Invalidite Cronica
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Dal “dubbio metodico” cartesiano allo “scrupolo metodico” sacramentario

Introduzione


Il motivo che mi spinge a presentare qui ciò che insegna, comunemente, la teologia cattolica (senza alcuna mia pretesa di definire ed obbligare) riguardo all’essenza della Confessione è pratico e pastorale. Infatti molte persone, nell’attuale sbandamento in ambiente ecclesiale, si lasciano prendere dagli “scrupoli metodici” che li portano verso una sorta di malattia spirituale, la quale può essere definita “invalidite cronica” e di fronte a delle novità, non sempre felici e certe volte abbastanza stonate, introdotte dai testi e dalle traduzioni in lingua vernacolare della forma dei Sacramenti dubitano della validità dei Sacramenti ricevuti [1].

Per esprimermi il più facilmente possibile cito un classico Compendio di teologia dogmatica (comprensibile anche dai laici) di Ludovico Ott, in lingua tedesca, dei primi decenni del Novecento, tradotto in italiano e ripubblicato con numerose edizioni dalla Casa Editrice Marietti (Compendio di Teologia Dogmatica, Marietti, Torino, 1956) sino agli anni Sessanta.

La forma della Confessione

«Nella Chiesa latina le parole essenziali della forma del Sacramento della Confessione sono: “Io ti assolvo dai tuoi peccati [2]. Le parole “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” non sono richieste per la validità della forma né per la disposizione di Cristo né dalla natura della sentenza giudiziale [l’assoluzione, nda] [3]. Le parole che precedono e che seguono l’assoluzione non fanno parte dell’essenza della forma e possono essere tralasciate per un giusto motivo (DB 896; CIC 885)» [4].

Tuttavia il sacerdote che le omette volontariamente e senza un giusto motivo commette una colpa grave, ma ciò non significa che il penitente, senza alcuna sua colpa, sia privato della grazia santificante, resti nel peccato grave e nello stato di dannazione.

Inoltre «Nella Chiesa antica la forma dell’assoluzione era deprecativa, cioè aveva forma di preghiera [“Io ti chiedo o Signore di perdonare i suoi peccati”, nda]. S. Leone Magno [5] (DB 146) osserva che “il perdono di Dio si può ottenere soltanto mediante le suppliche dei sacerdoti (supplicationibus sacerdotum) [6]. Durante il medioevo, nella Chiesa latina, alla forma deprecatoria si fecero aggiunte all’indicativo. Nel XIII secolo si impose definitivamente la forma indicativa [“Io ti assolvo”, nda], che meglio corrisponde al carattere giudiziario della Confessione [7]. San Tommaso d’Aquino (S. Th., III, q. 84, a. 3; Comp. Th., 146) la approvò [8]. Ma nella Chiesa orientale si usano ancora oggi, anche se non esclusivamente, formule deprecative. Siccome la forma deprecativa fu usata per secoli senza che mai venisse respinta, deve essere considerata come sufficiente e valida» [9].

Per fare un esempio accessibile a tutti  quanto alla forma deprecativa o indicativa: «si supponga che la formula di benedizione “Benedicat vos Omnipotens Deus” venga pronunziata da un laico; in tal caso significa una invocazione o deprecazione a Dio affinché voglia benedire gli astanti; quando invece la medesima formula è pronunziata da un sacerdote è chiaro che ha questo significato indicativo: “Io vi benedico con l’autorità datami da Dio Onnipotente”» [10].

Gli Orientali cattolici usano tuttora forme di assoluzione “non unicamente indicative, ma deprecative” [11]. Quindi è impossibile che la forma deprecativa sia invalida di per sé.

Nell’attuale Rito della Penitenza (Rituale dei sacramenti e dei Sacramentali, Roma, 1966) l’essenza della forma è: “Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (cfr. I praenotanda dei nuovi Riti liturgici, Milano, Ancora, 1988, p. 375, n. 19).

Quindi, purtroppo, le riforme post-conciliari sul modo di confezionare e distribuire i Sacramenti hanno introdotto molta confusione ove regnava l’ordine, ma non si può dire che abbiano distrutto la sostanza dei Sacramenti. Ora la Chiesa può apportare delle modifiche ai Riti sacramentali “salva Sacramentorum substantiam”.

Conclusione


«I Sacramenti sono istituiti per tutti e sono alla portata di tutti i fedeli. Quindi anche la valutazione dei loro elementi [materia/forma/intenzione oggettiva [12]] deve essere fatta in base a un criterio accessibile a tutti e non riservato a un’élite di persone» [13].

Inoltre la Chiesa, per divina Istituzione, deve avere sino alla fine del mondo 1°) la Gerarchia: Papa e Vescovi; 2°) i Sacramenti e deve essere 3°) Cattolica, ossia sparsa in tutto il mondo e non in una sola Nazione o ristretta in alcune conventicole chiuse e ristrette anche se sparse dappertutto come avvenne con il Donatismo e l’Arianesimo ed in fine  4°) Apostolica, cioè deve risalire agli Apostoli con una fila mai interrotta di Papi e Vescovi quali successori formali (e non solo materiali, come lo sono i Vescovi scismatici) di Pietro e degli Apostoli.

Perciò i fedeli non possono restare, non per loro colpa, senza Sacramenti e senza Pastori per lungo tempo e in tutto il mondo, altrimenti le “porte degli Inferi” avrebbero prevalso e Gesù non avrebbe mantenuto fede alla promessa fattaci [14].

Infine non dobbiamo dimenticare che se oggi la parte umana della Chiesa (nei membri della sua gerarchia) fa difetto, vi sono numerosi fedeli (non-tradizionalisti) che si fanno uccidere per Cristo e per non apostatare.

La Chiesa è ancora Una soltanto (ed è quella fondata da Gesù su Pietro e i suoi successori [15]), è Apostolica e Cattolica (come visto sopra in quanto risale formalmente a Pietro e agli Apostoli ed è diffusa visibilmente, chiaramente e pubblicamente in tutto il mondo) ed è anche Santa nelle sue membra, che non sono solo appartenenti al mondo della Messa in latino.

Il Conciliarismo gallicano, condannato costantemente dalla Chiesa ed infine in maniera definitiva nel Concilio Vaticano I (DB 1830) [16], insegna: «nel caso che anche tutto il clero cadesse nell’errore, vi sarà sempre qualche anima semplice e qualche pio laico che saprà custodire il deposito della divina Rivelazione» [17].

In breve per costoro la Chiesa di Cristo potrebbe essere costituita solo da qualche fedele senza la Gerarchia (Papato monarchico ed Episcopato subordinato). Ora la Chiesa di Cristo non è acefala, puramente spirituale, invisibile, interiore o pneumatica, ma la gerarchia (Papa e Episcopato subordinato) è essenziale alla Chiesa per divina Istituzione. La dottrina ereticale dei protestanti presenta la Chiesa come “Società dei soli Santi”, in cui si incontrano le anime che professano la stessa fede in Cristo al di sopra di ogni struttura visibile, senza Sacerdozio, Episcopato subordinato e sommo Pontificato monarchico. Certamente la Chiesa di Cristo è un mistero soprannaturale che viene da Dio e porta in Cielo [18] (Ef., V, 32), ma non esclude che sia anche visibile nei suoi componenti umani (capi e sudditi), nei suoi mezzi (magistero, impero e santificazione) [19], infatti gli uomini non sono angeli. Quindi la Chiesa di Cristo deve essere visibile e non puramente spirituale. Il Verbo si è incarnato, la Chiesa è incarnata e continua Cristo nella storia umana sino alla fine del mondo.

Secondo la definizione di S. Roberto Bellarmino e ripresa dal magistero ecclesiastico della Chiesa come “Società dei fedeli battezzati, che hanno la stessa fede, partecipano agli stessi sacramenti e sono sottomessi ai legittimi pastori e specialmente al Pontefice romano”, si deve concludere che la Chiesa è visibile, altrimenti bisogna rinunciare al concetto di Chiesa come società di uomini militanti e credenti in Cristo. Ora ogni società composta di uomini mancherebbe della sua causa formale se non avesse un’autorità in atto e non “virtuale[20]. Se la Chiesa è stata istituita per portare la Redenzione a tutti gli uomini di tutti i tempi sino alla fine del mondo non può che essere visibile, con una gerarchia visibile, attuale e non potenziale [21], con un popolo di fedeli visibile, con dei Sacramenti visibili, con una fede e una morale conoscibili a tutti. Ora è proprio l’aspetto visibile e umano della Chiesa (non la sua origine: Cristo e il suo fine: il Cielo) che può essere offuscato, adombrato, eclissato pro tempore, ma non distrutto completamente dal male e dall’errore.

La Chiesa, nel suo elemento umano, non può essere distrutta secondo la dottrina cattolica, ma può essere ferita. Occorre evitare i due estremi: 1°) la Chiesa solamente spirituale perché ogni gerarchia è essenzialmente perversa (luteranesimo); 2°) la Chiesa totalmente immacolata anche nella sua componente umana poiché la gerarchia è una quasi-divinità (rigorismo angelista). Purtroppo talvolta la mondanità, il vizio e anche la mancanza di chiarezza dottrinale nel non reprimere fermamente un  errore, nel tollerarne qualcun altro o anche la eccezionale possibilità di errori positivi nel magistero non infallibile [22] possono attaccare i membri della Chiesa discente e docente. Tuttavia la sostanza della Chiesa (materia e forma) e il suo elemento divino (principio e fine) non potranno mai essere corrotti totalmente dall’errore e dal male, l’essenza divina/umana della Chiesa resta intatta, essa non può fallire nella sua missione di salvare le anime che credono, sperano e amano.  La Chiesa “Corpo Mistico di Cristo” come Gesù (vero Dio e vero uomo) è divina e umana. Varie eresie hanno presentato Cristo (e la Chiesa) o solo come Dio (divina e pneumatica) o solo come uomo (umana e corrotta). La fede retta presenta Cristo e la sua Chiesa come una Persona (individuale e morale) divina e umana.

Obiezione e risposta

All’obiezione “Il Figlio dell’uomo troverà la Fede sulla terra?”. Si risponde che nel Vangelo di S. Luca (XVIII, 6-8) si leggono queste parole le quali significano che alla fine del mondo non ci sarà un’abbondante Fede accompagnata dalla preghiera e vivificata dalle buone opere, proporzionata alla gravità del momento. Soprattutto verso la fine del mondo coll’intensificarsi delle persecuzioni, che toccheranno l’apice col regno dell’anticristo finale, sulla terra non ci sarà quella forte Fede “da spostare le montagne” necessaria in quei frangenti per sormontare le prove estreme, in cui le forze del male si scateneranno con tutta la loro rabbia e aggressività. Tuttavia la frase del Vangelo di S. Luca non deve essere letta in maniera radicalmente pessimistica e quasi disperata, come se la Chiesa fosse finita all’approssimarsi della parusia. «Il Maestro non nega in maniera assoluta l’esistenza della Fede negli uomini che vivranno negli ultimi giorni. […]. La prospettiva dolorosa della fine dei tempi, non si identifica con una dichiarazione sconsolata e senza speranza per la sorte finale del regno di Dio sulla terra ossia della Chiesa. […]. Il Maestro ha inteso richiamare gli uomini al dovere della vigilanza affinché essi, alla sua parusia, siano trovati in pieno fervore di Fede, di preghiera e di opere. […]. Ammonendoci che alla fine del mondo si avranno prove di un’estrema gravità, le quali per molti saranno causa di raffreddamento di preghiera e carità e di defezione dalla Fede» (G. Rossi a cura di, Cento problemi biblici, Assisi, Pro Civitate Christiana, 1962, 2a ed., p. 472).

d. Curzio Nitoglia



1] Per esempio, un fedele mi ha domandato se l’assoluzione da lui ricevuta sotto la forma “Io ti assolvo dai tuoi peccati. Padre e Figlio e Spirito Santo”, quindi con l’omissione di “Nel nome del…”, che indica l’Unità di Dio (nella distinzione delle tre Persone) fosse valida o dovesse riconfessarsi. Altri ritengono che l’unica forma valida sia in latino e strettamente secondo il Rituale pre-conciliare.

2] «Senza alcun dubbio sono essenziali le parole: “Ti assolvo” perché nella forma del Sacramento si deve indicare il penitente (“te”), il giudizio (“assolvo”) e l’effetto (il perdono o l’assoluzione dei peccati). Comunemente son ritenute accidentali le parole “Io” e “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. San Tommaso spiega che tale forma (“Ti assolvo”) significa: “Ti conferisco il Sacramento dell’assoluzione” (S. Th., III, q. 84, a. 3, ad 5). L’assoluzione significa lo scioglimento del vincolo o del legame del peccato e la conseguenza immediata è il possesso della grazia santificante» (A. Piolanti, I Sacramenti, Firenze, LEF, 1956, p. 415).

3] «Strettamente essenziali sono solo le due parole “te absolvo”» (Andrea Gennaro, voce Penitenza, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, vol. IX, col. 1123).

4] Ludovico Ott, Grundriss Der Dogmatik, Friburgo (Germania), Herder, 1950, tr. it., Compendio di Teologia Dogmatica, Marietti, Torino, 1956, p. 720-721. Questo Compendio è un riassunto del Lehrbuch Der Dogmatik, Freiburg (Germania), Herder, 1932, tr. it., Manuale di Teologia Dogmatica, 3 voll., Alba, Paoline, 1949 di monsignor Bernard Bartmann, professore di Teologia dogmatica per quaranta anni all’Università di Paderborn, ove morì nel 1938.

5] Epistola 168, 2.

6] S. Agostino insegna contro i Donatisti, i quali facevano dipendere la validità dei Sacramenti dai meriti del Ministro (“ex opere operantis”), che “il sacerdote chiede allo Spirito Santo di perdonare i peccati” (Sermo 99 in Lucam). Quindi nel V secolo, contro il Donatismo, si adoperava una forma deprecativa e non indicativa per manifestare chiarissimamente ai fedeli il fatto che il sacerdote agisce in persona Christi. Dunque il Sacramento è efficace oggettivamente ex opere operato in quanto istituito da Cristo e applicato dal Ministro in persona Christi e perciò trae la sua efficacia da Cristo e non dalla santità dei Ministri, in breve “Sacramenta sunt sancta per se et non propter homines. Petrus baptizat Christus baptizat, Judas baptizat Chritus baptizat…” (S. Agostino).

7] «La forma dell’assoluzione può essere formalmente indicativa e materialmente deprecativa. Ossia nella forma deprecativa, che contiene una preghiera (“Dio ti assolva”) è contenuta in potenza o materialmente la forma indicativa o giudiziale (“Io ti assolvo [per l’autorità datami da Gesù Cristo]”). Ecco perché la Chiesa orientale ha conservato costantemente, con l’accordo del Pontefice romano, numerosi riti di assoluzione deprecatoria. Invece la Chiesa latina a partire dal XIII secolo iniziò a mutare la forma deprecativa in indicativa» (A. Piolanti, I Sacramenti, cit., p. 416). Ora se la pratica della Chiesa ha ammesso per tredici secoli in occidente e sino ad ora in oriente la forma deprecativa essa non può assolutamente essere considerata invalida ex se.

8] In quanto essa mostra bene che solo Dio può rimettere i peccati, i quali sono commessi contro Lui. Certamente oggi è strettamente prescritta dalla Chiesa e quindi obbligatoria la forma indicativa, ma per i primi mille anni della Chiesa si constata l’esistenza di una forma deprecativa, la quale non era neppure uniforme (cfr. A. Martène, De antiquis ritibus, Lib. I, cap. 6, q. 7; D. Th. C., voce Absolution, tomo I, coll. 138-255; A. Raes, Introductio in liturgiam orientalem, Roma, 1947) e quindi non può essere considerata invalida per la sua natura.

9] Ludovico Ott, cit., p. 721-722.

10] A. Piolanti, I Sacramenti, cit. p. 416.

11] Alfonso Raes, voce Penitenza nei Riti orientali, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, vol. IX, col. 1129. Cfr. H. Denzinger, Ritus Orientalium…, vol. I, Würzuburg, 1863, pp. 434-500.

12] La si conosce dal fatto oggettivo e constatabile dai presenti se il celebrante applica le Rubriche liturgiche della Chiesa o fa un rito suo sostanzialmente diverso da quello della Chiesa. Nel primo caso il Ministro ha l’intenzione oggettiva di fare ciò che prescrive la Chiesa, anche se non vi crede soggettivamente e il Sacramento è valido; nel secondo caso vuol fare un suo rito e non quello della Chiesa e il Sacramento è invalido. Tuttavia se apporta solo modifiche accidentali al Rito della Chiesa commette un peccato grave, ma non compromette la validità dei Sacramenti. L’intenzione soggettiva, se il Ministro crede o non crede alla dottrina della Chiesa sui Sacramenti, non ha alcuna importanza quanto alla loro validità, ma solo quanto alla moralità dell’azione personale del celebrante.

13] P. Palazzini, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1953, vol. X, col. 1579, voce “Sacramenti”.

14] Il lettore, se vuole approfondire la questione, può consultare i seguenti Trattati: San Tommaso d’Aquino, S. Th., III, qq. 84-90; Id., Suppl., qq. 1-28; S. Roberto Bellarmino, De Sacramento Paenitentiae, Venezia, 1599; P. Galtier, De Paenitentia, III ed., Roma, 1950; Id., L’Eglise et la remission des péchés aux premiers siècles, Parigi, 1932; Id., Aux origines du Sacrement de la Pénitence, Roma, 1951; F. Càrpino, De Paenitentia quaestiones historico-dogmaticae, Roma, 1944.

15] “La  Chiesa di Cristo è quella romana” (Pio XII, Enciclica Mystici Corporis, 1943), cioè fondata da Gesù su Pietro come Capo e sugli Apostoli cum Petro et sub Petro e continuata nel corso della storia umana sino alla fine del mondo dai loro successori: il Pontefice romano o il Papa quale successore formale di Pietro e i Vescovi come successori formali degli Apostoli (la successione puramente materiale non basta, infatti essa è comune anche agli scismatici e agli eretici che non riconoscono il Primato di giurisdizione del Pontefice romano e perciò non sono veri successori degli Apostoli, ma solo una loro continuazione cronologica o discendenza “carnale o materiale”, come il giudaismo post-biblico è discendente carnale, ma non spirituale di Abramo). Quindi anche oggi, nonostante la lunga crisi nell’ambiente ecclesiale, la Chiesa di Cristo è quella di Roma. Perciò in senso stretto non esistono due Chiese, di cui una “chiesa conciliare”, come la definì il card. Benelli, della quale farebbero parte i modernisti: dal Papa regnante sino al Corpo dei Vescovi, sostanzialmente distinta dalla seconda, ossia la Chiesa di Cristo, della quale farebbero parte solo i vescovi con la sola fede tradizionale e senza la giurisdizione, i sacerdoti e i fedeli “tradizionalisti”. Tuttavia se si può utilizzare questa espressione (“chiesa conciliare”) in senso largo, in maniera polemica e come un argumentum ad hominem (secondo il vostro modo di parlare e del card. Benelli…) per mostrare i cambiamenti che sono in rottura con la Tradizione apostolica della Chiesa introdottisi nel magistero pastorale e non infallibile del Concilio Vaticano II. Cfr.  Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Id., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id.,Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; Id., La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.

16] Cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 36, a. 2, ad 2; Ibid., II-II, q. 1, a. 10; Ibid., III, q. 8; Id., Summa c. Gent., Lib. IV, cap. 76; S. Roberto Bellarmino, De Conciliis et Ecclesia, I, 1 e 2.

17] Antonio Piolanti, voce “Conciliarismo”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1949, vol. III, col. 165.

18] La causa efficiente e finale della Chiesa.

19] La causa materiale e formale della Chiesa. Ora ogni Società (come ogni ente dal sasso sino all’angelo) deve avere quattro cause. Ma se si toglie la causa materiale (gerarchia) e formale (Sacramenti, Impero e Magistero) alla Chiesa la si priva delle sue due cause intrinseche e sarebbe come togliere all’uomo l’anima e il corpo lasciandogli Dio come causa efficiente e finale e pretendere che l’uomo non cessi di esistere. Quindi la sana ragione e la retta teologia oltre alla divina Rivelazione ci insegnano che la Chiesa deve essere composta 1°-2°) da Dio come causa efficiente e finale; 3-4°) dai fedeli/Pastori e dal Sacerdotium/Imperium/Magisterium come causa formale. Ridurre la Chiesa ad uno sparuto gruppo di veri fedeli è un contro senso logico oltre che teologico.

20] Per fare un esempio, un uomo deve avere, come ogni ente creato, quattro cause. Ora se gli manca la causa formale (l’anima) in atto, ma la possiede solo in potenza non è uomo in atto, ma lo è in fieri o in potenza o materialmente e può diventare uomo in atto solo nel momento in cui l’anima è infusa nel suo corpo e lo informa. Così una statua non può non avere la forma di statua in atto per esistere, se ce l’ha solo in potenza significa che sta divenendo statua, ma non lo è ancora e se l’artista che vi sta lavorando la distrugge essa cessa di esistere anche come statua in potenza o materiale. Infatti ex nihilo nihil fit.

21] “Agere sequitur esse/prima di agire bisogna esistere”. Ora la Chiesa per redimere le anime deve prima essere in atto. Infatti un ente in divenire o virtuale non esiste ancora e quindi non può agire poiché l’agire presuppone l’essere in atto.

22] Cfr. Arnaldo Xavier Vidigal Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.