire dal XVI secolo, mentre avanzava la modernità che andava uccidendo la Cristianità, la Chiesa, al contrario, non solo sussisteva, dimostrando di non essere dipendente da alcuna realtà sociologica benché mai Essa ha abbandonato la pretesa di modellare la realtà storica, ma addirittura si universalizzava per davvero, grazie alle scoperte delle genti extra-europee, adempiendo in tal modo il mandato di Cristo sull’annuncio della Buona Novella a tutte le genti. Un annuncio universale che, contemporaneamente, segnala l’approssimarsi della fine dell’epoca dei gentili con lo scemare della fede tra gli stessi ex cristiani proprio mentre la predicazione del Vangelo è estesa a tutto il mondo. Ma questo paradosso, che ci è stato profetizzato (Mt. 24, 12 e 14; Lc. 21, 24), è anche segno del futuro ingresso di Israele e, è convinzione di chi scrive, persino dell’islam nell’Universale Arca di Salvezza.

Le «crociate», per tornare alle granitiche certezze dei critici di Cardini, ad esempio, nel senso che noi diamo al termine «crociata» ossia quello di «scontro di civiltà», non sono mai esistite. I «pellegrinaggi armati» invece sì! I cristiani del medioevo, infatti, non sapevano di intraprendere «crociate» o di essere «crociati», convinti come erano, poverini!, secondo la cultura teologica e religiosa del loro tempo, di incamminarsi in un pellegrinaggio alla volta della Terra che fece da scenario all’esistenza terrena di Nostro Signore, portando ricamato in rosso sulle loro vesti, appunto, di pellegrini il «segno della croce». Essi, i pellegrini «cruce signati» di quei secoli, esprimevano sia il desiderio di contemplare dal vivo la Terra Santa sia il bisogno di pace interna all’Europa, un bisogno che però passava per l’esportazione verso l’esterno della violenza endemica interna alla Cristianità medioevale (da qui, e dalla necessità, sovente esagerata dalla propaganda, di difendersi dai saraceni, il paradosso di un «pellegrinaggio armato»), sia le tensioni di una società, quella cristiana dell’XI-XIII secolo, in profonda trasformazione socio-economica ed attraversata da forti istanze di rinnovamento spirituale che spesso scaturivano anche nel millenarismo e nell’eresia.

Dunque nessuno scontro tra due civiltà «irriducibilmente nemiche», anche perché cristiani ed islamici sapevano ben poco gli uni degli altri e le cosiddette «crociate» sono in fondo servite anche per conoscersi meglio.

Se Francesco (del quale Cardini ha scritto una bellissima biografia storica che consiglio vivamente), obbedendo al Papa, fece la sua «crociata» per predicare, non potendo lui chierico portare le armi, al sultano Malik al-Kamil la conversione a Cristo, senza essere ucciso dagli «infedeli», questo non fu forse dovuto al fatto che l’assisiate apparve agli occhi del suo interlocutore come uno strano «sufi cristiano» ossia come un mistico il cui povero saio richiamava quello dei santi islamici che a loro volta dipendeva da un antico retaggio veterotestamentario (si pensi solo all’ultimo profeta del Vecchio Testamento, Giovanni Battista, che vestiva di pelli e viveva in povertà)?

Senza la predicazione di Francesco, forse, qualche anno dopo Federico II non sarebbe riuscito a riottenere Gerusalemme, dallo stesso Malik al-Kamil, senza colpo ferire. D’altro canto, pur nell’innegabile e fondamentale distanza teologica che ci separa dai mussulmani, è davvero possibile affermare, risolutamente e senza alcuna prudenza, che un cattolico sente come un irrimediabile nemico il seguace dell’islam il quale, a differenza ad esempio di un protestante americano o tedesco, ha una venerazione altissima per Maria, la Vergine Madre di Isa, ossia di Gesù, Segno (in alcuni casi la traduzione è resa con il termine Verbo) di Allah, fino a considerarla la Prima Donna del Paradiso superiore anche a Fatima, la figlia del Profeta?

Tutti i mistici cristiani hanno sempre sostenuto che la venerazione per Maria è segno di salvezza. Anche Caterina da Siena che, in una visione, contemplò, alla fine dei tempi, cristiani e mussulmani entrare gli uni e gli altri, in fila separate, nel Costato Trafitto di Cristo.

Nel Genesi, a proposito di Ismaele, il figlio illegittimo di Abramo nonché antenato biblico degli arabi tra i quali sarebbe nato il Profeta, Dio dice «farò di lui una grande nazione» (Gn. 17, 20; 21,18). Vi è dunque una promessa biblica la quale riguarda l’islam che sarebbe comparso tra i discendenti di Ismaele. Loro, i mussulmani, credono che si tratta della promessa del «Sigillo della Rivelazione». Si sbagliano! Come hanno segnalato due grandi islamologi cattolici, Louis Massignon e il francescano Giulio Basetti Sani (quella del legame dei figli di san Francesco, tuttora detentori della custodia di Terra Santa che il sultano concesse loro, con l’islam è una costante), Maometto è stato piuttosto un Profeta veterotestamentario post-litteram (a cospetto di Dio, l’Eterno, quel che a noi sembra precedere e seguire nel tempo storico è invece contemporaneo sicché ben è possibile, nel disegno divino, che ciò che è o deve essere precedente appaia, storicamente, dopo) per il compimento di un disegno di salvezza universale nel quale i discendenti di Ismaele, ai quali Cristo nella Sua Divino-Umanità è stato annunciato dal Corano in una forma che solo alla fine dei tempi si svelerà pienamente agli stessi mussulmani che al momento non ancora riescono a coglierla, devono svolgere un ruolo parallelo, senza incontrarla se non escatologicamente, alla linea dell’altra Promessa biblica, quella messianica dell’Alleanza salvifica tra Dio e tutti i popoli della terra nell’Incarnazione del Verbo Divino, che è la linea che da Abramo, mediante Isacco, Giacobbe, Mosé, i Profeti, giunge a Nostro Signore Gesù Cristo, nel Quale tutta la storia, alla fine, troverà compimento ed intorno al Quale tutto il cosmo ruota e sul Quale è fondata la Roccia della Gerusalemme futura, la città che scenderà dal Cielo, come Tempio Eterno, per farvi dimorare tutti i figli di Abramo. Tutti: cristiani, ebrei e mussulmani nel riconoscimento e nell’adorazione universale dell’Unico Agnello immolato e risorto.

Ma anche senza ascendere a tali altezze mistiche ed escatologiche per restare invece sul solo piano storico, la non estraneità dell’islam al Cristianesimo ed all’Europa, un tempo cristiana, è un dato di fatto innegabile. È stato l’islam, per citare un esempio, a restituirci Aristotele che poi il nostro Dottore Comune, Tommaso d’Aquino, ha reso compatibile con la fede cristiana laddove gli aristotelici islamici non erano riusciti a conciliare l’immanentismo ellenistico con la trascendenza abramitica. E se è vero che il mondo islamico aveva a suo tempo ereditato Aristotele da Bisanzio non vi sarà, forse, una qualche provvidenziale ragione, che a noi ancora sfugge, se lo Stagirita è tornato in Europa attraverso l’islam e non direttamente da Costantinopoli?

Mentre cristiani e mussulmani si fronteggiavano da secoli in terra iberica nelle lotte per la Reconquista succedute alla conquista islamica a suo tempo propiziata da una fazione, cristiana, tra quelle che si contendevano il potere all’interno del regno dei Visigoti (già l’espansione mussulmana nell’Africa del nord era stata accolta con favore dalle comunità cristiane pre-calcedoniensi ma di rito non bizantino perché in quegli abili cavalieri, portatori di una fede monoteista che ai loro occhi passò inizialmente per una qualche eresia cristiana, quelle comunità videro dei liberatori dall’oppressivo ed esoso dominio di Bisanzio), i dotti teologici cattolici di Castiglia si accinsero con successo alla prima traduzione in latino del Corano allo scopo di meglio conoscere l’islam anche per finalità missionarie.

Cardini è uomo di grande sapienza, di grande onestà intellettuale. A suo merito bisogna ascrivere che tutta la sua scienza storica l’ha messa al servizio dell’incontro tra le culture per soddisfare una sua profonda esigenza, assolutamente cristiana, di Misericordia. Il Dio biblico è, infatti, un Dio Misericordioso anche quando manifesta la sua ira, perché l’ira e la Giustizia di Dio altro non sono che l’Amore ferito, l’Amore liberamente rifiutato dall’uomo che così si preclude da sé medesimo l’accesso all’Eterno e si auto-punisce cadendo nel sub-umano, nei drammi storici qui sulla terra e negli inferni esistenziali là nel post-mortem.

Come detto, in certe occasioni mi sono trovato a discutere con Cardini per non piccole divergenze di vedute ma quanto egli scrive nell’articolo contestato mi trova assolutamente concorde anche perché la sua prospettiva converge pienamente con quella di Papa Bergoglio. E quella del Papa altro non è che la prospettiva biblica di sempre. Non è forse scritto nell’Antico Testamento che è opera di misericordia, a Dio gradita, quella di accogliere lo straniero, il gentile, il pagano? E non era uno «scomunicato», per la fede indurita di Israele, il samaritano misericordioso della parabola evangelica che, al contrario dello scriba e del sacerdote, ha pietà del malcapitato che incontra per la sua strada. Il samaritano della parabola risponde alla domanda posta da Dio a Caino – «Dov’è tuo fratello?!» (Gn. 4,9) – in modo diverso dal primo fratricida, ossia in un modo pienamente cristiano.

La prospettiva di Papa Francesco non è una sua personale invenzione, perché se tale fosse lascerebbe ben presto il tempo che trova come tante invenzioni personali, che nulla avevano a che fare con il Depositum Fidei ma piuttosto con la politica, l’arte, la filosofia, le lettere, di tanti papi nella storia, anche santi, anche famosi. Quella ribadita dal Papa è, invece, la prospettiva di una Chiesa strumento di Misericordia come appunto è misericordioso il suo Signore. Il Quale tale si è sempre presentato, anche quando gli uomini, ebrei, cristiani e mussulmani, gli hanno messo in bocca, secondo la mentalità di tempi antichi o i condizionamenti umani derivanti dalla cultura di appartenenza, parole di «guerra santa», di «sterminio», di «olocausto».

«Misericordia voglio, non olocausti» (Os. 6, 6; Mt. 9, 13).

Se qualche cristiano, anche tra i lettori di questo sito, difensore della «civiltà cristiana», che non esiste più, crede, come lo stragista Anders Breivik, di essere epigone di quei «crociati», al pari delle crociate, mai storicamente esistiti, nel senso immaginario che noi moderni abbiamo inventato, né Cardini né Papa Bergoglio possono farci nulla se non sperare che un po’ più di cultura storica e, magari, di Lumen Fidei riescano a dissipare certe erronee convinzioni.

Ma in fondo cosa hanno detto di tanto scandalosamente «eretico» il regnante Pontefice e Cardini? Che l’Amore di Dio, pur rispettando le differenze di natura e di cultura e quindi le diverse identità dei popoli che solo nella Chiesa diventano unità senza confusione, è universale? Che la domanda biblica rivolta a Caino sulla sorte del proprio fratello è una domanda rivolta a ciascuno di noi ed alla quale tutti dobbiamo rispondere, a Lui, a seconda delle nostre possibilità: io e voi, che non abbiamo potere politico, donando cinque euro, mentre lo guardiamo in faccia, al negro che vuole venderci qualcosa oppure assistendo caritatevolmente qualche malato, meglio se non familiare; coloro che governano, invece, facendo in modo che Giustizia, redistribuzione dei beni e, quindi, conseguentemente Pace siano, per quanto umanamente possibile, qualcosa di più concreto e non solo belle parole per umanitari discorsi onusiani o eurocratici?

Negli anni settanta, quando era egemone il marxismo, molti cristiani avevano ridotto il Cristianesimo a prassi sociologica, a strategia di sviluppo sociale. All’epoca Cardini difendeva i diritti della simbologia e della liturgia e si batteva contro la «leggenda nera» sulle colpe incancellabili della Chiesa. Per questo suo lavoro di divulgazione di verità ben conosciute dagli storici, ma non dal grande pubblico, passava per un forsennato reazionario.

Ma, finita quella stagione, sulla scorta del neoliberismo e del neoconservatorismo, si è fatta avanti una concezione del Cristianesimo come mera identità dell’Occidente – si è parlato in proposito di «ateismo devoto» – e quindi come religione civile. Il Crocifisso è diventato così una bandiera da innalzare per lo scontro di civiltà. Una spada per la «nuova crociata» al servizio dell’«esportazione della democrazia» ed il controllo geopolitico del Vicino Oriente e delle forniture petrolifere. Questo nuovo atteggiamento «crociato», che tanto ha irretito certi cattolici tradizionalisti, è funzionale alle strategie dei poteri globali. Lo scrivente lo ha denunciato in un suo libro di qualche anno fa (2).

Ora di fronte a questa nuova truffa culturale, ben più pericolosa delle stolte ed ingenue utopie dei «cristiani per il socialismo» degli anni settanta, Cardini ha cattolicamente reagito rispolverando la socialità intrinseca da sempre alla scelta cristiana. Di conseguenza, solo per questo, è diventato, agli occhi dei cattolici che si sentono epigoni dei «crociati» in difesa dell’Occidente neocapitalista, un pericoloso «comunista».

È il destino di tutti coloro che non vogliono accettare schemi precostituiti essere avversati dall’una e dall’altra parte. Dovrebbe essere il destino di tutti i cristiani dal momento che la fede sfugge ad ogni schema precostituito sulla base delle umane costruzioni.

San Paolo, da qualche parte, ha scritto che se anche avessimo tutta la sapienza del mondo ma non avessimo la Carità non saremmo nulla. Benedetto XVI ricordava spesso che Verità e Carità si danno sempre insieme e che l’una senza l’altra è mutila.

Tanto di onore, pertanto, a quei cattolici che per assistere ad una Messa in liturgia tridentina percorrono chilometri. Ma se poi questo significa chiudere il cuore al prossimo e fare della liturgia una clava ideologica per percuotere l’«infedele», l’immigrato, il negro, allora siamo del tutto al di fuori della fede cristiana e sarebbe meglio evitare di sporcare in tal tristo modo l’antica e veneranda liturgia. Chissà perché poi questi neo-crociati la clava liturgica la vogliono dare in testa sempre agli immigrati e mai si odono loro minacce all’indirizzo di, che so, un Mario Draghi, un Marchionne, un Barroso, una Goldman Sachs?

Nella Chiesa, Maestosità ed Umiltà di Dio si rivelano da sempre insieme, mai in opposizione. La Maestosità della liturgia e dell’architettura del Tempio per ricordarci l’Altissimo e l’Eterno (ha ragione Cardini quando dice che l’oro delle chiese è simbolo della Gloria di Dio e non ha nulla a che fare con il valore economico del metallo giallo). L’Umiltà da tanti santi praticata per ricordarci che Lui, l’Irraggiungibile, si è fatto Uomo, si è fatto raggiungere e toccare da noi, limitate e povere creature. Non è Lui ad avere bisogno dei gesti rituali e dei simboli liturgici. Siamo noi ad averne necessità! Su questa nostra necessità si fonda l’importanza della norma liturgica, perché Lui ha voluto rispettare il nostro essere creature fatte di anima e corpo e quindi il nostro bisogno di vedere e toccare per sostenere la nostra fede. Ecco perché ha voluto entrare nella storia dell’umanità in forma corporea, prima vocando, in Abramo, un popolo teologale quale unico depositario della Rivelazione monoteista e poi definitivamente in Cristo che nella Chiesa, Suo Corpo Mistico, ha fatto entrare nell’Alleanza tutti i popoli.

Lui è il Dio della kénosi che si abbassa sulla debolezza della sua creatura e gli si offre anche quando essa si illude di poter fare a meno dell’altare rivolto verso di Lui e del canto gregoriano. L’importante è la ininterrotta apostolicità del celebrante, la legittima consacrazione delle mani, la materia giusta (pane e vino), le parole eucaristiche del Signore anche se, nel corso dei secoli, tradotte dall’aramaico-ebraico al greco, dal greco al latino, dal latino nelle lingue nazionali.

Quei cristiani tutori della bellezza della antica liturgia – una bellezza per difendere la quale non si fa mai troppo – finiscono, purtroppo, sovente per credersi solo per questo loro merito in grazia di Dio e quasi mai hanno cura del fratello povero, ritenendo persino la Carità sospetta di modernismo e di socialismo o addirittura di comunismo. Questi cristiani, ai quali il neoconservatorismo di ritorno al soldo del neoliberismo globale ha fatto dimenticare ogni senso di misericordia e carità mentre li ha induriti in un rigorismo etico tipicamente luterano, sono come il fariseo della parabola che di fronte a Dio disprezzava il pubblicano (Lc. 18, 9-14). Ma mentre il pubblicano, peccatore pentito, uscì dal Tempio giustificato, il fariseo no! Forse le parabole sono state dette più per noi cristiani, per avvertirci del peso della nostra responsabilità, che per gli altri.

Fino a quando, cadendo nello schema «destra-sinistra», «conservazione-rivoluzione», che ci hanno imposto, continueremo ad opporre la sacrosanta lotta contro l’aborto o i matrimoni omosessuali alle esigenze della Misericordia e della Giustizia, anche sociale, sicché alcuni cattolici guardano alla destra liberal-conservatrice, nell’illusione di aver trovato un alleato per opporsi al relativismo etico, ed altri invece guardano a sinistra, per opporsi all’ingiustizia sociale, saremmo sempre responsabili del dimezzamento della totalità della fede cristiana. E ne dovremo rendere conto.

Il cristiano tutto volontariato, tutto umanitarismo, tutto assistenza sociale, senza preghiera, senza sacramenti, senza liturgia, fa pena. Ma il cristiano tutto liturgia tradizionale, tutto dottrina teologica, che conosce alla perfezione la Summa di Tommaso, tutto rigore morale, è sovente un ipocrita, un sepolcro imbiancato, incapace di trarre da dottrina e liturgia l’amore del prossimo e, quindi, perché le due cose stanno insieme o non stanno, come ci ha insegnato Nostro Signore (Lc. 10, 25-28), anche il vero amore di Dio.

È dalla comunione eucaristica, verticale, tra Dio e l’uomo, che accoglie il Suo Signore nel cuore, che nasce la fratellanza orizzontale tra gli uomini – anche verso gli uomini che ancora non accettano l’amore eucaristico – la quale si fonda sulla Carità. E senza la Carità non siamo nulla perché significa che non siamo neanche in comunione verticale con il Signore.

Al trionfalismo preconciliare di un tempo, con le sue inconsistenti leggende rosa storiografiche, è subentrato nel dopoguerra un trionfalismo progressista postconciliare, speculare e complementare al primo, che, con le sue leggende nere storiografiche, si è dimostrato altrettanto vacuo. Ora, sembra tornare di nuovo il trionfalismo di segno conservatore. Una altalena francamente ridicola.

È mai possibile – ma dove sta scritto? – che amare e venerare la Tradizione, difendere la bellezza antica della liturgia, della simbologia e dell’arte sacra, deve comportare un atteggiamento sociale (neo)conservatore a supporto dello sfinimento iperliberista del mondo! La Tradizione non è una Guardia Bianca del Capitale!!!

E dove sta scritto che perseguire la giustizia sociale, perseguire forme comunitarie di convivenza politica all’insegna della solidarietà e della Carità, ma anche di un socialismo non marxista che sappia tenere in debito conto l’essenza religiosa dell’uomo e la sua naturale politicità come anche il suo innato amore per la propria Patria, sia contrario alla Tradizione cattolica?!!!

Il vescovo Depalma – ha ricordato Cardini nel suo articolo – ha preso posizione in favore dei lavoratori della Fiat non reintegrati, provocando la reazione di un manager dell’azienda che ha accusato il presule di stare dalla parte dei facinorosi e dei violenti. Da vecchio «fascista di sinistra» – molti dei detrattori di Cardini che, anche su questo sito, cianciano di fascismo in realtà nulla o poco conoscono, filosoficamente e storicamente, del fascismo e lo confondono con una non meglio definita «destra» – ma anche da buon cattolico tradizionalista, e se volete perfino cattolico «reazionario», Cardini si schiera con il vescovo Depalma in difesa dei lavoratori. Lo fa in nome della Carta del Lavoro del 1926 nella quale – egli non lo scrive ma ne è perfettamente consapevole – si possono rinvenire le radici dello Statuto dei Lavoratori del 1970. Cardini avrebbe potuto anche citare la «Rerum Novarum Cupiditas» del 1891 o la «Quadragesimo Anno» del 1931 o ancora la «Laborem exercens» del 1981. Infatti, nonostante le differenze filosofiche che sono alla base della fascista Carta del Lavoro e dei documenti del Magistero Sociale Cattolico, assonanze ed accostamenti sono evidenti ed anche questi accostamenti hanno contribuito alla scoperta della fede in cercatori, assetati di Verità e Giustizia, come Cardini e lo scrivente. Il resto, tutte le chiacchiere neoliberiste su produttività, competitività, liberalizzazioni, privatizzazioni, efficienza, sono solo le parole della neolingua del nuovo totalitarismo globale.

Il vescovo Depalma non ha fatto altro che fare quel che a suo tempo fecero i santi sociali, tra i quali don Bosco, nella Torino ottocentesca: porsi dalla parte dei più deboli. In questo sia Depalma che i santi torinesi si sono rivelati i continuatori dell’opera dei santi della Riforma tridentina, come Filippo Neri e Camillo de Lellis, rigorosissimi nella liturgia ma misericordiosissimi nel soccorrere i fratelli.

Solo per faziosità si può affermare, come hanno fatto molti contestatori dell’articolo di Cardini e come fanno molti dei postatori nei commenti su questo sito, che i sindacati sono i soli responsabili di tutti i problemi dell’economia. Una affermazione oltretutto assurda in chi, come molti nostri lettori, ha alle spalle una storia che essi reputano «fascista» ma dimenticando che il fascismo ha le sue radici nel sindacalismo rivoluzionario, l’ala più estrema del socialismo francese ed italiano a cavallo tra XIX e XX secolo. Sì, è vero, i sindacati, che sono organizzazioni umane e quindi fallibili, hanno fatto tanti sbagli. Uno per tutti e sopra tutti: non aver capito che l’abbattimento dello Stato nazionale avrebbe provocato la desertificazione industriale, la disoccupazione di massa, l’arretramento dei diritti faticosamente conquistati dai lavoratori. Ma non è per questo che si possono lasciar passare come nulla fosse le recenti parole di un Marchionne, per il quale non si vive di diritti, e prendersela solo con gli ormai depotenziati sindacati chiudendo gli occhi di fronte al ritorno della protervia ed arroganza padronale che fa il paio con lo strapotere globale della speculazione finanziaria.

Uno dei lettori in polemica con Depalma-Cardini ha osservato che tanti piccoli imprenditori lavorano fianco a fianco dei propri dipendenti, molti di essi extracomunitari, li conoscono uno per uno e con loro lottano per mandare avanti l’azienda e per non licenziare nessuno di essi. Ma non sono queste realtà il «capitalismo», quello delle transnazionali e delle multinazionali, che sta distruggendo i popoli e contro cui Cardini ha scritto il suo articolo.

Personalmente non ci sto ad abbassare la testa al capitalismo come non l’ho abbassata un tempo al comunismo. Del resto, da cattolico il mio nemico principale resta il liberismo, mentre il comunismo marxista, ormai residuo della storia, è un nemico solo in quanto si tratta di un derivato filosofico del primo e del quale amplifica tutti gli errori teoretici.

La cultura filosofico-politica dalla quale lo scrivente, Cardini, e tanti altri non conformisti, provengono è organicista. È la cultura che guarda al comunitarismo premoderno per recuperarne lo spirito nel tempo moderno ed ora post-moderno. Quindi nulla ci è più estraneo dell’individualismo che è la matrice dell’Occidente moderno, quello che ha progressivamente preso le distanze dalla Cristianità medioevale. Con questa matrice individualista della modernità noi – lo scrivente, Cardini ed altri – non possiamo venire a patti. Confortati, in questa nostra «ostinazione», dalla fede cristiana riscoperta ma forse, in fondo, mai del tutto abbandonata, neanche nell’età del rivoluzionarismo adolescenziale.

Se la Dottrina Sociale Cattolica ha fatto suo l’organicismo filosofico e sociologico il motivo sta esattamente in quello spirito anti-individualista – la persona umana è realtà concreta, che non si da senza appartenenze comunitarie, diversa dal concetto astratto ed illuminista di individuo – che è lo stesso al quale, pur tra giovanili, ingenui, entusiasmi ed errori culturali e politici, la generazione di Cardini come la mia si sono abbeverate.

Certo bisogna sempre vigilare per non confondere l’Essenziale con il secondario. Lamennais e Maritain, in origine tradizionalisti, sono diventati progressisti proprio mettendo al primo posto il secondario ossia la sociologia organicista sicché nella democrazia sociale hanno finito per illusoriamente intravvedere la «nuova cristianità». In questo errore, del resto, Lamennais e Maritain sono caduti perché hanno mutuato, sebbene con rovesciamento di prospettiva dal tradizionalismo al progressismo, il «primato del sociologico» rispettivamente da De Maistre e da Maurras. Questa tentazione – ossia il porre al primo posto la Cristianità storica piuttosto che la Persona di Cristo che nella Chiesa, Suo Corpo Mistico, continua ad essere Presente nella storia e tra gli uomini – a volte mi è sembrata far capolino anche nelle riflessioni di Cardini, magari per indignata reazione allo squallido scenario delle immonde ingiustizie dell’Occidente moderno. Non ho mancato, ogni volta, di farglielo notare con la franchezza che contraddistingue i nostri rapporti umani e culturali. Tuttavia non è questa – non è la sempre necessaria vigilanza per non uscire dal seminato cattolico – una buona ragione per cadere in un altrettanto pericoloso eccesso di prudenza e finire così per svolgere il ruolo dell’utile idiota del capitalismo globale e terminale.

Giustizia vuole che si rispetti il prossimo anche nei suoi beni: fa parte del Decalogo. Ma – questa è la domanda – rispettano il prossimo le multinazionali che saccheggiano, per puro profitto di pochi, le risorse di interi popoli riducendoli alla fame? Rispetta il prossimo il FMI con le sue ricette «lacrime e sangue» che da un lato indebitano i popoli e dall’altro li spogliano di tutto con la scusa di «servire il debito»? Sta rispettando il popolo greco la troika, BCE, FMI, UE?

Attenti – cari cattolici tradizionalisti – a come si legge il Decalogo! I ricchi liberali di fine ottocento, che leggevano solo a proprio tornaconto il «non rubare», si scandalizzarono quando Leone XIII affermò che è rubare anche il defraudare delle mercede l’operaio. Attenti quindi a non cadere nell’ipocrisia protestante che giustifica le iniquità sociali con la scusa che l’uomo sarebbe essenzialmente corrotto.

Francesco d’Assisi rincorreva i ladri non per farli arrestare ma per dare loro anche quello che non erano riusciti a rubare. Molti si convertivano per questo gesto. I ladri di oggi – quei poteri forti globali – sono anonimi e non rubano per fame ma per l’avidità di chi si sente prometeicamente «Padrone del Mondo». Se si volesse, moralisticamente, giudicare il gesto di Francesco come un gesto eretico perché anticipatore, nel tempo, dell’eschaton, senza tener conto della mediazione del diritto ancora necessaria nella storia, si darebbe mostra di non aver capito nulla dell’Assisiate. Il quale, d’altro canto, esortava i suoi a non giudicare i governanti ed a rispettarli. Francesco esprimeva, per una Grazia speciale, lo straordinario nell’ordinario per ricordare all’uomo che esiste un livello sovra-ordinario che è del tutto concreto ed operante nel mondo e che ha reso possibile, con il Cristianesimo, al diritto umano e naturale di conciliare la necessaria punizione del ladro con la misericordia cristiana ed il recupero del reo. Quando Agostino ammoniva che senza Giustizia gli Stati sono solo briganti intendeva riferirsi a questa medesima e necessaria apertura del diritto umano e naturale al sovra-ordinario, che solo la trasformazione del cuore rende possibile. Se poi l’uomo, anche l’uomo di oggi, non sempre riesce a conciliare Misericordia e Giustizia è solo perché restiamo immensamente inadeguati alle altezze dell’Amore di Dio, che solo la Grazia può farci conseguire.

Ecco perché bisogna stare attenti a non fare, come fanno sovente i cattolici di «destra», del diritto, anche del diritto naturale, una istanza di conservazione degli assetti sociali iniqui: così facendo si serve il capitalismo predatorio e globale proprio mentre esso sfrutta i popoli, del primo come del secondo e del terzo mondo.

Alla fine – ricordiamocelo – saremmo tutti giudicati secondo un metro ben preciso che non sembra contemplare la misura del nostro rigore dottrinario (quanti santi si sono santificati pur essendo emeriti ignoranti) o il grado della nostra fedeltà alle norme liturgiche se tutto questo non è accompagnato dalla Carità.

Il metro con il quale ci giudicherà, ce lo ha rivelato Lui in Persona anticipatamente sicché non potremo, in quel momento, dire che non sapevamo: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt. 25, 35-36).

Luigi Copertino





1
) Cfr. F. Cardini «Un Papa giustizialista, un vescovo socialista … ma dove andremo a finire?» su Effedieffe 10.07.2013. Vedasi anche www.francocardini.net con il titolo completo «…(E meno male che c’è nella Chiesa ancora un po’ di gente per bene, come quel monsignore di Venezia-Mestre …)».
2
) Cfr. L. Copertino «Spaghetticons – la deriva neoconservatrice della destra cattolica», Il Cerchio, Rimini, 2008.


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