Assassinio Nemtsov: l’immonda canea
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Anzitutto, per capire meglio quanto sia immonda la calunnia che rigurgita dai media occidentali, riporto la frase a caldo detta alla RIA Novosti da Itina Khakamada , co-fondatrice, insieme a Nemtsov, dell’Unione delle Forze di Destra. «È una provocazione, chiaramente non nell’interesse di Putin, ha lo scopo di invelenire la situazione». Una esponente di primo piano dell’opposizione adopera la stessa parola usata dal Cremlino: «Provocazione», che nella lingua russa vuol dire anche «false flag». Nemmeno i più fanatici avversari riescono a far credere che Putin, per uccidere un avversario ormai fra l’altro «spento», l’abbia fatto fare in quel modo, fra i mille possibili che la ragion di stato può immaginare (avvelenamento, inoculazione di malattia, incidente d’auto, fino alla punta d’ombrello avvelenato con cui i servizi bulgari fecero uccidere il dissidente Markov riparato a Londra nel 1978, prova di un know how sovietico che non può essere perduto): non fosse per altro, perché la propaganda è riuscita a far credere di tutto di Putin, ma non che sia stupido. Anzi è evidente la rabbia di Kerry e Obama per farsi sempre sorprendere dall’intelligenza e creatività diplomatica del biondino, che ogni volta li giocva e li fa apparire per quel che sono — degli idioti sprovveduti, superiori solo in volume di fuoco bellico.

«È improbabile ed illogico che l’assassinio di Boris Nemzov sia stato pianificato al Cremlino», deve ammettere un commentatore su La Stampa (di Torino sotto Washington): «Può essere una provocazione esterna, ma può anche essere il cinico tentativo del milieu feroce che lo circonda di forzare definitivamente la mano a Putin e spingerlo ancora più in là». L’accusa è a quelli «più estremisti di Putin» che gli hanno preso la mano.

Passano alcune ore, ed emerge la linea: anche se non è stato Putin, è comunque colpa sua. È il mandante morale. Le prove? «Nemtsov appariva in ogni lista di ‘nemici della Russia’ fatte circolare dai supporter del Cremlino», scrive il New York Times. Nemtsov non aveva nessun vero peso politico? Il New York Times vi trova un motivo in più per la colpa di Putin. Appunto, «la cosa che fa più paura nell’assassinio di Nemtsov era che lui non faceva paura a nessuno, non poneva alcuna minaccia all’attuale leadership». Come denuncerà fremente il Ministro degli Esteri svedese Margot Wallstrom, quella «esecuzione» è la prova del «regno del terrore di Putin per quanto riguarda la sicurezza, i diritti umani e la democrazia».

Questo sarà il tono generale, un vero linciaggio radiofonico e televisivo di Vladimir Putin che lascia, per la sua spudoratezza, senza fiato. Forse supera tutti in bassezza, menzogna e arrampicamento sui vetri, il fondo di Angelo Panebianco sul Corriere.

«Se esistesse un indice di moralità politica applicabile alle tirannie, Mussolini otterrebbe un punteggio più alto di Vladimir Putin», esordisce. E come mai? Perché «Mussolini, dopo il delitto Matteotti, se ne assunse la responsabilità. Putin invece, di fronte all’assassinio dell’avversario Boris Nemtsov, ha saputo solo parlare di ‘provocazione’. Come è avvenuto in occasione di altri omicidi di oppositori del Cremlino».

È indispettito, il servo: che Putin non accetti la responsabilità politica, che non voglia esserne il mandante (anche se è evidente alla stessa opposizione che non lo è). Tanto ha perso il lume della rgione, che cita incautamente il delitto Matteotti: oggi sono sufficienti le prove per affermare che Matteotti fu ucciso per ordina della Sinclair Oil, petrolifera USA dei Rockefeller, (il capo degli assassini, Amerigo Dumini, era nato negli Stati Uniti), con l’assenso dei Savoia (1)

Proseguiamo la lettura del turpe commento: il Panebianco stende una minacciosa lista nera nominativa di ‘amici’ di Putin.

«I simpatizzanti che Putin può annoverare in Italia dovrebbero porsi qualche domanda. A cominciare da Berlusconi, e Salvini. A sinistra il compito spetterebbe a molti, a cominciare dalla Mogherini e dallo stesso Renzi, sempre molto comprensivi per le ‘esigenze’ russe nella crisi ucraina».

Questi, intima Panebianco, devono «riflette sul fatto che esiste un legame fra politica estera e la natura dei regimi politici».

È vero. Finalmente parlerà della politica estera criminale di Israele ed USA, da 15 anni aggressori e destabilizzatori di intere nazioni, massacratori seriali di popoli, tortyratori di prigionieri detenuti senza accusa — e ci spiegherà quale ‘natura’ questa mai sazia aggressività rivela?

Naturalmente no.

«La natura del regime russo è oggi brutalmente disvelata dall’omicidio Nemtsov. Perché continuare a fingere che il neoimperialismo della Russia non abbia una stretta connessione con l’autoritarismo interno? Quando Putin s’è incamerato la Crimea, cambiando in modo non consensuale i confini d’Europa [come Israele fa da 70 anni, ndr], ha fatto ciò che una grande potenza che aspiri a cogestire l’ordine internazionale non avrebbe mai dovuto fare. Perché quella decisione ha alterato irreversibilmente i suoi rapporti con Europa ed USA. Lo ha fatto perché un regime come il suo può sostenersi soltanto aizzando frenesie nazionaliste. Poi, una volta fatta quella scelta (irrimediabile), Putin non si è più fermato né, probabilmente, avrebbe ormai avuto senso fermarsi: dopo la Crimea, ha trasferito nel resto dell’Ucraina orientale la guerra».

Naturalmente, nemmeno una parola sull’attività sovversiva del Dipartimento di Stato in Ucraina, sulla Nuland che vi «ha trasferito la guerra» investendo 5 miliardi di dollari per attuare il violento colpo di stato detto piazza Maidan, sulla strumentalizzazione delle frange neonaziste per rovesciare il governo eletto. Certe cose, al Corriere non si sanno. Il pezzo di Panebianco è – anche – un atto di obbedienza all’impero del caos, sicchè si impanca a rivestirsi della ‘autorità’ dei suoi manovratori; è a loro nome che costui dichiara «irreversibile, irrimediabile» il gelo dei rapporti con Mosca. E a loro nome – nome di assassini – rivolge una minaccia a Salvini, a Mogherini, a Renzi, a quelli che chiama – proprio lui, il fiancheggiatore di 15 anni di crimini – «i fiancheggiatori».

«Gli amici di Putin ci pensino su prima continuare a fiancheggiarlo. Devono riconoscere la pericolosità di quel regime, per ciò che fa agli oppositori interni [ecco che si è già concluso: li ammazza] e per il fatto che negli obiettivi della sua politica estera, oltre all’espansionismo territoriale, c’è il condizionamento da esercitare sull’Europa tramite i suoi amici poltici greci, italiani, francesi, tedeschi».

Ecco, la lista nera dei fiancheggiatori di cui Panebianco propone ai suoi padroni l’eliminazione, eliminare si allarga.

«Piuttosto che stendere tappeti rossi al nostro ‘vicino di casa’, come lo ha definito la Merkel, è meglio rendersi conto della sua pericolosità e chiudere i buchi della rete divisoria che ci separa dal suddetto vicino. Significa adottare una postura più decisa nella crisi ucraina. E pensare a come diversificare al meglio gli approvvigionamenti eneregetici in modo da renderci meno esposti ai suoi ricatti».

Angelo Panebianco
  Angelo Panebianco
Qui ci sono minacce reali, perche – come sempre – l’individuo echeggia ordini, disposizioni ed umori che suonano nelle stanze dove, per eccellenza, si preparano gli attentati a bandiera falsa, false flags. Il maggiordomo fa suo il dispetto dei padroni per la Merkel, che li ha lasciati fuori dalla seconda tregua di Minsk, in un raro singulto di autonomia. È da Nuland, infatti, urlare che la Merkel «ha steso alcun tappeto rosso»; verità è che se è corsa a Mosca con Flamby a imbastire in tutta urgenza una tregua in Ucraina, è perchè quasi certamente nella sacca di Debaltsevo erano chiusi militari NATO, la cui vergognosa partecipazione alla guerra civile ucraina minava la pretesa occidentale di erigersi a onesto mediatore — fin da principio ci sono stati aiuti militari europei ad una sola parte, la golpista.

Egli intima e comanda: «Chiudere i buchi della rete divisoria che ci separa dal vicino!», esattamente l’ordine che viene da Washington e da Londra. Ordine «irreversibile», è inutile che Renzi Matteo vada a Mosca a cercare la spalla di Putin per la tragedia della Libia — devastata dall’impero del caos; non osi la Mogherini continuare nel tentativo di raffreddare la tensione con Putin (2). Non si permettano alcuna velleità di autonomia rispetto ai comandi. Obbediscano, altrimenti...

Il linguaggio del servo sul Corriere, così esplicito spudoratamente mentitore, ricalca fin troppo bene la voce del padrone. Nel caso, riportiamo quella di John Sawers, che è stato capo del brtitannico MI6 fino tre mesi fa, uno di quegli insider che costituiscono il Governo invisibile a Londra. Anche lui non misura le parole, non nasconde il cinismo.

Alla BBC Radio, poi anche ad Al Arabiya, ha detto: «Il pericolo della Russia è imminente». Il sostegno ai ribelli del Donbass è la prova «dell’ambizione della Russia ad accrescere la sua influenza sui Balcani a svantaggio degli Stati Uniti e della Gran Bretagna».

Notate, egli non parla che di «svantaggio per Stati Uniti e Gran Bretagna». Né Germania né Francia, e nemmeno tutta la UE, egli degna di considerare. Quelli che hanno spazio sono solo gli interessi estra-europei, quelli anglo. Adesso basta scherzare: la guerra contro la Russia non fa che cominciare.

«Il Governo britannico è pronto a difendere i suoi interessi», annuncia Sawers. I suoi interessi; mica più gli ideali, la democrazia — si è ai nudi, dichiarati interessi.

«Il Governo britannico è pronto a difendere i suoi interessi. Si deve preparare ad una guerra per procura come quella che è in corso attualmente in Ucraina» . Ecco, lo ammette: l’Occidente sta facendo una guerra per procura, mandando gli ucraini a far la carne da cannone.

«Londra deve rinforzare la sua difesa elettronica, perché la Russia tenta di sviluppare la sua influenza con nuovi metodi senza entrare in conflitto frontale con l’Occidente»: danneggiati dalla verità che emerge sul web, su Russia Today che ha più ascolti della CNN, e altre fonti di informazione diverse dai Panebianco, gli anglo correranno ai ripari: più propaganda, più disinformazione e calunnie, più guerra psicologica.

Putin cerca di evitare «il conflitto frontale». L’Occidente brama il conflitto frontale, lo cerca: la Russia, schernisce Sawers, «continua a ricordarci che ha armi nucleari. È il solo livello in cui Russia ed America sono uguali, quello nucleare».

Il Corriere esegue. Dal lato della propaganda o guerra psicologica, per informare su chi e perché ha ucciso Nemtsov, per sapere la verità, il grande giornale italiota, a Mosca interroga un giallista. Proprio così: cinque colonne di chiacchiera di «Boris Akunin, pseudonimo di Grigori Chkartisvili». Dunque un autore di fiction che ha falso perfino il nome: lumi per la verità.

A fianco del romanziere, il comico e battutista Beppe Severgnini ripete, da cagnolino da lecca, le stesse minacce che Panebianco ha vibrato contro la Mogherini. Quanto a Renzi, intima, «deve spiegare perchè», perché va a Mosca.

Che vergogna: che vergogna che gente così, di un giornale così, non si vergogni.

Vorrei scrivere sul personaggio Nemtsov, la sua corruzione (era il delfino di Eltsin), i nemici che s’è fatto come ‘banchiere’ e truffatore. Ma per oggi, mi astengo. Ho bisogno di vomitare.





1) Sulla vicenda, si leggano Mauro Canali (Il delitto Matteotti. Affarismo e politica nel primo governo Mussolini, Il Mulino, 1997) Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino (Il golpe inglese, Chiarelettere, 2011). Ma già sull’Avanti del 27 luglio 1985, Antonio Landolfi parlava della «pista anglo-affaristica» in La Massoneria e il delitto Matteotti: un’altra verità, recensendo il libro di Matteo Matteotti (il figlio dell’ucciso) Quei vent’anni. Dal fascismo all’Italia che cambia, dove viene incolpata Casa Savoia, e il mensile Storia Illustrata, nel novembre dello stesso anno, dedicava ampio spazio all’argomento, pubblicando un’intervista all’esponente del Psdi dal titolo: Delitto Matteotti. Fu uno sporco affare di petrolio. Nell’intervista, rilasciata a Marcello Staglieno, Matteo Matteotti afferma che nel 1924 i giornali parlarono della denuncia che avrebbe dovuto essere portata dal padre alla Camera, riferendosi in particolare a un dossier, contenuto nella sua cartella il giorno del rapimento, in cui era fatto riferimento, assieme alle questioni delle bische e dei petroli, all’implicazione della massoneria italiana, oltre che a una possibile affiliazione, non improbabile, di Matteotti. A riguardo, Staglieno cita un’intervista rilasciata da Gianfranco Fusco al quotidiano La Stampa nel 1978 dove si affermava che «nell’autunno del 1942, Aimone di Savoia, duca d’Aosta raccontò a un gruppo di ufficiali che nel 1924 Matteotti si recò in Inghilterra dove fu ricevuto, come massone d’alto grado, dalla Rispettabile Loggia The Unicorn And The Lion. E di essere venuto casualmente a conoscenza del fatto che, in un certo ufficio della Sinclair, ditta americana associata all’Anglo Persian Oil – la futura Bp – esistevano due scritture private. Dalla prima risultava che Vittorio Emanuele III, dal 1921, era entrato nel registro degli azionisti senza sborsare una lira; dalla seconda risultava l’impegno del re a mantenere il più possibile ignorati (covered) i giacimenti nel Fezzan tripolino e in altre zone dell’entroterra libico». A questo aveva aggiunto: «Sempre sul piano delle ipotesi, ai primi di giugno a De Bono si sarebbe presentato un informatore, certo Thishwalder, con una notizia preziosa: Matteotti aveva un dossier sulle collusioni fra il re e la Sinclair».
2) Secondo La Stampa, Renzi va a Mosca per sondare «la disponibilità di Putin su una risoluzione Onu «soft», che sblocchi l’embargo sulle armi indirizzate ai libici «buoni», che consenta un blocco navale anti-Isis e affidi un mandato esplicito all’Egitto, ma con l’appoggio «esterno» di Francia e Italia». Parlare con quello che i padroni hanno definito il nuovo Satana, è vietato, sta intimando Panebianco.



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