Sua Vacuità Mario Draghi
Stampa
  Text size
«Carissimo Direttore,

poche ore fa il governatore della Banca d
Italia Draghi ha detto che bisogna risolvere il problema del lavoro precario, soprattutto riferito ai giovani, altrimenti il Paese non sarebbe cresciuto o addirittura avrebbe rischiato la recessione. Sogno o son desto? Ma come? Questi disgraziati ci hanno detto per anni che il Paese sarebbe cresciuto proprio in virtù di tali provvedimenti e adesso? Si rimangiano tutto? In Cina i lavoratori sono trattati da cani, ma almeno il Paese cresce del 10% lanno. Sono criminali, daccordo, ma almeno sono criminali efficienti e coerenti! Un uomo come Draghi... che cosa è?

Deciomeridio
»



Draghi vuol solo punzecchiare il governo, e specificamente Tremonti. Voglio dire: la frase «bisogna risolvere il problema del lavoro precario dei giovani» non significa che Draghi e i poteri forti dietro di lui hanno assunto una nuova strategia, che prendono atto che quella che ci hanno imposto era sbagliata; magari fosse così. No, è solo un modo di criticare Tremonti che non ha i soldi per il rilancio dei consumi, e che cerca di resistere alle richieste di individui come la Prestigiacomo e di Fini, che vogliono fargli spendere 6 miliardi di euro per progetti imprecisati di rilancio.

No, non c’è nessun pensiero, nessuna teoria dietro la frase di Draghi. La frase in sè – «risolvere il problema del lavoro precario dei giovani» – ha corso nelle conversazioni in treno e al bar; detta da un venerato economista che si guarda bene di indicare come risolvere il problema, è una frase tale da squalificarlo per la poltrona che occupa. Questo, in un mondo normale. Ma Draghi si permette di dire queste banalità da Bar Sport senza vergognarsi, perchè sa che l’indomani i grandi giornali, Corriere, Repubblica, 24 Ore, anzichè fischiarlo e mandarlo a quel paese, eleveranno al cielo le lodi di Draghi che critica il governo, implicitamente suggerendo che al posto di Tremonti dovrebbe esserci lui, il venerato banchiere.

Mi capisca, il lettore: non sto dicendo che non si può criticare il governo, o la sua azione (o inazione). Ma possono farlo legittimamente le opposizioni politiche, che effettivamente competono per sostituire l’attuale governo con un loro governo se vincono le elezioni; possono farlo giornalisti, economisti, i precari stessi, la gente comune nel libero gioco delle opinioni. Non può farlo il banchiere centrale che copre una carica istituzionale (anche se per finta: in realtà, Draghi è il capo della lobby dei banchieri privati, di cui è dipendente di lusso), che si pretende un organo oggettivo, e che non concorre al posto di governante (anche se, lo sappiamo tutti, si aspetta di essere chiamato a gestire il governo dei tecnici).

La Banca d’Italia ha un enorme e costosissimo Ufficio Studi. Come mai nessuno domanda a Draghi perchè da un simile titanico osservatorio economico e finanziario escono suggerimenti come «bisogna risolvere il problema del precariato giovanile»? Un suggerimento che il Bar Sport, i genitori preoccupati, i sindacati sanno dare gratis? Conviene abolire l’Ufficio-Studi e sostituirlo col Bar Sport. Da un ente come quello, che tanto ci costa, avremmo il diritto di aspettarci un tantino di più di quella pia banalità: che dica come si fa a risolvere il problema. E Draghi e l’Ufficio-Studi di Bankitalia potrebbero – se hanno qualche buona idea – fornirla direttamente al governo con un documentato dossier che contenga dati e progetti.

Una istituzione nazionale ha il dovere di intrattenere con il governo questo tipo di rapporto: istituzionale appunto. Se non ha da dire che cretinerie, o pii desideri come una qualunque madre di famiglia o disoccupato, taccia.

E’ questa una delle patologie più gravi del sistema politicoide italiano: il fatto di quelli che stanno a bordo campo a dare consigli oziosi ai giocatori che faticano e sudano per vincere una partita difficile. Niente di male se fossero degli innocui pensionati o perdigiorno senza potere; ma sono il presidente della Repubblica, il Consiglio Superiore della Magistratura, Confindustria, qualche volta la Conferenza Episcopale, il Papa, l’Unione Europea, il blocco dei governatori di Regione, e appunto Bankitalia. Stanno in panchina a criticare: «No ai tagli di fondi allUniversità», strillano i baroni, «risolvere il problema della spazzatura a Napoli!», ingiunge Bruxelles, «Taglieremo i servizi essenziali!», urlano i governatori di regioni (che sprecano miliardi in sedi a Bruxelles, autoblu, grattacieli-sede), «Accogliere gli zingari!», esorta il Papa. Ineffabile, Napolitano: «I precari della scuola, priorità del Paese», «Il confronto sia più pacato», «Riflettere sullimportanza della famiglia». «La politica parli e si confronti sulle reali priorità dei cittadini»...

Le stesse cose che dicono i pensionati, loro a ragione esasperati, davanti alla TV. Ma non sono pensionati minimi. E’ gente che conta, che ha potere: e che cosa ha fatto, come ha contribuito a risolvere i problemi? E’ plateale il caso della spazzatura a Napoli: dov’è la Jervolino? Dov’è il governatore regionale, mentre tutti strillano, «Intervenga lo Stato», ossia il governo? Il governo dovrebbe rispondere: beh, non avete la vostra autonomia? Lo Stato non c’entra più. Idem quando il Veneto finisce sott’acqua. Anche lì il Cota: «Intervenga lo Stato!». Ma non erano federalisti?

Il peggio è che questi rappresentano spesso istituzioni dello Stato, e commentano da fuori-campo come se lo Stato fosse un altro, o come fossero nemici dello Stato. Esaltano la loro autonomia, e non si prendono alcuna responsabilità. Solo commenti oziosi, con il non troppo segreto intento di ottenere un titolo da Repubblica: «Napolitano critica il governo», eccetera. Cade un edificio di Pompei, e Napolitano: «Vergogna!».

Eh sì, ma la Disney, se avesse in mano un miracolo archeologico come Pompei , ne farebbe un’attrazione mondiale, lo circonderebbe di parchi tematici e grandi alberghi, e lo farebbe rendere; solo da noi è un costo per lo Stato. E lo è perchè la camorra impedisce i grandi progetti, per non dovere perdere il suo business pompeiano micragnosissimo: i posteggiatori e le guide abusive, la bancarella che ti vende la Coca Cola calda a 5 euro, o l’uso di un WC di fortuna... Ci pensi un po’ anche la Regione, ci pensi il Comune, la Provincia, il sovrintendente: costui, l’ho sentito coi miei orecchi dire a una radio che i cani randagi nell’area archeologica «sono una tradizione, si vedono anche nelle stampe settecentesche», e spesso «sono adottati dai turisti». Questa è la gente con cui abbiamo a che fare, e che quando crolla un affresco si giustifica: «Lo Stato non mi dà i soldi».

Il fatto strano è che tutte le istituzioni, quelle sovrannazionali (europe), le nazionali (presidenza della repubblica) e quelle sub-nazionali (Regioni), condividono l’ideologia secondo cui lo Stato nazionale è superato, che è un residuo archeologico che ostacola la globalizzazione, di cui bisogna accelerare il superamento sottraendogli – dall’alto e dal basso – fette sempre grosse di sovranità: e appena succede qualcosa, è dallo Stato nazionale che questi poteri pretendono soluzioni a problemi, per cui lo Stato non ha più i mezzi per affrontare – a cominciare dal potere sovrano sulla propria moneta. E non vedono la contraddizione di pensiero. Men che meno cambiano la loro teoria, e si decidono a restituire allo Stato i poteri necessari alle sue responsabilità, in cui nessun altro corpo può (e vuole) rimpiazzarlo.

Questi non sono peccati veniali. Sono cose gravi, perchè incidono sulla separazione dei poteri, e sul fatto che il potere esecutivo non dev’essere sabotato dagli organi ausiliari dello Stato per odio politico, ma anzi assistito. Il peggio dei peggiori, in questo senso, è Draghi. Sempre lì a dar consigli. E che consigli: «Ridurre levasione fiscale» (31 maggio), che è «macelleria sociale». «LItalia segua lesempio della Germania», sulle riforme in tema di lavoro (ossia congelamenti salariali). «La disoccupazione è all11%» (il governo aveva detto al 9%); «Adesso, riforme su giovani e pensioni» (quali, di grazia? Altri tagli?). «La produttività del lavoro è bassa».

Osservazioni per le quali non occorre un Ufficio Studi dai costi astronomici, basta leggere uno o due giornali col caffè mattutino. Il tutto, poi, condito da pensose considerazioni di questo tipo: «La ripresa non è uniforme: in alcune parti del mondo, per esempio in Cina, è forte ma in altre parti non è così».

Accidenti che scoperta, dottore! E che precisione scientifica! «In Altre parti non è così». In altre parti. E ancora: «Cultura, conoscenza, spirito innovativo sono i volani che proiettano nel futuro. La sfida è creare un ambiente istituzionale e normativo, un contesto civile, che coltivino quei valori, al tempo stesso rafforzando la coesione sociale».

Questo lo dice qualunque passante, venerato maestro. Ma lei che ne sa tanto di più, ci dica il come. Come si risolvono, e alla svelta, questi problemi enormi e da decenni incrostati nella società italiana? Dia al governo almeno un’ideuzza per una soluzione. O sennò, si limiti a fare il suo mestiere. Non l’ha fatto tanto bene, negli ultimi anni.

Lei non ha visto arrivare la crisi epocale provocata dalla finanza speculativa, e di cui i banchieri – quelli che in teoria lei dovrebbe sorvegliare – hanno avuto, si dice, qualche responsabilità. Lei ha taciuto quando, per volontà dei banchieri in cerca di profitti di rapina, anche in Italia è stata abolita la distinzione fra banche d’affari e banche commerciali, che è la causa di questa crisi: non ricordo un suo minimo allarme, mentre tutti i giornali a lei amici esaltavano la neonata banca universale. Nulla di nulla, da parte sua, quando le banche rifilavano ad ignari risparmiatori bond argentini e titoli Parmalat. Nemmeno un sospiro quando Unicredit lesinava i fidi agli italiani per andare a darli in Kazakhstan e in Ungheria, supposti mercati emergenti, finendo per mettersi nei guai seri come banca. E quando tutte le banche italiane condizionavano la concessione di fidi ai piccoli imprenditori all’acquisto, da parte di questi imprenditori, di incredibili prodotti derivati di cui quelli non avevano bisogno, nè capivano nulla, lei è stato zitto. Zitto e mosca, quando le banche e finanziarie hanno appioppato a Comuni e Provincie (buoni, anche quelli) derivati truffaldini che illudevano di trasferire i debiti a future amministrazioni, ed hanno aperto buchi neri astronomici.

Mai un pensiero e una riflessione, da parte sua, sulle devastazioni sociali che stava provocando il capitalismo globalizzato, che di colpo metteva in concorrenza i salari europei con quelli cinesi e indiani, e che quindi – facile a prevedersi – stava creando un arretramento epocale del potere d’acquisto, la perdita di milioni di lavori verso i Paesi competitivi perchè privi di protezioni sociali da Paese civile: quel fenomeno che appunto ha creato il vasto precariato che oggi, lei deplora.

Si capisce che le banche, finalmente, si sono accorte che giovani con contratti trimestrali, partita IVA e 800 euro mensili quando va bene, non potranno mai contrarre mutui per la casa, pagare le assicurazioni proposte dalle banche, e farsi sedurre dagli investimenti finanziari con cui le banche fregano i gonzi risparmiatori. Non più risparmiatori da truffare, quindi «il Paese non cresce anzi rischia la recessione». E lei, a nome delle banche, ingiunge al governo di risolvere il problema dei precari. Quel problema che hanno provocato le banche universali e globali, e lei come (pseudo) banchiere centrale del Paese. Dico pseudo, perchè ormai non ha più il compito di emissione; le è rimasto quello di sorveglianza sulle banche, e s’è visto come l’ha svolto.

Per questo, forse, ha tanto tempo libero per fare commenti oziosi su quel che il governo non riesce a fare. Provi a fare il suo mestiere, prima di dare suggerimenti agli altri. Il governo è quello che è, lo sappiamo, non il massimo della competenza. Ma della sua competenza, venerato Draghi, abbiamo già ampie prove. Fin dai tempi in cui salì sul Britannia per svendere alla finanza anglo le imprese pubbliche.


La casa editrice EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.