Concilio, Tradizione e Fraternità San Pio X
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Dopo l’intervento di Jones, seguito dal botta e risposta con il vescovo Williamson, mi piacerebbe riflettere insieme su una questione che ritengo centrale. Sottoscrivere il Concilio alla luce della Tradizione; questo il suggerimento di Jones, che non trova riscontro nella Fraternità. Cerchiamo di capire i diversi punti di vista.

Jones afferma giustamente: «Mai saltare dalla barca in tempesta!»; confidare nel Signore, che forse dorme, o sembra dormire, ma che certamente si sveglierà in tempo per sgridare i venti ed il mare in tempesta. Credo che questa presa di posizione sia assolutamente condivisibile. Dall’altra parte, tuttavia, l’idea di accettare il Concilio, così come è, pur alla luce della Tradizione, non lascia tranquilla la Fraternità. Ma perché? Il punto nodale sta proprio nella lettura e nella valenza da attribuire a questa Tradizione.

La Fraternità pretende, e per certi versi giustamente, che si tolga il velo dell’ambiguità e si dica cosa sia e cosa costituisca, oggi, questa Tradizione per Roma. Potremmo rispondere: la Tradizione è sempre la medesima, per definizione (quod traditum est), quindi difficilmente se ne può avere un’altra; ma la motivazione addotta da parte di Giovanni Paolo II, all’epoca delle scomuniche, oggi rimesse, lascia intravedere una nuova possibile accezione al termine Tradizione, che verrebbe intesa, in certo modo, in chiave evolutiva. Penso che monsignor Gherardini, nel proporre istanza presso la Santa Sede, di una interpretazione autentica del Concilio Vaticano II abbia centrato l’obiettivo, individuando l’unico modo veramente risolutivo per appianare la spinosa questione.

Il Pontefice potrebbe dare lettura solenne di questa luce che viene dalla Tradizione per irradiarne gli, a volte ambigui, documenti conciliari, fugando dubbi ed incertezze. Ma, al momento, non v’è stato questo tipo di risposta.

Non mi soffermerò sul problema testuale dei singoli documenti: quel che conta è che la teologia modernista, fondata sull’ambiguità per sua propria essenza, abbia approfittato della poca perentorietà delle attestazioni conciliari per asservirsene a suo uso e consumo, dilagando tragicamente a macchia d’olio fino ai più alti vertici di Roma.

Il mio modesto punto di vista, pur allo stato attuale (di pieno stallo delle trattative in corso), è comunque vicino alla posizione di Jones; suggerirei un accordo con Roma, senza timori. Oggi, si insegna tutto ed il contrario di tutto (ahimè!) all’interno della Chiesa; è entrato il verme della democrazia, portato avanti dai dossettiani cattolici adulti (cattocomunismi o cattomassonici!) la Fraternità dovrebbe, prudente come serpente, come insegna Cristo, approfittare di questa libertà (tra l’altro inconcepibile prima del Vaticano II), per riformare da dentro la teologia modernista. L’obiezione della Fraternità: ma non siamo scismatici!, è vera forse davanti a Dio, ma non davanti all’uomo; se Roma riconoscesse la Fraternità in quanto tale, essa avrebbe maggior forza d’azione e maggior titolo giuridico di operare secondo il suo carisma.

Salga dunque definitivamente sulla barca, per remare fino a terra! Del resto, tale posizione non è ambigua né ipocrita. Il Concilio Vaticano II, per scritta ammissione dei Pontefici allora regnanti (Giovanni XXIII prima e Paolo VI poi) non ha mai voluto essere un Concilio vincolante. Si usa il termine pastorale. Ed in realtà possiamo con certezza affermare che proprio di questa fattispecie si tratta. Il problema quindi non sussiste, a ben vedere.

La mancanza di prescrizioni dogmatiche nel Concilio è elemento sufficiente affinché si possa ritenere non infallibile. In cosa dovrebbe essere senza errori, se l’intenzione non fu quella di insegnare qualcosa? (Con buona pace per i sedevacantisti!). L’errore rileva sul binomio obbligato di vero o non vero, non altrove. Se il Concilio di questa verità non si vuole occupare, perché tra l’altro, nelle premesse, salva espressamente la precedente Tradizione della Chiesa, che ribadisce accettare senza condizioni, perché dare a questo aspetto il rilievo che non ha?

Sono i modernisti a volere il Concilio in certo modo (ma non troppo, vista la loro allergia ad ogni forma definitoria) vincolante, al fine di creare una soluzione di continuità nella storia dogmatica della Chiesa; a noi, interessa prendere il Concilio per come è davvero: pastorale! E non siamo noi a dirlo, ma i Papi che lo hanno indetto e chiuso.

Tra l’altro, affermo per inciso, la voluntas definiendi, è imprescindibile condizione per l’assistenza infallibile dello Spirito Santo; se manca, Pontefice o Concilio Ecumenico, potrebbero anche equivocare in qualcosa o comunque (come nel nostro caso) mancare di quella precisione assoluta che è costitutiva del parlare di Dio all’uomo.

Mi auguro di cuore che la Fraternità possa pensare di abbracciare la via furba, sicuramente anche stretta, che suggerisce il Vangelo.

Stefano Maria Chiari



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